Io, cittadino della Repubblica di Paranoia

Io, cittadino della Repubblica di Paranoia Dall'assassino di John Kennedy a quello di Lennon: dopo vent'anni di silenzio, il creatore di demoni confessa le sue ossessioni Io, cittadino della Repubblica di Paranoia ESSERE Stephen King significa vivere un destino traumatico. La sua testa funziona da incubatrice per gli incubi del mondo. 11 suo volto - attualmente privo della barba con la quale si iberna durante i gelidi inverni del New England - assomiglia molto a quella di una pietra tombale, mentre i suoi occhi lampeggiano costantemente, dato che hanno ormai assistito a troppe battaglie notturne tra demoni. Da vent'anni non concedeva interviste: l'ho incontrato, sempre preda dei suoi brutti sogni, nella umidissima cittadina di Bangor, nel Maine: vive in una villa vittoriana, segnata da una serie di torrette che sembrano fatte apposta per tenerci prigioniero qualche parente malato di mente e circondata da una cancellata il cui ferro imita le reti dei ragni e le ali dei vampiri. In realtà, tutto il suo lavoro si svolge in una minuscola casetta, proprio dietro l'aeroporto. E' una sistemazione meno strana di quello che sembra: uno scrittore così straordinariamente produttivo non può che starsene in una zona industriale. E i suoi vicini sembrano annunciare l'apocalisse. All'angolo c'è un impianto della General Electric, che potrebbe essere pronto (come grida un ubriacone in Le creature del buio) «a uccidere milioni di persone e trasformare vaste terre in lande sterili». Di fronte, c'è un'altra casetta, come la sua, occupata dall'<tInternational paper research center», che publicizza un qualche materiale che viene eufemisticamente definito «fibra sintetica». King punta il dito contro i killer degli alberi. Nei suoi romanzi, infatti, si scaglia spesso contro la loro distruzione, ma dovrebbe prendersi la sua parte di responsabilità per la deforestazione: attualmente, infatti, ci sono in circolazione almeno 80 milioni di copie dei suoi libri. «La mia generazione - mi dice - ha scambiate Dio per Martha Stewart. E' lei la sacerdotessa dell'etichetta che ha insegnato che quando si spazza la neve dal sentiero di casa bisogna lasciarne un paio di centimetri ai lati, perché fa tanto fine». Fa una pausa per chiarire il punto. «Abbiamo cominciato protestando contro la guerra del Vietnam, ma non abbiamo mai espiato e, così, la guerra non è mai finita. Uno dei libri che pubblicherò l'anno prossimo è una collezione di racconti che si intitolerà Perché siamo in Vietnam». Poi riprende a parlare del crollo della nazione. «Nessuno della mia età è disposto ad ammettere di aver vissuto gli Anni 60. E' come stare a una festa proibita mentre arriva la polizia. Il governo ci ha reso tutti yuppies reaganiani. Ci hanno dato azioni fasulle come i "junk bonds", bei vestiti e tutta la cocaina che potevamo sniffare». Mentre si scalda, comincio a capire che tipo di persona sia King, con i jeans che non riescono a coprirgli completamente il sedere, il vecchio pick up, la squallidissima spazzatura del suo ufficio, con le lattine vuote di Diet Pepsi e le bustine del tè infilate nelle tazzine di carta. Sebbene l'anticipo medio per uno dei suoi romanzi sia di 17 milioni di dollari, lui mantiene il suo rigore, vivendo come un colletto blu. In Cose preziose fa risalire l'opulenza americana a un patto con il diavolo. «Ogni cosa è in vendita e il solo prezzo è l'anima immortale. Sono convinto che quel libro fosse maledettamente divertente!». In effetti, King è intriso di spirito satirico, uno che crea per dare a se stesso il sottile piacere di distruggere. Nel suo nuovo romanzo Bag ofBones la moglie «La del narratore muore già alla prima pagina: «Oh, è proprio quello che amo di più: far fuori un protagonista già all'inizio!». In Le notti di Salem e in Le creature del buio, invece, King popola intere cittadine del Maine di simpatici, grezzi e bitorzoluti personaggi e poi si preoccupa che siano straziati a morte da orde di vampiri oppure risucchiati da alieni. In The Stand, poi, colpisce gli interi Stati Uniti, infettando i suoi compatrioti di un virus letale. Gli ho chiesto perché si impegni così tanto a dare la vita per poi tormentarne i possessori. Per tutta risposta, lui si è paragonato al solo creatore che sia altrettanto generoso e infaticabile, e ugualmente scevro da qualunque preoccupazione artistica. «E' come fare ciò che Dio ha fatto a noi», dice, aggiungendo una bestemmia degna del capitano Achab di Melville: «Il bastardo!». Poi, comincia a enumerare le nostre disgrazie e la sua voce assomiglia tanto a una campana che suona a morto. «Cancro, infarto, ictus, diabete, gente intrappolata in case che vanno a fuoco, eccetera eccetera. La pelle del mondo è sottile e io lo spiego nei miei libri». King si alza dalla sedia in cui si è accovacciato e mi fulmina con piglio da predicatore: «Noi siamo piccoli piccoli! Qualcosa finirà per succederci, anche se non sappiamo ancora che cosa sarà. Moriremo tutti. Tutti quelli in questa stanza moriranno». E, dato che nella stanza ci siamo solo lui e io, la notizia mi aliar- ma non poco. Vorrà forse provare la veridicità del suo assunto eliminandomi come uno dei suoi personaggi? Dopo tutto, lui si è paragonato a «un bombarolo pazzo». In realtà, non dovrei allarmarmi. Nonostante l'aspetto che lo fa assomigliare a un grizzly furioso, King è un gigante buono. Il problema sono le sue parole, come se un demone lo stesse possedendo. A tu per tu come sulla pagina scritta il suo stile ricorda la filippica, irrefrenabile come se fosse una profezia oppure un conato di vomito. Le sue parole risuonano come l'acqua che piove in una grondaia e, infatti, in un saggio sui gargoyles che popolano i tetti di New York paragona lo scrittore a un sistema di drenaggio, la cui immaginazione «gli dà modo di ripulire gli scarti mentali delle sue paure nascoste e delle sue inadeguatezze». La nozione di ispirazione divina gli è naturale. In effetti, nessuno potrebbe scrivere tanto quanto King, se non ci fosse una sorta di assistenza esterna. E da lì ecco le fantasie su uno scrittore telepatico in Le creature del buio, che trascrive i pensieri in forma automatica, oppure l'incantesimo di Bag of Bones, quando una penna astrale si infila tra le dita di uno scrittore che non riesce più a scrivere e comincia a dettargli messaggi occulti. King è un lavoratore che ama e odia i suoi strumenti. Ricorda con rabbia la sua prima macchina da scrivere, comprata per 35 dollari, come «una massa di ferro, simile a uno strumento di tortura. La lettera "m" si guastò e ogni volta dovevo scriverla a mano. Era un mezzo liberatorio, ma anche tremendo. Mi sentivo come James Bond alle prese con la macchina descritta in "Goldfinger". Si mette a pedalare e dopo un po' chiede: "Vuole anche che mi metta a fare conversazione?". E Goldfinger risponde: "No, signor Bond, mi aspetto che lei muoia!". Il computer è straordinario, è come pattinare. Ma resta tutto in superficie, è come se le parole restassero dietro un vetro». Così è successo che a volte King sia tornato a stringere una penna. «Ho scritto la maggior parte di Misery a mano, alla scrivania di Kipling che si trova al "Brown's Hotel" di Londra. Tempo dopo, ho scoperto che era morto proprio a quella scrivania. Il fatto mi ha terrorizzato, e ho lasciato l'hotel». Allora, si può dire che King sia lo stenografo utilizzato da qualche fonte ultraterrena? Lui non si preoccupa certo di negarlo. Poi, parlando del terzo volume della sua saga medievale La toire nera, ringrazia la segretaria per averlo spinto a finirlo. Chiama allora Marsha e le fa raccontare per filo e per segno dei sacchi di lllllfllf posta che ha aperto, <.~~-'*' tutti inviati da vecchiette che pregavano King di riprendere la storia in modo che potessero sapere come andava a finire prima di morire. «La fiction - spiega - è fatta apposta per affrontare certi problemi, per esempio perché siamo qui oppure la differenza tra predestinazione e casualità». Alza gli occhi al cielo, o meglio, al soffitto basso e un po' scrostato, e poi, di nuovo, sembra rivolgersi direttamente a qualche deità. King, cittadino di una nazione che ha soprannominato «La Repubblica Popolare della Paranoia», sembra ogni tanto essersi intrappolato nelle sue stesse trame. Per anni, per esempio, aveva spiegato la sua solitudine come conseguenza dello scontro con il killer di John Lennon. Sarebbe stato avvicinato da un ragazzo che gli gridò: "Sono il suo fan numero uno". King si ricordava di avergli firmato l'autografo. Peccato, però, che la storia non fosse vera. «Non posso averlo certo incontrato», dice adesso. «Le date non collimano. Lui era alle Hawaii quando io ero a New York. Quindi, lei può pensare che io sia paranoico». Ma, subito, comincia a costruire una storia alternativa. «In realtà, a quell'epoca dovevo subire le attenzioni di un fan ossessivo, un tipo che mi faceva firmare qualunque cosa. Aveva occhialetti rotondi, proprio identici a quelli di John Lennon...». Ho lasciato che continuasse a parlare. Forse, con il tempo, si convincerà che il fan ossessionante era Lennon, non il suo assassino. Ma King ha anche un'altra ossessione, Lee Harvey Oswald. Un inesistente storico citato in «Carrie» sostiene che «i due maggiori eventi del ventesimo secolo» sono i'assassinio di John Fitzgerald Kennedy da parte di Oswald e il rito omicida di Carne, quando decide di incenerire la sua città. King mi parla di Oswald quando riprende a parlare del Vietnam. «Sentimmo che si poteva eliminare il Presidente e cambiare tutto. Eravamo tutti nel deposito di libri di Dallas e tutti avevamo il dito appoggiato sul grilletto!». Dev'essere l'unico sopravvissuto degli Anni 60 che considera la campagna con Lyndon Johnson come una sorta di ripetizione dell'omicidio di Kennedy e mischiando insieme Oliver Stone e Steven Spielberg in quello I uo subito fuori nizio» che definisce «il grande compressore della spazzatura culturale» - lega l'omicidio alla ricerca dell'arca perduta. Queste fantasie sfrenate sono uno dei lieviti della sua arte. «Io non ho mai visto un fantasma - dice -, ma a volte, di notte, vedo delle ombre e mi convinco che mi stanno raccontando qualcosa di altre forme di vita». King ha fama di indulgere con i toni forti. Le mestruazioni di Carrie, per esempio, sono esplicite. L'eroe di Rose Madder è un poliziotto cannibale. In La metà oscura la lingua di una vittima viene inchiodata al muro. Eppure, sceglie di essere orripilante solo come ultima risorsa. La sua vera preoccupazione è il terrore, non l'orrore, e considera la paura che riesce a disseminare come il sintomo di quello che Coleridge definiva il «brivido freddo». E quando gli chiedo di definire la paura, mi dice soltanto: «E' un'intensità!». I Romantici l'avrebbero chiamata senso del sublime, il senso di disorientamento provocato da montagne incombenti e da oceani turbinosi, tutti segni visibili dell'energia divina. La paura, in fondo, segna un confine metaforico. Tornando a parlare dell'America, la sua realtà, in genere, è molto più sconvolgente delle sue finzioni e sembra aver assorbito tutto il peggio dell'immaginazione di King. 1 teenagers non hanno più bisogno di ispirarsi a talenti come Carrie o Charlie: appena pochi mesi fa, un paio di loro si è messo a sparare su compagni di scuola e insegnanti. E, ormai, non è più saggio per King definirsi un «bombarolo pazzo». Dopo l'esplosione del '95 a Oklahoma City l'America ha scoperto di possedere una milizia di terroristi fatti in casa, uno dei quali - proprio come King - è stato un fenomeno editoriale: Unabomber, infatti, cercava di ricattare i giornali da Est a Ovest per costringerli a pubblicare i suoi prolissi manifesti. A questo punto, King si diverte a citare una frase usata dall'editore Maxwell Perkins per descrivere Tom Wolfe: «un divino scampanio nel vento», che risponde immediatamente a qualunque brezza culturale. Ma lo scampanio nel vento non mi sembra lo strumento di King e ho anche qualche dubbio che l'ispirazione sia davvero divina. Forse, sarebbe meglio definirlo un diabolico rintocco nella nebbia. Peter Conrad Copyright «The Observer» e per l'Italia «La Stampa» Nella prima pagina del suo nuovo romanzo si trova subito ciò che ama di più: «Farfuori un protagonista già all'inizio» La sua mente funziona come un'incubatrice per i terrori del mondo: «La paura? E' un'intensità» «Non ho mai visto un fantasma, ma a volte, di notte, vedo delle ombre e mi convinco che mi stanno raccontando qualcosa di altre forme di vita» ,'v, : ' \v:-' lllllfllf<.~~-'*' Stephen King. Sopra, Rudyard Kipling A destra, Lee Harvey Oswald