Gli apostoli della Marca di Franco Pantarelli
Gli apostoli della Marca Nuova moda tra i giovani Usa: innamorarsi di un'azienda-mito Gli apostoli della Marca Cy NEW YORK E' la ragazza Pepsi che beve 14 lattine al giorno come se fosse una prescrizione medica, che si tinge le unghie con il logo della Pepsi e il cui criterio per decidere con quale ragazzo uscire è «sei per la Pepsi o per la Coca?»; c'è il ragazzo per il quale il mondo è quello che ha scoperto con il computer Macintosh e i (rari) momenti che passa senza la mano sul mouse li impiega a divulgare il credo Macintosh come un predicatore evangelista; e ci sono i seguaci della Nike con il suo logo tatuato sulla caviglia. Ma questi e tanti altri (cambiano le «marche» non la devozione ad esse) non sono personaggi creati per incrementare le vendite. Un'idea come questa non sarebbe venuta nemmeno ai geniali «promoter» delle ditte in questione. Quei ragazzi si sono creati da soli, nel senso che più o meno consapevolmente hanno messo in piedi una sorta di credo religioso e vi hanno aderito con tutta l'anima. Ormai sono un fenomeno che ha anche un nome, «FANatic» e che come tale ha cominciato ad essere «studiato». Di solito, dicono gli studi fatti, alle loro spalle ci sono storie di droga, di genitori divorziati che di loro se ne infischiano, di depressione. Nella «marca» trovano il punto fermo dei loro sbandamenti e vi si attaccano come a un'ancora. Vivono di quello e per quello. Claudia Montgomery, per esempio, riempiendo il proprio armadio di scarpe Nike è addirittura riuscita a venire fuori dalla tossicodipendenza. Ha anche scritto una lettera alla Nike medesima (senza spedirla, come si faceva una volta con Gesù o Babbo Natale) per rigraziarla: «Anche questa è una dipendenza, ma almeno è sana». Attenti a riderci sopra, dicono gli studi di cui sopra: anche questa in fondo è una forma di spiritualità. Franco Pantarelli
Persone citate: Babbo Natale, Claudia Montgomery, Gesù
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