La quarta fuga del vecchio Milan

La quarta fuga del vecchio Milan La quarta fuga del vecchio Milan Ottantasei anni, una vita da eterno rifugiato UNA GUERRA EUROPEA PRISTINA DAL NOSTRO INVIATO Se mai questa storia troverà un senso, forse il posto migliore in cui cercarlo è questo. Siamo alla periferia della cosiddetta capitale, in quella che un tempo fu una palestra intitolata a «Boro e Ramiz», uno serbo, l'altro kosovaro. Partigiani che ai tempi della guerriglia di Tito trovarono motivi per combattere dalla stessa parte. Adesso la palestra dedicata agli eroi comunisti è una sorta di gigantesca sauna per disperati. Disperati serbi, beninteso, reperti di un'epoca priva di epopea. Poveri avanzi di un Paese che tra una sconfitta e l'altra si scopre calato in una marmellata nazional-socialista da cui nessuno riuscirà più a scollarsi. Nei giorni in cui 200 mila profughi albanesi continuano a nascondersi tra le montagne, una storia dedicata ai profughi serbi può apparire strana. Eppure fra mandrie umane che continuano a nascondersi fra le montagne, donne che partoriscono sotto i pini e guerriglieri che guerrigliano, ieri qualcuno ha scoperto un sopravvissuto. Si chiama Sahit Hoti, ha 87 anni: l'hanno trovato in una macchia di pini dove da 13 giorni, seduto sotto un cespuglio, aspettava che la bufera passasse. Abitava con la famiglia a Banja vicino a Malisevo, villaggio-simbolo dell' «Uck», attaccato dai serbi il 28 di luglio. Racconta di essere «scappato» con la famiglia, ma a quell'età correre diventa difficile. E' rimasto solo. Per tutto questo tempo si è abbeverato ad una fonte ed ha mangiato bacche. Magro, era anche prima. «Mi hanno trovato perché un mio nipote è arrivato fin qui: stava cercando le vacche scappate dalla stalla». Dicono il vecchio Sahit non abbia ben realizzato la successione degli eventi. Confonde date e situazioni, ragioni ed eserciti. Eppure adesso, in questa palestra al¬ la periferia di Pristina, c'è un altro vecchio che sovrappone storie, date e nomi, ma finisce col raccontare una verità vera. Milan Milanovic ha 86 anni, sua moglie Snejana 81. Se mai è esistita una coppia di poveri vecchi, eccola: vestono abiti senza tempo, mostrano grandi piedi in eterni calzini. Sono scappati anche loro, lentamente, come fanno i vecchi. Abitavano nella cittadina di Orahovac. E' la quarta migrazione della loro vita. Sedersi in questa palestra arroventata dal sole, fra le brande di un'umanità senza futuro, è come scoprire che la letteratura anticipa la vita. Dire Milan Milanovic, in serbo, è come evocare in italiano un Giuseppe Rossi. Il nome più comune, la persona più comune, l'esistenza il più ordinaria possibile. E di ordinario nella vita di Milan ci sono anche le fughe. E' già scappato quattro volte, per quattro volte nella vita ha dovuto abbandonare casa, figli, campi e trasferirsi altrove. L'ultima tre anni fa, nell'agosto del '95, quando le Kraijno furono riprese dai croati e i serbi fuggirono in massa. Anche Milan, a que¬ st'età, fa un po' di confusione: «I nazisti sono arrivati il 5 di agosto... o no, non erano i nazisti, quelli erano croati. I nazisti arrivarono 50 anni prima». Lui ha l'irreparabile torto di essere nato a Virginmost, zona da sempre contesa, area storica dell'epopea serba. Allora, Milan, prova a spiegarti meglio. La moglie giunge in soccorso: racconta che la prima fuga della famiglia avvenne nel '41, con l'invasione tedesca della Jugoslavia. La seconda nel '43, quando dopo il rientro la guerra si metteva male per l'Asse e gli «ustascia» cominciavano ad impazzare. La terza fuga fu colpa dei comunisti. Uno dei Milanovic aveva combattuto coi «cetnici» di Draza Mihajrovic, e la reazione dei titini fu violenta. Ultima, definitiva migrazione quella di tre anni fa, coi profughi delle Kraijne spediti direttamente qui, ai confini meridionali, e in treno, perché nessuno potesse scap- pare. Adesso al vecchio Milan (come al vecchio Sahit, l'albanese delle montagne, due uomini che probabilmente non si sono mai incontrati e non si incontreranno più) la storia impone un'altra migrazione. «E' che mandandoci qui ci avevano promesso la pace», racconta il vecchio serbo, che coi grandi piedi piazzati sulla branda sembra guardare dall'alto le contingenze del mondo. «Quando, a 80 anni suonati, mi hanno spedito qui, un funzionario del governo spiegò che in Kosovo la nostra vita sarebbe cambiata. Venite qui, diceva, le case abbandonate dagli albanesi saranno vostre, la vita finalmente sarà più facile, avrete assistenza e lavoro...». Lavoro per una persona di 80 anni? «No, non per me... Io avrei dovuto ricevere assistenza». E l'ha avuta? «Qualche pacco di farina, una volta un prosciutto. Nel dicembre del '96 il pope ci ha regalato anche dei soldi». Quanti? «Dieci dinari, mi sembra...». Milleseicento lire è tutto quello che Milan Milanovic ha ricevuto per rendere più lieve la quarta, forzata migrazione della sua vita. I destini umani che Milos Cernjasnkj descriveva sessantanni fa nel primo volume del famoso «Migrazioni» si riferivano a eventi di quat tro secoli fa. Né Milan Milanovic né Sahit Hoti avrebbero potuto immaginare di doverli subire alle soglie del Duemila. Giuseppe Zaccaria «Un funzionario del governo spiegò che qui la nostra vita sarebbe cambiata Avremmo ricevuto le case abbandonate dagli albanesi assistenza e lavoro» «Tutto quello che ho visto è stato soltanto qualche pacco di farina un prosciutto e dieci dinari regalati dal pope: milleseicento lire» Costretto a lasciare il suo villaggio prima dall'invasione tedesca, poi dagli ustascia quindi dai titini, infine dalla riconquista croata delle Krajine E ora si ritrova in una guerra Guerriglieri albanesi del Kla tra le rovine di Likovac una delle ultime roccaforti della resistenza degli indipendentisti del Kosovo contro l'avanzata dei serbi. A sinistra, Halil Kadriu davanti alle rovine della scuola dove faceva il maestro a Likovac

Luoghi citati: Jugoslavia, Kosovo