Ultimi fuochi prima della fuga
Ultimi fuochi prima della fuga Ultimi fuochi prima della fuga Una mini-rivolta vicino a Siracusa L'ATTESA DELLA LIBERTA' contemporamessi in li- CALTANISSETTA DAL NOSTRO INVIATO Un signor pubblico ministero con la faccia molto severa ha detto al giovane avvocato difensore d'ufficio dei clandestini che nella grande fuga «ci sono reati per condanne da 3 a 15 anni» ed ha voluto che rimanessero amma- ( % nettati e incatenati fra loro per tutto il tempo dell'udienza. Ma mentre qui a Caltanissetta lo Stato mostrava il volto duro del suo pm, a Trapani gli impotenti funzionari della questura preparavano la libertà per i primi sbarcati. Burocrazia italiana e melina maghrebina si sono miscelate in un coktail che sta facendo bollire di tensione e di attesa tutti i campi profughi della Sicilia. Domani scadono i trenta giorni per i 56 sbarcati a Pantelleria l'il luglio: sarà dato loro un foglio di espulsione dall'Italia, ma neamente saranno berta. Avranno 15 giorni di tempo per lasciare il Paese. E' l'ipocrita sigillo della clandestinità. Il colorito popolo dei barconi che attraversano il Mediterraneo, per quanto straccione, lo sa bene. Conosce le leggi e aspetta. Il calendario ferragostano è uno scadenzario di débàcle. A Trapani, dopo i 56 di domani, ne saranno rilasciati altri 32 giovedì. Il 15 agosto scadono i trenta giorni per 82 di Agrigento e per 65 di Catania. Il 18 agosto saranno liberi altri 295 immigrati «ospitati» nel campo di Siracusa. Insomma via libera. Il Viminale ammonisce gli «espulsi»: tornate al vostro Paese perché se non rispettate il foglio di via, non potrete avere un lavoro legale. Ma la minaccia non fa paura a nessuno. Qui, nei campi della Sicilia, la vera paura era quella dei rimpatri di massa che dovevano avvenire secondo gli accordi firmati tra governi. Ma ormai tutti hanno capito che quei rimpatri non ci saranno. L'Hercules dell'aeronautica militare è rimasto a dormire sulla pista di Lametia Terme. E tuttavia qualche rientro forzato ci sarà, interessa 7 nordafricani che verranno allontanati da Catania, altri da Trapani. La cronaca di un'ennesima giornata difficile s'è aperta con un nuovo sbarco a Lampedusa. Un barcone di 12 metri è stato avvistato a 5 miglia dalla baia dei conigli. A bordo 63 persone: 57 sedicenti marocchini (due donne), un tunisino, due libici, due palestinesi, un egiziano. Il comandante della barca stranamente era ancora a bordo. Mohamed Fahem, 29 anni, tunisino, è stato arrestato. Ma intanto a Fozzallo, il «campo» in provincia di Siracusa, scoppiava una mini-rivolta. Materassi ammonticchiati e incen- diati, un marocchino che si è tagliato le vene con schegge di un bicchiere di plastica, una pakistana che aveva dichiarato di essere medico è scomparsa. Bollettino di fuochi ordinari che si accendono ogni giorno e che stanno portando allo stress poliziotti, questori e prefetti. Quando gli si chiede se hanno notizie da Roma, se si parla di rimpatri o cose del genere, rispondono tutti allo stesso modo: «Non sappiamo niente, le notizie le leggiamo sui giornali». E qui a Caltanissetta, ieri, s'è consumato un altro rito di questa commedia dell'assurdo. In aula - a porte chiuse - davanti al pretore Claudia Castellano sono comparsi quindici dei venti arrestati per la grande fuga di venerdì notte dal campo di Pian del Lago. Imputati di lesioni e danneggiamenti. Non certo di evasione perché non essendo «detenuti» non potevano nemmeno «evadere». C'era il pubblico ministero Massimo De Cesare, l'avvocato (giovanissimo) nominato d'ufficio Giovanni Di Giovanni, un interprete, El Arbi Mekuaouni, un marocchino di Casablanca che vive qui da undici anni, fa il barista e traduce. L'udienza era per la convalida degli arresti. E sono stati tutti convalidati, eccetto che per due che si sono dichiarati minorenni e per i quali l'avvocato Di Giovanni ha ottenuto il trasferimento in un centro di accoglienza. Oggi ci sarà il vero processo per tutti, compreso il rais del gruppo, l'ormai leggendario «Tyson», trasferito nel carcere di Nicosia l'altra notte con il massimo delle cautele. Oggi, in aula, dunque, il capo ritroverà i suoi uomini. Ma non succederà nulla. «Tyson» e i suoi uomini vogliono tornare prima possibile al campo da dove sono scappati con tanta facilità l'altra notte. Per riprovarci. O più semplicemente per aspettare il 25 agosto, quando anche per loro scadranno i trenta giorni e saranno liberi. I prosatori della polizia ce l'hanno messa tutta per drammatizzare la fuga nel rapporto inviato al pretore: «...in concorso fra loro portavano fuori dalla loro abitazione oggetti atti ad offendere la persona e li adoperavano per agevolarsi la fuga dal campo medesimo... usavano violenza nei confronti di ufficiali e agenti incaricati del loro controllo... al fine di opporsi agli stessi procedevano alle attività conseguenti al tentativo di fuga posto in essere consistenti nello scagliare pietre e nell'avventarsi contro di loro armati degli oggetti sopra descritti... cagionando a un militare lesioni personali consistite in trauma e contusione al ginocchio destro dalle quali derivava una malattia del corpo giudicata guaribile in giorni due». Giorni due? Sì due. E infatti l'unico imputato che parlava un buon italiano s'è alzato in piedi e ha detto al pretore: «Se davvero abbiamo fatto la battaglia di cui ci accusate, è possibile che ci sia un solo ferito con una ferita che guarisce in 2 giorni?» Obiezione respinta. Per adesso. La realtà è che tutti gli «oggetti» portati fuori dai padiglioni servivano agli immigrati per abbassare le reti di filo spinato e darsela a gambe. Cinquantasei sono scappati. Una trentina non sono ancora stati ripresi dopo una gigantesca quanto inutile caccia all'uomo in cui sono stati impiegati elicotteri e uomini a cavallo. Alcuni dei ripresi, non sono imputati di nulla proprio perché non essendo reclusi, avevano quasi diritto a tentare la fuga che comunque non è un reato. Sono stati riportati al campo. Aspettano il 25 agosto: quando usciranno con un bel foglio di via. Libera. Cesare Martinetti LO SBARCO Quando un cittadino extracomunitario viene fermato dolio polizia in acque territoriali o già a terra, è accompagnato in un centro di accoglienza. L'IDENTIFICAZIONE La legge stabilisca che «nel tempo più breve possibile» la polizia gli debba prendere le generalità, impronte digitali comprese, e invii i dati ai consolati dei Paesi presumibilmente interessati. IL CENTRO DI ACCOGLIENZA La permanenza in un campo di accoglienza non può superare i trenta giorni. Nel frattempo, dai consolati interessati arrivano le risposte: il clandestino, finalmente identificato, viene accompagnato con la forza nel suo Poese d'origine. L'ORDINE DI ESPULSIONE Se entro il mese, invece, non è stata raggiunta l'identificazione, resta la strada dell'intimazione di espulsione. Il clandestino, non più ne! centro di accoglienza, ha quindici giorni di tempo per rispettare l'intimazione I CONTROLLI IN EUROPA L'intero sistema informativo di Schengen nel frattempo è stato aggiornato con i dati del clandestino, che può essére fermato ed espulso in un secondo momento e in qualsiasi paese europeo. LA STRADA VERSO IL RIMPATRIO Convalidati gli arresti dei clandestini che erano fuggiti di notte da Caltanissetta Le minacce di Roma non fanno paura ma ci saranno rimpatri forzati da Catania e da Trapani tti ( % «Tyson», il clandestino accusato di aver organizzato la fuga della settimana scorsa. A sinistra, alcuni degli immigrati sbarcati ieri vicino a Otranto
Persone citate: Cesare Martinetti, Claudia Castellano, De Cesare
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