Operazione foglio di via, espulsi e felici

Operazione foglio di via, espulsi e felici Scaduti i termini di 30 giorni senza essere riconosciuti, hanno due settimane per lasciare l'Italia Operazione foglio di via, espulsi e felici Allontanati dai centri iprimi 24 clandestini: «E' la libertà» TRAPANI DAL NOSTRO INVIATO Fuori. liberi. Espulsi, ma liberi. Ecco il primo. Ha la testa piena di riccioli neri, una discreta camicia jeans, pantaloni grigi. I poliziotti lo accompagnano sulla porta della questura e gli leggono il decreto di espulsione dall'Italia: hai tempo 15 giorni per lasciare il Paese. Lui sorride e ringrazia. Capisce? Bob.. Gli chiediamo se parla italiano, francese, inglese. «No, arabo», anzi «.arabi). Sai che sei espulso? Sorride, non capisce. Dove vuoi andare? «Amico, Roma». E poi? «Fioratisi). Firenze? «Sì». E poi? «Paris». Hai soldi? «Cinquemila lire», dice. Poi tira fuori un fazzoletto appallottolato e sudato che contiene centodieci mila lire. «Ciao». Sorride ancora. Ciao. Il sedicente Hicham Lofti ha 27 anni e dice di venire da Casablanca, Marocco. E' il primo dei 24 clandestini che in trenta giorni non è stato possibile riconoscere. Né il Marocco, né la Tunisia b hanno voluti. E dunque «espulsi», una parola che loro intendono in un altro senso: libertà. E infatti escono dalla questura di Trapani dentro le loro scarpe, senza lacci (non glieh hanno restituiti), ma a piede liberissimo. Sono le 16,45. Dalle 9 del mattino erano in questura dove evidentemente hanno sperato in un miracolo, un riconoscimento all'ultimo minuto, un cavillo che potesse trattenerli. Nulla. Fuori Hicham e i suoi fratelli. Alle 8 del mattino di questa giornata a due facce, sul molo del porto di Trapani è andato in onda un altro film: quello dei rimpatri. Tre pullman con 28 clandestini si sono accostati alla passerella dell'ahscafo diretto a Pantelleria e Kelibia (Tunisia). I ventotto sono scesi ad uno ad uno con il passo lento e una faccia da far spavento: sembravano dei condannati a morte, dead man walking. Gli autisti dei pullman hanno aperto i portabagagli e ognuno è passato.a ritìSrare il suo: borsette di plastica con dentro ciabatte, pantaloni appallottolati, piccole spugne. Avevano magbette da mare, uno quella della Juve, numero 21 di Zirlane. I poliziotti erano cabri e rassicuranti. Un anziano maresciallo della Celere ci racconta di avergb appena pagato il caffè e si preoccupa perché abbiano qualcosa «per rifocillarsi» durante la traversata (quattro ore). Questa grande e contraddittoria storia dei clandestini in Siciba nella torrida estate '98 è piena di episodi così. Un altro ufficiale ci dice che i ragazzi tunisini sono tristi perché se ne vanno, ma anche perché di là non b aspettano con le rose in mano: «Li ammazzano a legnate...» E, si dice, b aspetta almeno un mese di prigione. Tutto si svolge neUa calma e nel silenzio. Anche i turisti diretti a Pantelleria sullo stesso aliscafo aspettano il loro turno. Unico incidente un guasto all'aliscafo che pochi minuti dopo la partenza deve rientrare. Si cambia barca e si riparte.,,. ' Via. Itaba addio. In quegb stessi momenti i jeepponi deUa pobzia portano a quattro a quattro i clandestini più fortunati, quelh che non sono stati riconosciuti. Li sistemano al secondo piano, in un corridoio dove b vediamo seduti per terra lungo le pareti e misuriamo nelle loro facce la differenza della loro condizione. Sono sensibib ad ogni rumore, squadrano ogni persona che passa, sembrano atleti che aspettano il via della gara. Non sono ancora sicuri di avercela fatta, ma sanno che tra loro e la libertà è questione di tempo e di spazio impercettibile. Passano le ore, bollono i telefoni tra la questura, il Viminale e i consolati di Marocco e Tunisia. Alle 16,45 sbuca la faccia di Hicham. E poi gb altri. Seguiamo il primo lungo la via 30 gennaio. Cammina sicuro come sapesse dove andare. In realtà fa - con sicurezza, come se glielo avessero spiegato - il giro deU'isolato. Poi torna davanti alla que- „<j§|Éte, stura. «Amico, amico». Si capisce che aspetta un suo amico. Non se ne va da solo. L'amico compare, anche lui con il suo decreto di espulsione: Mohamed Sadik, anche lui 27 anni, anche lui di Casablanca. Si sa che sono nomi falsi perché se fossero veri i due sarebbero partiti sull'abscafo insieme agb altri. Arriva Giacomo Mancuso, direttore del centro diocesano Badia Grande: «Se vogbono offriamo loro assistenza e ospitalità per questa notte». Un interprete arabo spiega la cosa ai due. Ma loro non vogliono mula: no grazie, niente caritas. «Amico, amico», ripete Hicham. Si capisce che ne stanno aspettando un altro. Ci chiede carte telefoniche, gb offriamo 10 mila lire, ma non le vuole: «No, no». I due si avviano sul lungo mare. Li se¬ guiamo. Trovano il terzo che nel frattempo era uscito da un'altra parte. Sembra più vecchio di loro, ha lo sguardo duro, parla un perfetto francese. Dice di chiamarsi Said Marzouki, 28 anni. Tunisino? «Sì». Di Tunisi? «Sì». Dove vuoi andare? «In Germania, a continuare i miei studi». Che studi? «Biologia». La pobzia non ti ha riconosciuto? «No», dice contento. Hai dato un nome falso? «Sì». Anche i tuoi amici sono tunisini? «Sì». Ma guarda un po': dicono di essere marocchini. Marzouki taglia corto: «Basta, ciao». Un passaggio alla stazione? «No, basta, ciao». I tre se ne vanno sul lungo mare, arrivano nel mercatino che sembra un suk: marocchini, tunisini, neri, tappeti, statue africane, carabattole. Si baciano e si abbracciano col venditore di tappeti. Parlottano per dieci minuti. Si ribaciano e si riabbracciano, come compari. Se ne vanno. Chiediamo al tappetavo: tuoi amici? «No, arabi, come me». Tunisini? «No, marocchini». Appunto. Cesare Martinetti con le rose in mano: «Li ammazzano a legnate...» E, si dice, b aspetta almeno un mese di prigione. Tutto si svolge neUa calma e nel silenzio. Anche i turisti diretti a Pantelleria sullo stesso aliscafo aspettano il loro turno. Unico incidente un guasto all'aliscafo che pochi minuti dopo la partenza deve rientrare. Si cambia barca e si riparte.,,. ' di tempo e di spazio impercettibile. Passano le ore, bollono i telefoni tra la questura, il Viminale e i consolati di Marocco e Tunisia. Alle 16,45 sbuca la faccia di Hicham. E poi gb altri. Seguiamo il primo lungo la via 30 gennaio. Cammina sicuro come sapesse dove andare. In realtà fa - con sicurezza, come se glielo avessero spiegato - il giro deU'isolato. Poi torna davanti alla que- „<j§|Éte, no mula: no grazie, niente caritas. «Amico, amico», ripete Hicham. Si capisce che ne stanno aspettando un altro. Ci chiede carte telefoniche, gb offriamo 10 mila lire, ma non le vuole: «No, no». I due si avviano sul lungo mare. 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