Microspie in sala di rianimazione

Microspie in sala di rianimazione Napoli, le «cimici» registravano le reazioni emotive di un diciottenne in fin di vita Microspie in sala di rianimazione Quattro killer incastrati con un 'indagine da 007 NAPOLI. Le condizioni appaiono disperate, ha sei pallottole in corpo e intuisce che gli resta poco da vivere. Gli sono accanto i familiari che, accecati dal desiderio di vendetta, vogliono sapere a tutti i costi chi lo ha ridotto in quello stato. Gli elencano alcuni nomi, il moribondo sussulta, il cuore comincia a battere forte o la pressione sale paurosamente. Nessuno può immaginare che quelle reazioni sul letto di morte finiranno per incastrare i presunti assassini. Sì, perché i carabinieri avevano sistemato microspie nel reparto di Rianimazione dell'ospedale napoletano Loreto Mare e si aggiravano tra i letti travestiti da infermieri, registrando ogni elemento utile per individuare i responsabili. Compresi i segnali di allarme degli strumenti per la registrazione della pressione e del battito cardiaco. E' stata un'indagine sofisticata quella che ieri ha portato alla cattura di quattro pregiudicati del rione Forcella indicati come gli assassini di Marcello Sorrentino, 18 anni appena compiuti quando la sera del 6 giugno scorso lo imbottirono di piombo al largo Donnaregina, la piazzetta del centro antico alle spalle del duomo. Per Salvatore Amoroso, Nunzio De Martino, Salvatore Riccio e Luigi Giuliano (nipote omonimo del boss della camorra) - tutti ritenuti affiliati al clan Giuliano - sono stati eseguiti i provvedimenti di fermo disposti dal pra Luigi Bobbio della Direzione distrettuale antimafia. Il lavoro dei carabinieri del reparto operativo - che inquadrano il delitto nello scontro tra i clan Misso e Giuliano - è stato elogiato dalla Procura della ReDubblica. I magistrati hanno sottolineato come le indagini siano state condotte «con capacità e tenacia investigativa». Quando Sorrentino fu portato morente in ospedale, gli investigatori avevano già pronto il loro piano. Cogliere ogni minimo indizio, magari dalle parole dei parenti, rappresentava una scommessa azzardata ma tanto valeva provarci. Così piazzarono le «cimici» nel reparto di Rianimazione mentre alcuni militari, indossati i camici da infermiere, osservavano e ascoltavano con discrezione. La tecnica alla fine è risultata vincente. Sorrentino, alle insistenti richieste dei familiari, nonostante le condizioni disperate reagì in una maniera apparsa inequivocabile. E nei rari intervalli di lucidità riuscì anche a parlare in modo esplicito sull'agguato. Sorrentino, nonostante la giovanissima età, era già qualcuno negli ambienti della malavita. Si accompagnava frequentemente al boss Giuseppe Misso per conto del quale - spiegano gli inquirenti - ha partecipato ad alcune sparatorie guadagnandosi la fama di temibile avversario dei Giuliano. Sembra che la sentenza di morte sia stata eseguita per contrasti tra le due organizzazioni sul lucroso commercio di abiti con griffe falsificate. Per eliminare Sorrentino i sicari agirono con ferocia. Secondo i carabinieri, la vittima infatti conosceva bene i suoi assassini avendoli frequentati a lungo in passato. Quando li incontrò in piazza li salutò senza timore e passò oltre. Pochi istanti dopo una pioggia di proiettili lo ridusse in fin di vita. Enzo La Penna

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