Sorpresa, non siamo i più pericolosi

Sorpresa, non siamo i più pericolosi Nel rapporto incidenti-morti-parco circolante solo Gran Bretagna e Svezia più brave dell'Italia Sorpresa, non siamo i più pericolosi Grecia, record di rischio ROMA. Non ci allacciamo quasi mai le cinture - solo il 10% lo fa contro il 20% degli automobilisti greci e il 30% di quelli portoghesi, insieme a noi i più indisciplinati in Europa -, ci piace correre in autostrada e non soltanto in autostrada - la prima causa dei nostri incidenti letali è proprio la velocità -, il solo pensiero di dare la precedenza ci provoca un'irrefrenabile orticaria, eppure alcuni semplici dati diramati recentemente dall'Eurostat, l'istituto di statistica dell'Ue, indicano un fatto sorprendente: che cioè gli automobilisti italiani sono tra i meno pericolosi in assoluto di tutto il Vecchio Continente se semplicemente si rapporta, com'è logico, il numero di morti per sinistri al parco circolante. Più sicuri di noi, tra i 15 Paesi che fanno parte della Comunità europea, non ci sono infatti che la Gran Bretagna e la Svezia. Sembra incredibile, eppure non è che una parte della verità, l'iceberg che emerge del fenomeno «incidenti stradali». Infatti, nel calcolare il rapporto tra gli autoveicoli circolanti e la mortalità da traffico non è neppure possibile conteggiare con esattezza l'entità delle cosiddette «utenze deboli e a rischio», come le ha recentemente definite il ministro dei Lavori Pubblici Paolo Costa nell'illustrare al Parlamento la relazione sullo stato della sicurezza stradale elaborata dal suo ministero. Utenze deboli e a rischio che riguardano pedoni, ciclisti, ciclomotoristi, tutti utenti o molto giovani o, al contrario, molto anziani: una massa di cittadini sicuramente assai ragguardevole ma anche ben difficilmente conteggiabile ai fini statistici non solo in Italia ma anche e soprattutto negli altri Paesi europei. Eppure queste utenze «deboli e a rischio» rappresentano - come ha precisato il mi- nistro Costa - oltre il 50 per cento dei morti e dei feriti in incidenti stradali nel nostro Paese. E' un numero letteralmente impressionante e, di sicuro, molto più alto che nel resto d'Europa, per un semplicissimo motivo: le biciclette e, soprattutto, i ciclomotori circolanti in Italia sono assai più numerosi in termini relativi ma anche in cifre assolute - rispetto al resto d'Europa (con la sola eccezione dell'Olanda, per quanto riguar¬ da le biciclette). Infatti, di bici in Italia dovrebbero - qui il condizionale è quanto mai d'obbligo, in assenza di statistiche precise a livello europeo - circolarne oltre 10 milioni, molte più che in qualsiasi altro Paese della Comunità, mentre per i ciclomotori, i dati calcolati dall'Ancma (l'Associazione nazionale del ciclo e motociclo) indicano l'Italia a quota 6,3 milioni circa contro 2,2 della Francia, 2,1 milioni della Spagna, 1,7 della Germania e appena 200 mila unità della Gran Bretagna. Ma che cosa significano questi dati? Semplicemente che se è vero - come è vero - che ciclisti, ciclomotoristi e pedoni sono i più coinvolti nella sinistrosità stradale, poiché la massa di questa utenza è particolarmente elevata in Italia, ai nostri automobilisti va certamente «conteggiata» un po' meno responsabilità negli incidenti stradali. Ma questo non può e non deve essere un motivo di orgoglio, tanto più che dal 1989 al 1995 sempre secondo le statistiche diramate dall'Eurostat - l'Italia è stato l'unico grande Paese europeo a far segnare un aumento, seppure piccolo, dei morti per incidenti stradali: 6410 nell'89, 6512 nel 1995. Peggio di noi solo la Grecia, con un alimento del 20% nel periodo considerato (1699 morti nell'89 e 2043 nel '95). E, tuttavia, se nel nostro Paese si allacciassero le cinture con la stessa solerzia del Nord Europa (che mediamente supera una quota d'impiego del 90 per cento, contro il nostro infimo 10 per cento), gli automobilisti italiani potrebbero facilmente conquistare la medaglia dei più virtuosi in Europa. D'altra parte secondo uno studio del professor Murray Mackay, responsabile della cattedra di sicurezza nei trasporti all'Università di Birmingham, se soltanto l'Italia riuscisse ad adeguarsi ai livelli nordici in fatto di uso delle cinture si potrebbero evitare non meno di 2000 morti e 60 mila feriti l'anno per incidenti stradali, con un risparmio per l'intero Paese di oltre 12 mila miliardi di lire in costi sociali, cioè 1000 miliardi al mese. Senza contare che negli ultimi dieci anni avremmo potuto evitare oltre 10 mila invalidi permanenti. Sono cifre agghiaccianti che dovrebbero fare riflettere tutti gli italiani, automobilisti e non. Ma, tanto per cominciare, allacciamo subito queste benedette cinture. [a. b.] Si calcola che il semplice impiego delle cinture ridurrebbe in modo drastico il numero dei morti per incidenti in Italia: circa duemila in meno all'anno

Persone citate: Murray Mackay, Paolo Costa