Nome in codice: «Avvocato civilista»
Nome in codice: «Avvocato civilista» Nome in codice: «Avvocato civilista» Ecco come avrebbe trattato col padre di Silvia LE ACCUSE AL GIUDICE PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Il nome in codice era «l'avvocato civilista». Cosi, i protagonisti di questa torbida vicenda, chiamavano il giudice Luigi Lombardini. E quando i pm si sono messi a cercare riscontri per verificare che l'incontro tra il magistrato e Tito Melis fosse realmente avvenuto, nell'agenda dell'avvocato Garau - legale di Melis - hanno trovato un'annotazione che si riferiva proprio al colloquio tra il padre di Silvia e 1'«avvocato civilista». C'è dunque l'agenda di Garau, indagato per favoreggiamento, ma c'è pure la relazione di servizio di un sottufficiale dei carabinieri al quale Tito Melis aveva confidato il difficile faccia a faccia notturno con il giudice anti-sequestri, subito dopo l'episodio. E c'è la testimonianza dell'altro avvocato coinvolto nell'inchiesta, Antonio Piras, il quale prima s'era limitato a dire che Melis aveva incontrato una «personalità di rilievo», ma quando ha saputo che il padre di Silvia ne aveva fatto nome e cognome, ha confermato: «Il personaggio è Luigi Lombardini». «Non è vero, mentono, tutta questa storia è un complotto ordito da alcuni miei colleglli della Procura di Cagliari», ha ripetuto il magistrato inquisito ai pm di Palermo fino agli ultmi momenti di vita, prima di spararsi. Ha negato fermanente ogni addebito, Lombardini, indicando anche il possibile movente delle presunte menzogne, ribadito in una lettera che lui aveva consegnato al suo difensore e che l'altro ieri è stata aperta e letta ai pm nel corso dell'interrogatorio. Ma dagli atti dell'inchiesta palermitana emerge un altro quadro. Dal quale non si evince che Lombarclini s'era intromesso nellle trattative del sequestro Melis per intascare denaro; potrebbe anche aver agito in buona fede, nel tentativo di liberare Silvia Melis, ma forse alla fine ha capito che gli altri co-indagati l'avevano «scaricato». L'incontro con Melis, secondo la ricostruzione degli mquirenti, avvenne nella notte tra 1*8 e il 9 ottobre 1997, un mese prima della liberazione di Silvia. I dettagli narrati dal padre dell'ostaggio hanno dell'incredibile. «Io arrivai all'appuntamento intorno alle 2 con l'avvocato Garau - ha spiegato ai pm -, il quale mi aveva rivelato che l'uomo che mi sarei trovato di fronte era Lombardini, che io non avevo mai visto prima. Ma lui s'era raccomandato di non farmelo sapere, e io dovevo fingere di non saperlo. Arrivati al luogo convenuto io scesi dall'auto e mi avvicinai a una siepe. Lombardini si avvicinò, con il volto travisato da un maglione alzato fino al naso e un cappelletto calcato sugli occhi». Il colloquio durò una decina di minuti e Lombardini, senza dire esplicitamente di essere un emissario dei sequestratori, si comportò come tale: chiese a Melis un altro miliardo di riscatto e una lettera da portare all'avvocato Piras per «scongelare» il primo miliardo già consegnato all'avvocato. «Vai subito a Gavoi e consegna a Piras la lettera e i soldi», disse l'uomo, altrimenti lui avrebbe ucciso Melis e i carcerieri sua figlia. L'imprenditore sardo risalì in macchina turbato, e nei giorni juccessivi andò effettivamente da Piras per consegnare la lettera dov'era scritto che i magistrati di Cagliari avevano autorizzato il pagamento del riscatto. Il secondo miliardo, però, non lo consegnò, e anche per il pagamento del primo pose una condizione: che prima i banditi rilasciassero Silvia. Quando, un mese dopo, sua figlia tornò a casa sostenendo di essersi liberata da sola, Melis si ripresentò per chiedere indietro quel miliardo, visto che secondo la versione ufficiale non era stato pagato alcun riscatto. Ma a quel punto Piras gli spiegò che invece Nichi Grauso aveva preso altri accordi, e che in effetti il riscatto - un milardo e quattrocento milioni, secondo l'editore era stato consegnato ai banditi. Un intreccio per molti aspetti ancora misterioso che ricorda, nei tratti essenziali, l'ipotesi accusatoria nei confronti del generale Delfino per il sequestro Soffiantini. Fatto sta che dopo la liberazione, Melis sentì puzza di bruciato. Lui aveva già confidato al sottufficiale l'incontro con Lonmardini, e il carabiniere aveva presentato una relazione scritta alla Procura di Cagliari. I pm, svolti i primi accertamenti e valutata la consistenza del caso, dopo la liberazione dell'ostaggio trasmisero tutti gli atti a Palermo, sede competente a giudicare i magistrati del capoluogo sardo. Le indagini del pool di Caselli hanno fatto il resto. Nell'ultimo interrogatorio del 29 luglio scorso, quando s'è deciso a confermare il nome di lombardini, l'avvocato Piras ha anche consegnato ai pm Ingroia, Sava e Di Leo la famosa lettera scritta da Melis: è un altro riscontro al colloquio sempre negato dal giudice. Ma ci sarebbe ancora dell'altro: alcune intercettazioni telefoniche di colloqui tra Grauso e Piras nei qtfali emergerebbero dei contrasti con le loro precedenti dichiarazioni e qualcosa sul ruolo svolto dal giudice. Agli atti dell'inchiesta è finita pure l'intervista a Grauso comparsa sull'ultimo numero di Panorama. Lì l'editore ricorda che Melis gli parlò dell'incontro «con un signore col bavero alzato», non gli fece mai il nome del giudice, e alla giornalista che domanda se è credibile che un magistrato si presenti con quell'abbigliamento risponde: «Non lo so. Sicuramente, però, non ho agito in tandem con Lombardini)). Forse, in quelle quattro ore di interrogatorio, il giudice anti-sequestri accusato di concorso in estorsione ha davvero pensato che gli altri indagati avevano deciso di «scaricarlo». Forse ha temuto che andando a curiosare tra le sue carte e nel suo computer, i pm di Palermo avrebbero trovato qualche elemento che contrastava con la sua versione dei fatti. Su questo, in attesa di capire che fine farà l'inchiesta palermitana su questa parte di mistèri del sequestro Melis, qualcosa potrebbe emergere dalle perquisizioni disposte dopo il suicidio. [gio. bia.J L'incontro a Elmas col volto coperto La replica: un complotto L'imprenditore Tito Melis dopo l'interrogatorio
A causa delle condizioni e della qualità di conservazione delle pagine originali, il testo di questo articolo processato con OCR automatico può contenere degli errori.
© La Stampa - Tutti i diritti riservati
- FRA MAGIA E STREGONERIA
- Non si mangia il gelato in boutique
- Morto Lavagnino: Welles volle le sue musiche per l'«Otello»
- Un nuovo premio
- Totti nemmeno convocato, Bobo Ú in dubbio
- Via gli osservatori Cee Ora la Bosnia esplode
- Trap: «Totti? Spero in un miracolo»
- Una giornata di tensione
- Due ex-condannati banchettano a Sanremo
- Mujib Rahman in trionfo a Dacca "Nessun legame con il Pakistan,,
- Grazie Juve, grazie Brady
- A colloquio col più famoso detective di Francia e con l'italiano che egli salvò dalla ghigliottina
- Tre domande a Capanna
- Non bastano pelliccia e permanente per fare d'un ex uomo una donna vera
- Ticino, la minaccia è svizzera
- un po'di fantascienza
- Internet, istruzioni per l'uso
- Barlassina resterà ancora tre anni «II tempo per scalare la serie B»
- Matrimonio in chiesa per una leader torinese dei transessuali
- Tre colpi contro la moglie
- 4 TERRORISTI MORTI UNO FUGGE TUTTI GLI OSTAGGI SONO VIVI ?
- Ci sono 130 mila siciliani, 100 mila calabresi, 80 mila campani e abruzzesi
- La tragedia della transessuale Richards
- Forse altri quattro ufficiali coinvolti nella "trama nera,,
- I rigori sono fatali alla Juve decimata
- Vacanze di Pasqua sotto la pioggia e con due lievi scosse di terremoto
- Carabiniere tenta di disarmare una guardia: entrambi feriti
- Polonghera, Sommariva, Montafia e Cuneo piangono quattro giovani coppie di sposi morti nell'incendio
- Due gocce di sangue possono fare piena luce sull'omicidio
- Grazie Juve, grazie Brady
In collaborazione con Accessibilità | Note legali e privacy | Cookie policy