« Lombardini, isolato fra i magistrati »

« Lombardini, isolato fra i magistrati » « Lombardini, isolato fra i magistrati » Un collega: si sentiva bloccato da motivi politici CAGLIARI DAL NOSTRO INVIATO «Sì, Lombardini era convinto davvero di farcela a diventare procuratore di Palermo. E che per motivi politici gli era stato impedito. Da allora ce l'aveva a morte con Caselli. E guardi che ci avrebbe riprovato alla prossima occasione, non appena Caselli avesse lasciato la carica». Enrico Altieri, 59 anni, magistrato di Cassazione, collega per 20 nni di Lombardini, era ieri al funerale dell' amico. Dottor Altieri, lei raccoglieva i molti sfoghi di Lombardini. Era davvero così turbato di come era andata la corsa alla procura di Palermo? «Eccome. All'epoca me ne parlava di continuo. Aveva una sua teoria: che servisse un sistema per ristabilire un ordine che doveva sostituire un altro ordine». Si spieghi meglio, scusi. «Lombardini mi diceva così: "La mafia è una realtà che non si riesce a debellare facilmente e quindi bisogna conviverci. Prima però la mafia aveva certi referenti, poi altri. Quel signore che è lì adesso deve essere lo strumento di questo nuovo ordine". Intendeva Caselli». Mai nominato Violante? «Sinceramente non ricordo. Non mi pare». Di fronte alle teorie di Lombardini, lei che rispondeva? «Io? Gli dicevo: guarda che mi sembra un po' forte. Pensavo che fossero sue elucubrazioni. Ma lui, tac, "è così. La mafia non si distrugge da un giorno all'altro. I de avevano rapporti con la mafia. Ora con qualcuno devono avere a che fare"». Questi erano discorsi del 1992. Ci tornò sopra? «Sì, di recente, circa un mese fa. Quando uscì fuori la storia dell'estorsione, venne da me a sfogarsi. Mi disse: "Sai la storia del posto di Palermo? Ho parlato con un collega, me l'ha confermata. Lì non ci potevo andare per motivi politici"». Le ha detto chi era il collega? «Sì, ma il nome non lo dico. Se mi convocano nelle sedi opportune, lo farò. Comunque posso dire che è una persona seria, che ha avuto una certa notorietà, e che non è un magistrato di Cagliari». • Sono accuse pesanti. «Che posso farci, così mi diceva lui». Si sentiva molto solo, eh? «Si sentiva un isolato dentro la magistratura. Era vicino alla corrente di Magistratura indipendente, ma quelli di Magistratura democratica lo avevano puntato. Dicevano di lui che andava avanti a testa bassa». Quando Lombardini fece domanda, però, nel 1992, ci credeva sul serio. «Eccome. Non era un velleitario. Mi diceva "Se vogliono, alla regola dei 4 anni il Csm può derogare. L'hanno già fatto per altri". Lui da tre anni era a capo di un ufficio. Godeva di ottima stampa. Aveva avuto ottimi risultati con i rapimenti. E aveva buoni rapporti con le istituzioni». Con chi? «Con i capi della polizia: Coronas prima, Parisi poi. E con i ministri dell'Interno. Di Cossiga e Scotti avete scritto. Con Scalfaro, i rapporti erano indiretti attraverso l'ex procuratore Villasanta, che era stato compagno di scuola del ministro». Villasanta era un grande estimatore di Lombardini, vero? «Sì, avevano eccellenti rapporti. Tra gli Anni 70 e 80, quando c'era il terrore in Costa Smeralda, con venti rapimenti in contemporanea, e i due ingaggiarono la guerra all'Anonima. Con un metodo comune: giorni e notti passati nelle carceri a parlare con i detenuti. Gli avvocati protestavano perché non erano ammessi e non si facevano verbali. Ma all'epoca era consentito. Defatiganti trattative con famigliari e av- vocati per ottenere la consegna dei latitanti. Interrogatori durissimi. Ma anche tanta lealtà». Sono questi i famosi metodi di Lombardini che oggi fanno storcere il naso a tanti? «So che li definiscono "aiscutibih". Chi lo dice, tiri fuori ahneno un caso concreto e ne discutiamo. Mai, che mi risulti, ha fatto ricatti. Certo erano metodi molto flessibili». In un'epoca in cui il pentitismo ufficialmente non era codificato, però, si dice che Lombardini trattasse con i latitanti. Cosa poteva offrire? «Mah, piccole cose. Spostamenti da carcere a carcere. Qualche soldo, tirato fuori dai capi della polizia. Trattamento migliore al dibattimento. Certo non poteva garantirgli l'impunità». [fra. gri.) Il procuratore della Repubblica di Palermo Giancarlo Caselli

Luoghi citati: Cagliari, Palermo, Villasanta