Quei duemila miliardi che salvarono gli gnomi

Quei duemila miliardi che salvarono gli gnomi UN SALASSO MA NON TROPPO Quei duemila miliardi che salvarono gli gnomi MILANO I L salasso, almeno a prima H vista, è pesante. Ma alla Borsa di Zurigo tirano comunque un sospiro di sollievo. Che sarebbe successo se, dal 1° settembre, i gestori del Calpers, il fondo pensioni dei dipendenti pubblici della California, avessero rovesciato sul mercato titoli di Crédit Suisse e Ubs per tre miliardi di dollari? L'ipotesi, una vera e propria bomba atomica finanziaria, non era poi così astratta. Anzi. Le sanzioni scattate dopo la rottura a fine giugno del negoziato tra gli svizzeri e il comitato degli Stati Usa prevedevano che sia il Crédit Suisse sia l'Ubs non potessero più operare con le amministrazioni locali della California, dello Stato di New York, oltre che del Vermont, del New Jersey, del Rhode Island e del Kentucky. Una vera catastrofe economica, oltre che una «Waterloo» per l'immagine degli gnomi elvetici. E non solo per l'imbarazzo di dover operare a Manhattan, tra Wall Street e i mercati a termine del Rockfeller Center, come istituzioni a «libertà vigilata». Sia la California che lo Stato di New York, infatti, dispongono di una ricchezza finanziaria ragguardevole che li pone tra i più importanti (e più affidabili) clienti del pianeta. La sola città di New York, per esempio, possiede titoli di Ubs e del Crédit Suisse per 136 milioni di dollari mentre lo Stato di New York ha in essere con le due banche investimenti a lungo termine per 71 milioni di dollari più titoli di credito per 150 milioni di dollari. Le autorità di Albany e di New York avrebbero potuto (e probabilmente l'avrebbero fatto fin da subito, sotto le pressioni della comunità ebraica) liquidare questo portafoglio in poche sedute, con effetti pesanti per i due colossi elvetici. Ma il danno finanziario diretto sarebbe stato comunque il male minore. Assai più gra¬ ve, argomentano i guru di Wall Street e della City, sarebbe stato il danno di immagine per il Créditi Suisse che negli Stati Uniti opera attraverso una sofisticata centrale finanziaria, il First Boston, da cui dipende una clientela estremamente selezionata. Come spiegare alle grandi istituzioni del New England che il salotto buono della finanza sarebbe stato escluso dalle sottoscrizioni del debito municipale e statale, di Los Angeles, New York e dei Bond della Federai Reserve? Non solo. D'ora in poi il divieto si sarebbe esteso anche ai lavori di Tesoreria per conto dello Stato federale e delle più importanti comunità statunitensi. Una mina insidiosa, addirittura letale per chi, come l'Unione delle banche svizzere, punta ormai al primato finanziario nel mercato globale. Dopo la fusione con Sbs, il gigante di Zurigo non fa mistero, infatti, di voler conquistare il primato mondiale nei settori finanziari più ricchi, dalla gestione dei patrimoni al ramo «fusioni ed acquisizioni» all'«investment banking». Ma l'impero del denaro, forte di un attivo di bilancio pari a 920 milioni di franchi (ovvero, quasi 1,1 milioni di miliardi di lire...) non può permettersi di subire una sorta di quarantena o, peggio, di libertà vigilata proprio nel cuore del capitalismo mondiale, a Wall Street. Il tutto, poi, per una vicenda vecchia di cinquantanni, una sorta di pretesto, sospettano a Zurigo, per tagliar fuori un concorrente insidioso piuttosto che il frutto di una tardiva, e sospetta, sete di giustizia. Meglio pagare, insomma, e farla finita una volta per tutte. A metà '97, del resto, l'utile delle due banche era di 3182 milioni di franchi svizzeri, circa il doppio dell'attuale «salasso». E, probabilmente, questi quattrini si potranno detrarre dalle tasse da versare a Berna... Ugo Bertone Oltre alle perdite finanziarie dovute alle sanzioni decise da vari Stati Usa si rischiava un grave danno di immagine Thomas Borer, capo della task force svizzera per la crisi sui fondi ebraici ieri in Parlamento a Berna

Persone citate: Rockfeller, Thomas Borer, Ugo Bertone