Don Sturzo, un repubblicanor in America

Don Sturzo, un repubblicanor in America documenti. Dagli archivi di Mario Einaudi le audaci lettere sul rinnovamento italiano Don Sturzo, un repubblicanor in America A LL'INDOMANI del 25 luglio, diffidente verso Badoglio e il suo «semi-fascismo politico», polemico con le «paure conservatrici» di Croce e di Sforza, critico con la strategia angloamericana in Italia e con la condotta dell'amministrazione militare alleata in Sicilia: poco più tardi, dopo l'armistizio dell'8 settembre, votato alla causa repubblicana perché «questo re è indifendibile». E' un don Luigi Sturzo inedito quello che emerge da un fitto carteggio con Mario Einaudi, rimasto a lungo sepolto negli archivi privati dell'intellettuale torinese e adesso presentato dalla Fondazione Einaudi e dall'Istituto Sturzo (Luigi Sturzo-Mario Einaudi, corrispondenza americana 19401944, ed. Olschki, con un brillante saggio introduttivo di Corrado Malandrino): oltre 250 lettere, nelle quali l'amarezza dell'isolamento non fa velo alla lucidità dell'analisi. L'emarginazione politica e intellettuale e le sue ragioni sono le prime novità che emergono dalle lettere. Don Sturzo sbarca negli Stati Uniti il 3 ottobre 1940 e a New York inizia una febbrile attività di tessitura della rete di riferimenti politici con gli emigrati antifascisti, cattolici, ex-popolari, liberali, democratico-repubblicani, socialisti: «un raggio di luce in quei mesi di tenebre», avrebbe scritto Gaetano Salvemini. Ma l'attivismo del sacerdote di Caltagirone è sospetto: non piace all'ambasciata fascista a Washington, preoccupata per gli effetti della propaganda sturziana sull'opinione «liberal» statunitense; non piace, ancor più, alle autorità vaticane, che vogliono evitare motivi di turbamento nell'ambiente del clero e dell'intellettualità cattolica, già profondamente diviso al suo interno nell'atteggiamento verso il regime fascista e le sue scelte belliche. Di qui le sollecitazioni della Delegazione apostolica perché don Sturzo si ricoveri al St. Vincent's Hospital di Jacksonville, in Florida, prendendo a pretesto le sue difficoltà respiratorie e la necessità di un clima più mite di quello newyorkese. Un ricovero temporaneo sino alla primavera successiva, secondo le promesse del nunzio mons. Cicognani; in realtà, un «esilio nell'esilio» durato oltre tre anni, sino all'aprile 1944. Isolato nel Sud, lontano dai centri del dibattito politico di Washington e di New York; costretto a comunicare e agire solo per corrispondenza; escluso (nonostante le reiterate richieste) dall'insegnamento in un'università cattolica: per le autorità cattoliche americane, don Sturzo è scomodo quando gli Usa non sono ancora entrati in guerra, per quelle vaticane continua ad esserlo anche dopo. «Avevo già compreso tutto, l'avevo sospettato sin dall'inizio», scrive nel giugno 1941 ad Einaudi. Mario Einaudi, figlio primogenito di Luigi, docente universitario firmatario del manifesto Croce ed esule negli Stati Uniti dal 1933, diventa il tramite fra don Sturzo e il mondo americano. L'anziano sacerdote lo sollecita ad attività di raccordo fra intellettuali antifascisti, a iniziative editoriali, a progetti di organizzazione politica: ma, soprattutto, gli esprime le sue valutazioni sulla situazione italiana. E nella primavera-estate 1943 queste appaiono nette, per molti aspetti audaci, sicuramente distanti da quelle non altrimenti prudenti che esprime nello stesso periodo Alcide De Gaspori. Ad Einaudi che sostiene l'importanza del governo Badoglio, Sturzo replica che esso non rappresenta una rottura reale con il passato, ma solo «il dominio della classe borghese con l'esercito»: occorre invece un governo provvisorio «semipopolare e di partiti», che comporterà certo disordini sociali, dei quali tuttavia «non bisogna avere troppa paura» (negli stessi giorni a Roma, in una conversazione con Ivanoe Bonomi, De Gasperi esprimeva parere opposto: «la monarchia si è presa la bene¬ merenza di liquidare il fascismo, ora lasciamo che si assuma l'onere di liquidare la guerra fascista, che comporterà responsabilità penose: noi osserviamo senza assumerci corresponsabilità»). . Altrettanto nette le posizioni di don Sturzo sull'atteggiamento degli Alleati: la formula deH'«unconditional surrender» (la resa senza condizioni) è sbagliata, l'Italia deve essere rinnovata nel suo gruppo dirigente politico e considerata a pieno titolo alleata nella guerra antitedesca, la flotta del Mediterraneo non va smobilitata ma impiegata accanto a quella angloamericana. E nette sono le posizioni sul problema istituzionale: dopo l'8 settembre, la monarchia, Vittorio Emanuele III e il principe Umberto, sono superati; non c'è più spazio, nell'Italia rinnovata del domani, per chi ha trascinato il Paese nel totalitarismo e nella guerra. Alle formule interlocutorie di chi propende per una reggenza di Maria José, meglio contrapporre subito l'impegno per la battaglia repubblicana. Troppo lontano l'inedito don Sturzo di Jacksonville dalle posizioni della nascente democrazia cristiana degasperiana; troppo «gobettiana» la sua ansia per il rinnovamento del Paese e l'affermazione dei valori politico-morali di libertà. Non stupisce quindi, come osserva il curatore Corrado Malandrino, l'esito politico della sua vicenda: il rientro a New York solo nella primavera 1944 e quello in Italia nel 1946 «accolto da trionfatore, ma di fatto emarginato dal grande gioco politico, diretto da De Gasperi con l'accordo della curia vaticana e degli alleati anglo-americani». Gianni Oliva I timori e la lucidità critica del prete in esilio scomodo per il Vaticano, per i fascisti e per Washington esilio Washington