Si spegne il lamento di Rose di Francesca Baronio

Si spegne il lamento di Rose Si spegne il lamento di Rose E i soccorritori devono arrendersi ai crolli Due soldatesse di una unità specializzata israeliana impegnate ieri a Nairobi nella ricerca di eventuali altri superstiti sotto le macerie dell'edificio demolito dall'auto-bomba [foto ansai NAIROBI NOSTRO SERVIZIO Sembra non ci siano più speranze per Rose, la donna iimasta prigioniera nell'androne dell'ascensore della Ufundi House,1 . palazzina di cinque piani crollata durante l'esplosione dello scorso venerdì che aveva come obiettivo la vicina ambasciata americana. Ieri mattina i febbrili tentativi di salvare le vite di chi era stato risparmiato dal soffio della morte dopo il crollo degù edifici adiacenti all'ambasciata americana hanno dovuto essere interrotti, in quanto sembrava concreto il rischio che il palazzo di ventidue piani della Cooperative House potesse cedere. Ralph è uno dei volontari con cane lupo arrivato dalla Francia per aiutare a scavare tra le macerie alla ricerca dei sopravvissuti. «Stamattina il cane ha sentito un sibilo, ho provato ad amplificarlo con il mio apparecchio; non potrei giurarlo ma il mio intuito mi dice che c'era ancora qualcuno là sotto». Ma intomo alle 11 un mezzanino di ce • mento a ridosso della Cooperative House si è staccato, e chea cinquanta tonnellate si sono abbattute sulla Ufundi House, «proprio sopra a Rose, la donna con cui siamo stati in contatto tutto ieri», racconta un volontario israeliano, «così», continua, «abbiamo dovuto sospendere i soccorsi, non so se Rose fosse ancora viva, in ogni caso doveva essere sotto shock perché da ieri pomeriggio alle 16 non abbiamo più sue notizie». Poi gli uomini dei soccorsi si sono riattivati ma la speranza di trovare i corpi ancora vivi è ridotta al lumicino. Il numero dei cadaveri cresce in continuazione. «Ogni volta che la ruspa fa il pieno di calcinacci tremiamo», dice ancora Ralph, «non ho contato i cadaveri, ma fra ieri e oggi sono almeno ottanta». Il quotidiano «Standard» di ieri annunciava che il numero dei morti ammontava a 174, i dispersi sono invece calcolati fra gli 80 e i cento, all'appello mancherebbero anche una ventina di persone che lavoravano nell'ambasciata americana. Non tutti i dispersi si trovano ancora sotto le macerie, molti giacciono irriconoscibili al Nairobi City Mortuary, l'obitorio della città dove decine di cadaveri sono accatastati gli uni sugli altri; anche qui non erano preparati a una simile tragedia. Va meglio, invece, nei due maggiori ospedali della città, il «Nairobi Hospital» e il «Kenyatta Hospital», dove ora lavora anche un team di 26 medici israeliani arrivati 24 ore dopo l'attentato. La situazione è sotto controllo, c'è stata ima gara di solidarietà e in molti si sono recati a offrire il sangue. La comunità musulmana del Paese ha espresso il suo cordoglio all'intera nazione. «Ci dissociamo da questa orribile bomba e condanniamo pesantemente l'attentato», ha detto Munir Mazrai, vice presidente del Supreme Council of Kenya Muslims. I musulmani sono circa il 30 per cento della popolazione keniana, e vivono per la maggior parte sulla costa. Non ci sono mai state particolari tensioni fra questa comunità e il resto del Paese, per la maggior parte protestante e cattolico. Ma, poco più di una settimana fa, la comunità musulmana aveva fatto demolire un mercatmo che vendeva souvenir per i turisti perché troppo vicino alla moschea centrale di Nairobi. Questo aveva creato forti tensioni e proteste da parte dei venditori ambulanti. «Ecco quello che hanno fatto i musulmani», ci dice Joyce, additandoci il luogo dove prima c'era il suo banchetto, diventato ora solo uno spiazzo brullo. Ma non c'è traccia di odio: «Una cosa è abbattere un mercato, un'altra mettere una bomba, non crediamo che gli islamici del Kenya lo farebbero. Sono nostri fratelli», dice la gente. In effetti mai si era vista tanta solidarietà. Gli ospedali, anche quelli privati, hanno richiamato il personale in vacanza ed hanno accettato feriti anche senza la usuale garanzia del pagamento. Centinaia di keniani tutti i giorni fanno la coda di fronte ai centri di raccolta del sangue; il giorno della tragedia, i primi aiuti sono venuti da automobilisti di passaggio, così come i primi disperati soccorsi sono stati portati dai passanti. Insomma, sembra che nella disgrazia il Paese, che sta vivendo un momento di grave crisi economica e di divisioni politiche ed etniche, abbia ritrovato la sua unità. Francesca Baronio Il vicino palazzo della Cooperative House (ventidue piani) dà segni di cedimento

Persone citate: Kenyatta

Luoghi citati: Francia, Kenya, Kenya Muslims, Nairobi, Rose