Il Sol Levante si è spento

Il Sol Levante si è spento Tokyo ha perso la fiducia dopo gli anni del boom speculativo Il Sol Levante si è spento PRIMA che economica, la crisi del Giappone è di identità e di senso della direzione in una fase di profonda angoscia collettiva. Il Paese è in recessione malgrado condizioni che altrove sarebbero da catapulta per spettacolari riprese: tasso di sconto allo 0,5 per cento, crescenti risparmi privati, imponente pacchetto di sgravi fiscali e di lavori pubblici per oltre cento miliardi di dollari. La disoccupazione è al 4,5 per cento, la più alta dal dopoguerra, ma lo stesso dato negli Stati Uniti è vantato come un trionfo. Quel che manca a Tokyo è la fiducia nel futuro. Il Paese che uscì dalle ceneri dello scoppio nucleare per conquistarsi potenza economica dopo il crollo politico-militare, non riesce a sollevarsi dal flop dell'economia speculativa di fine anni Ottanta quando immobili e borsa erano alle stelle. Nel 1990 la capitalizzazione della borsa di Tokyo costituiva da sola il 45 per cento di quella delle borse di tutto il mondo; il valore della sola area dei giardini imperiali nel centro della capitale era pari a quello di tutta la California. Follie contabili, chimere collettive. La proprietà di una casetta dava l'illusione di ricchezza sconfinata. Un qualsiasi «salaryman» sotto il proprio tetto si sentiva Paperone. Nulla è cambiato nel sistema economico, neanche per quello stesso salaryman: ma sotto quel tetto caduto di valore di circa la metà, non si sente più Paperone. Mentre molti intorno a lui perdono il posto, lui spende sempre di meno, accumula risparmi, in una crescente angoscia per il futuro. Non ha mai investito in borsa - vi finiva solo il 7 per cento dei risparmi, anche all'epoca del boom - ma con tante banche in malora, e con i bassi interessi che ne ricaverebbe, i risparmi li tiene sotto il materasso. E intanto altri stanno meglio: i prezzi sono in calo, grazie al ribasso degli immobili possono comprarsi una casa o affittarne una più decente. Recessione, in Giappone, non vuol dire torme di affamati, ma gente che sentendo tanto parlare di crisi si comporta di conseguenza e non spende. Il Giappone non si sente più Number One, e questa è l'angoscia. Teme di essere risucchiato in un'Asia a cui si è sempre sentito estraneo e superiore, e la cui crisi è profondamente diversa. Ma il coinvolgimento nella crisi regionale innescatasi un anno fa è la punta d'un disagio collettivo nipponico da tempo latente. Il '95 è stato l'anno fatale, quando con meno di cento yen si comprava un dollaro, contro i 147 di oggi. La psiche nazionale veniva lacerata da due eventi: il terremoto di Kobe e l'attacco terroristico col gas nella metropolitana di Tokyo, con decine di morti e centinaia di feriti. Al terremoto il Paese era storicamente preparato, ma proprio per questo, in termini psicologici e tecnici con strut- ture e costruzioni antisismiche, si sentiva al sicuio. Non si aspettava le devastazioni: le immagini di sopraelevale auiostradali afflosciatesi come se di burro, di un'intera città devastata hanno lasciato il segno. Due mesi dopo, l'attacco nella metropolitana ha aggravato quella ferita. Il Giappone Numero Uno si è rivelato vulnerabile come gli altri, forse di più, mentre con la fine della guerra fredda i rapporti geopolitici e economici sono cambiati. La Cina incombe con il suu sviluppo ancora impetuoso e con la sua mera dimensione geogiafica e demografica. La sconfitta dei liberatdernocratici alle elezioni del 12 iuglio e rivelatrice dello smarrimento. No a quella classe politica, ma l'opposizione è frantumata e confusa come la maggioranza. Sbaglia però chi suona le campane a morto per il Giappone. Esso resta la seconda economia mondiale, con ima forza lavoro tra le più istruite, capitali immensi, le maggiori compagnie gonfie di profitti, riserve valutarie che sono le più alte del mondo. Crisi di psicologia collettiva, non di mi sistama economico di terzo mondo. Fernando Mozzetti

Persone citate: Fernando Mozzetti