La memoria di Pinelli tra Pavese e Fellini di Alessandra Levantesi
La memoria di Pinelli tra Pavese e Fellini Lo sceneggiatore a Locamo con «Le due città» La memoria di Pinelli tra Pavese e Fellini LOCARNO. «Le due città», ovvero Torino e Roma, è il romanzo di Mario Soldati che narra il trasferimento del cinema dall'antica alla nuova capitale; e il titolo viene evocato in «Il teatro del mondo» come una possibile sintesi dell'esistenza di Tullio. Pinelli, protagonista di questo esordio della serie «Archivio della memoria» a cura della Scuola Nazionale di Cinema. Presentati al Festival nella sezione «Cinéma/cinémas», sono cinquanta minuti di chiacchierata con un patriarca della sceneggiatura (ha compiuto 90 anni il mese scorso), interlocutore Tullio Kezich e sensibile regista Franco Giraldi. Ambientata fra Cinecittà e Pitigliano, dove la piemontesissima famiglia dei conti Pinelli ha una proprietà fin dall'800, l'intervista abbraccia l'intera vicenda umana e artistica dello scrittore. A partire dall'antifascismo maturato alle lezioni di Augusto Monti avendo come condiscepolo Cesare Pavese,' quando Tullio, amico di Leone Ginzburg e Massimo Mila, fu tra i pochi a salvarsi dall'arresto solo per un'irrefrenabile diffidenza verso le società segrete: «Distribuirete qualche volantino e finirete in galera», aveva profetizzato. Poi la pratica svolta come avvocato civilista e finalmente una serie di testi teatrali («La pulce d'oro», «Lotta con l'angelo», «I padri etruschi», che gli meritarono l'entusiastico consenso del grande critico Silvio d'Amico, il premio dell'Accademia d'Italia nel '42 e il contratto di sceneggiatura con la Lux Film che cambiò la sua vita. Discendente da una dinastia di magistrati e militari (le imprese di un avo generale, impersonato da Amedeo Nazzari, le narrò nel film «Il brigante di Tacca del Lupo», diretto da Germi), Pinelli si adattò allegramente nel contesto cinecittadino, tanto da diventare prima il complice (sceneggiatori tutt'e due per Lattuada, per Germi) e poi la «spalla» scrivente di Federico Fellini regista. Di questa storia lunga quasi un secolo apprendiamo dalla viva voce del protagonista aspetti inediti in un racconto reso fluido dall'abile montaggio di Giraldi. Nessuna traccia dell'amarezza che spesso affligge gli sceneggiatori rispetto ai registi, nessun risentimento per Federico, che a un certo punto lo mollò (per poi ritrovarlo negli ultimi film): è stato un regalo poter lavorare con un genio, anche se Pinelli non sottovaluta il valore del proprio contributo. Per esempio sente come «suoi» lo spunto di «La strada», nata dall'incontro con una coppia di artisti vagabondi, e il personaggio dell'intellettuale suicida di «La dolce vita», ispirato (ed è la prima volta che qualcuno lo dice) alla tragica fine di Pavese. E' toccante il modo in cui lo scrittore rievoca quel giorno d'estate del '50 in cui la tremenda notizia che l'amico si era ucciso gli arrivò proprio a Pitigliano, dove Pavese era stato ospite e sulla suggestione delle tombe etnische aveva concepito i «Dialoghi con Leucò». «Il teatro del mondo» è una lezione di cinema che sconfina di continuo in una lezione di vita. Tanto appassionante che quando arrivano i titoli di coda si vorrebbe che Pinelli continuasse a raccontare. Alessandra Levantesi Tullio Pinelli
Luoghi citati: Italia, Pitigliano, Roma, Torino
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