«America, colpiremo ancora» di Franco Pantarelli

«America, colpiremo ancora» Sgomberata l'ambasciata nello Swaziland dopo una telefonata che annunciava un'altra esplosione «America, colpiremo ancora» Nuove minacce, stato di allarme NEW YORK NOSTRO SERVIZIO E' durata poco ma è stata fortissima, ieri, la paura che qualcos'altro di terribile stesse per accadere a un'ambasciata americana in Africa. Era giunta notizia che a Mbabane, la capitale dello Swaziland, fosse stata precipitosamente evacuata la sede dell'ambasciata in seguito alla segnalazione di una nuova bomba. Non si capiva se la segnalazione fosse arrivata da una minaccia telefonica o da qualche informatore, ma quello che conta è che poi lo scoppio non c'è stato, le ricerche dell'ordigno non hanno dato esito e l'allarme si è sgonfiato, lasciando però l'idea di come al dipartimento di Stato e fra i diplomatici americani si stia vivendo il «dopo» delle esplosioni di Nairobi e Dar es Salaam. Tutte le ambasciate hanno ricevuto l'ordine di mantenere lo stato d'allarme anche perché il portavoce del Dipartimento di Stato Patrick Kennedy ha annunciato che ci sono state nuove minacce di bombe contro ambasciate americane in tutto il mondo. A Washington la discussione per stanziare i fondi necessari a rafforzare le misure di sicurezza promette di risultare speditissima. Il segretario Madeleine Albright ha detto che la richiesta, da presentare al Congresso è quasi pronta e che sarà «sostanziosa». E i leader dela maggioranza repubblicana si sono detti pronti ad ascoltare con «estrema attenzione» ciò che la signora avrà da dire. Sulle indagini che gli agenti dell'Fbi stanno conducendo a Nairobi e a Dar es Salaam non si sa molto. Un passo importante sarebbe la determinazione certa dell'esplosivo usato, che potrebbe aiutare a risalire alla fonte, dicono gli investigatori. A un certo momento, ieri, si è cominciato a parlare di un plastico prodotto nella Repubblica Ceca e venduto in grande quantità alla Libia, ma poi nessuno dei responsabili ha confermato. L'individuazione dell'esplosivo, dicono gli investigatori, è di un'importanza equivalente solo a quella di trovare un «traditore» dei terroristi disposto a parlare, per la qual cosa l'altro ieri, come si sa, è stata offerta una ricompensa di due milioni di dollari. In Tanzania sono stati arrestati 6 iracheni, 6 sudanesi, un turco, un somalo e un numero imprecisato di tanzaniani, fino al totale di una trentina. Ma gli uomini dell'Fbi non sembrano credere al loro effettivo coinvolgimento negli attentati. A renderli scettici, ha detto uno di loro a un giornalista della Reuter, è la motivazione del loro arresto. Gli stranieri «non hanno saputo dare una spiegazione soddisfacente della ragione per cui si trovano in Tanzania», hanno detto le autorità di Dar es Salaam, e i tanzaniani sono stati arrestati per via del loro «dubbio carattere». Lo scarso coordinamento, chiamiamolo così, fra l'Fbi e le polizie locali è stato in qualche modo confermato anche da George Agol, investigatore capo di Nairobi. «Gli americani badano ai fatti loro e noi ai nostri», ha detto, aggiungendo che lui personalmente gli agenti dell'Fbi non li ha neanche visti. Anche le ricerche che gli agenti compiono fra le macerie sono state finora avare di indizi. Lì oltre tutto c'è il problema che poiché il salvataggio di qualche possibile sopravvissuto ha la precedenza su tutto, le zone degli scoppi nelle due città sono state «battute» da centinaia di persone e i possibili indizi potrebbero essere stati ormai cancellati. Complessivamente, gli agenti presenti nei due Paesi sono circa 200, e ieri Bill Clinton ha formalmente comunicato la notizia al Congresso, in omaggio alla legge del 1973 (varata dopo che a furia di mandare «consiglieri» si scoprì che nel Vietnam c'erano 500.000 uomini), secondo la quale ogni «invio di truppe all'estero» deve essere notificato al Congresso entro 48 ore. Fra le dodici vittime americane di Nairobi c'è anche un agente della Cia. La voce, cominciata a diffondersi ieri mattina, è poi stata confermata da una fonte della Casa Bianca, evidentemente in disaccordo con la linea tradizionale della Cia medesima, cioè quella di non confermare e non smentire mai nulla. Il suo nome non si conosce e non si conoscerà neanche domani, quando alla base militare di St. Andrews, le salme di undici di quelle vittime (la dodicesima era sposata con un kenyota, la sua vita era a Nairobi ed è lì che verrà sepolta) saranno accolte da Bill Clinton per la cerimonia funebre. Nessuno sa se la presenza di quell'agente a Nairobi fosse di routine o se stesse svolgendo qualche compito speciale, ma non ci sono indicazioni, almeno finora, che gli attentatori abbiano voluto colpire innanzi tutto lui, né che questa ipotesi venga contemplata dagli investigatori. Gli studenti di Nairobi ieri hanno dato vita a un corteo per la città. «Gli americani combatteteli in America», dicevano i cartelli. Franco Pantarelli

Persone citate: Andrews, Bill Clinton, George Agol, Madeleine Albright, Patrick Kennedy