Ma gli emigranti aumentano
Ma gli emigranti aumentano Ma gli emigranti aumentano E le nostre panchine sono più «italiane» Può darsi, come molti sostengono, che il nostro sia davvero il campionato più bello del mondo: vai in Italia e ti metterai in mostra nella vetrina più ricca. E tutti corrono. Ma il motivo per cui gli stranieri arrivano a frotte nel Belpaese, senza farsi pregare tanto, e dichiarano subito di sentirsi in paradiso, ovviamente è soprattutto un altro: il fascino neppur troppo discreto dei quattrini, ai quali nessuno resiste (e perché dovrebbe?). Per molti presidenti grandi e piccoli di serie A, l'erba del vicino continua ad essere sempre più verde, anche se in passato si sono accorti (magari in colpevole ritardo) che non era affatto vero. Tornando un po' indietro nel tempo, infatti, ci accorgiamo che ci sono state affibbiate anche «bufale» che sono entrate a vele spiegate nel mito. Qualche esempio? Luis Silvio, ingaggiato dalla Pistoiese nel 1980: dicono che in Brasile fosse bravo soprattutto come cameriere, qualcuno riuscì a spacciarlo come goleador e Mondino Fabbri si prese la fregatura. E il macedone Pancev? Nell'Inter ap- prodò felice e contento (soprattutto per l'ingaggio triennale di dieci miliardi netti), segnò la miseria di un gol ed ora si gode ancora in qualche parte del mondo i soldi di Pellegrini. E Andrade? Quel negretto dalle gambe corte doveva essere il nuovo Falcao, ma a vederlo giocare a ritmo di slow si diventava tristi, i più gentili lo chiamavano «tartaruga». E l'elenco, volendo proprio mettere il dito sulla piaga, potrebbe continuare a lungo: Nastase, il romeno acquistato dal Catanzaro nel 1981; Dertycia, l'argentino preso dalla Fiorentina nel 1989; Perdomo, l'uruguagio che il prof. Scoglio, prendendo una solenne cantonata, volle, fortissimamente volle al Genoa. Altri nomi di stranieri che hanno lasciato tracce evidenti (o ferite profonde, se preferite) soltanto nei libri paga delle società? Gli argentini Borghi e La Torre, il costaricano Medford, il cileno Rubio, l'ivoriano Zahoui, il danese Skov, il russo Dobrowolski. E' storia antica, ma i vecchi tifosi del Toro piangono ancora pensando a un certo Diego Arizaga, al quale nessuna dieta faceva minimamente effetto. Morale: non sempre l'erba del vicino è più verde, come molti credevano. Speriamo che quest'anno i nostri presidenti abbiano pescato bene. O almeno benino. D'altra parte, la moda è dilagante e sta contagiando sempre di più anche la serie B. Una crescita impressionante: nella prossima stagione gli stranieri nel nostro torneo cadetto sa¬ ranno la bellezza di una cinquantina, più o meno il doppio rispetto a due anni fa. Si salvano soltanto Cesena, Cosenza e Lucchese (i toscani avevano il camerunense Wome, ma gli hanno fatto fare le valigie). Insomma, dall'invasione si salvi chi può. Comunque non è vero (o non è più vero) che solo l'Italia sia il paese del Bentegodi. Ora c'è anche l'invasione alla rovescia. Sempre più gente che arriva, ma sempre più gente che parte: e chi emigra, non lo fa certo per andare a star peggio. L'ultimo della lunga serie si chiama Michele Serena: ciao Fiorentina, anzi addio. Ormai sono trentasette gli italiani che prendono a calci un pallone «fuori dalle mura»: un piccolo esercito. E quasi tutti dichiarano (chissà se è vero) che si trovano bene e in Italia non vogliono tornare. E gli allenatori? E' rientrato il Trap, che forse si era stancato di mandare al diavolo i giocatori in lingua tedesca, anche se gli riusciva così bene; per un soffio è saltato il derby Scala-Sacchi a Madrid, il Nevione con un colpo di coda non ha firmato il contratto ed ora sta accanto al telefono in attesa di una chiamata. L'ex fiorentino Ranieri guida il Valencia, Maifredi dopo tanti stop e tante ripartenze ora è all'Albacete (serie B, bisogna accontentarsi). E poi c'è Vialli, allenatore-giocatore in un Chelsea ormai mezzo italiano, adesso c'è anche Casiraghi. Gente che viene, gente che va. Ma sempre rimanendo in tema di allenatori, quest'anno le panchine sono molto più «italiane»: i nostri presidenti hanno imparato a caro prezzo a non fidarsi più di tanto, dopo i flop di Tabarez, Carlos Bianchi, Menotti, Perez ed il lavoro non entusiasmante del flemmatico Hodgson, che non vedeva l'ora di andarsene dall'Inter (e i tifosi non vedevano l'ora che se ne andasse). Così, incredibile ma vero, dopo tante stagioni di presunti maghi e maghetti con l'accento chiaramente straniero, ora nel Belpaese restano in attività soltanto Zeman ed Eriksson, ormai italianizzati in pieno: due mezze eccezioni, insomma, in una razza che sembra ormai in avanzata fase di estinzione. [c. p.] Casiraghi s'è lasciato alle spalle il trionfo in Coppa Italia nella Lazio (foto) per emigrare al Chelsea di Vinili e Zola
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