Il dovere, la Patria, il prezzo della serenità

Il dovere, la Patria, il prezzo della serenità LETTERE AL GIORNALE: IL LUN O.4.B. Il dovere, la Patria, il prezzo della serenità Una lettera lunga una vita Stimatissimo Signor Del Buono, la mia veneranda età mi autorizza e induce a rivolgere un critico sguardo al mio passato, sintetizzandone i punti più salienti. Mi permetto di metterla a parte di questi miei ricordi, non perché ritenga che ai lettori della Stampa interessino gli affari miei, ma perché, conoscendola attraverso i suoi scritti come uomo giusto e saggio e sapendo inoltre che la sua esistenza non è sempre stata facile, spero (so di chiederle molto) di ottenere un suo giudizio sul mio operato. Quando raggiunsi l'uso della ragione, circa ottanta anni fa, la vita mi prese per mano e cominciò a parlarmi: «Tu sei un bravo bimbo e devi voler molto bene ai tuoi genitori, ricambiando il grande amore che essi hanno per te». E mi fu facile obbedire. Dopo qualche anno la vita mi parlò ancora e mi disse. «Il tuo dovere adesso è quello di studiare e seguire con diligenza e solerzia gli insegnamenti dei tuoi maestri per raggiungere una formazione tale che ti permetta di inserirti a testa alta nel mondo». Con qualche difficoltà, così feci. Quando, terminati gli studi, ero ancora in cerca di una adeguata, idonea occupazione, ecco di nuovo la voce della vita: «Sei di leva e devi compiere ii servizio militare». E partii soldato. Dopo un lungo periodo di addestramento mi diedero un filetto dorato da mettere sulla giubba, un cappello con la penna nera in testa e l'indirizzo del 25° Artiglieria Assietta, che trovai affollato di reclute e di muli. Con loro vagai a lungo per monti e valli finché arrivò il congedo. Ma era provvisorio e me ne accorsi quando dovetti lasciare bilanci e rendiconti perché la vita mi annunciò: «E' scoppiata la guerra e la Patria (allora si scriveva con la P maiuscola) ti chiama. Prendi nota che i tuoi nemici sono francesi». Mi consegnarono un certo numero di cannoni, di muli e di soldati e mi soedirono in Francia. Dopo qualche tempo, ancora la voce della vita: «Adesso i tuoi nemici sono gli slavi». E ci trasferirono tutti in Jugoslavia. Passarono alcuni mesi ed ecco nuovamente si fece sentire la vita: «Ci sono novità. Attualmente i tuoi nemici sono i greci». Mi diedero un altro filetto dorato e ci imbarcarono a Bari. Evitato l'inutile tentativo di un sommergibile nemico raggiungemmo la Grecia dove, dopo un periodo molto movimentato, ci fermammo lungamente, tanto che durante una breve licenza in Italia riuscii a sposarmi. Molto tempo trascorse e la voce della vita mi raggiunse anche in Grecia: «Stai attento perché improvvisamente tutto è cambiato ed i tuoi nemici sono adesso i tedeschi». Non feci in tempo a decidere sul da farsi perché, essendo i miei nuovi avversari a conoscenza della novità, riuscirono con estrema facilità a rinchiudermi in un vagone ferroviario (carro bestiame) e a farmi raggiungere, dopo trenta giorni di viaggio, un lager tedesco in terra di Polonia. Qui la viti, parlò ancora: «Devi resistere alle lusinghe e opporti alle minacce dei ;i;oi carcerieri perché ti vincola un giuramento di fedeltà che non puoi e non devi infrangere». E così feci Fui ospite di altri campi di concentramento in Germania e, mentre la fame aumentava e la speranza di sopravvivenza diminuiva, la vita mi parlò attraverso la voce dell'amico Giovannino Guareschi: «Resisti, non cedere, non devi morire neanche se ti ammazzano». Non fu facile, garantisco, ma ci riuscii. Dopo due interi anni, un bel giorno, un bellissimo giorno, un intrepido maggiore, comandante un reparto corazzato inglese, si assunse l'incarico di farmi uscire dal reticolato e mi aiutò poi a rientrare in Italia. E qui di nuovo la vita mi parlò: «Adesso che sei tornato a casa potrai finalmente ricongiungerti con la tua famiglia». Obiettai: «Ritengo che ciò sarà molto difficile perché la mia casa è stata distrutta da una bomba e la mia famiglia è smembrata e dispersa». «Procurati una nuova casa e riunisci la famiglia», mi impose la vita. Fu dura, molto dura, ma ci riuscii. Passarono gli anni, molti anni in cui feci del mio meglio (o del mio peggio, non so) per essere un buon figlio, un buon marito, un buon padre. Ed ecco, finalmente la pensione. «Adesso», disse la vita, «potrai finalmente goderti il frutto delle tue fatiche». Ma non fu così perché quel frutto non maturava e la pensione non arrivava mai. E passò un anno, poi un altro, poi un altro, e poi un altro ancora, ma inutilmente. La pratica della mia pensione era inspiegabilmente scomparsa. Allora la vita, considerando che ormai cominciavo a fare strani discorsi e ad assumere inopportuni atteggiamenti, mi ordinò: «Adesso devi reagire e far sentire la tua voce». E reagii. Feci sentire la mia voce. Forse troppo energicamente tanto che per calmarmi fu necessario l'intervento della Forza Pubblica. Ma la pensione arrivò. E per l'ultima volta la vita ancora mi parlò: «Non ho più suggerimenti da darti. Solo un consiglio molto importante: vivi sereno e tranquillo, accontentandoti di quanto io posso concederti. Non desiderare di più, ciò sarebbe inutile e dannoso per te. Questa, posso assicurarti, è l'unica regola per trascorrere in pace i pochi o i molti anni che il Buon Dio vorrà ancora concederti». Ed io da venticinque anni seguo costantemente e diligentemente l'esortazione con pieno appagamento. Questa è la strada che sino ad oggi ho percorsa. Ci sono stati giorni buoni e giorni cattivi: di ogni cosa rendo grazie al Signore. Ed oggi, ormai in riserva, attendo che la benzina si esaurisca. Caro amico, se è arrivato sin qui, la ringrazio di tutto cuore e mi scuso per il tempo che le ho rubato. Auguro ogni bene a lei e ai suoi famigliari. Con ossequio, Giulio Vaudano, Torino Carissimo amico, la sua lettera lunga una vita mi ha veramente commosso e mi ha fatto decidere di pubblicarla integralmente perché può toccare molti lettori. E non solo i nostri coetanei che hanno condiviso tante nostre esperienze passate, ma anche i più giovani che vogliano avere una visione dell'ultimo squarcio della storia d'Italia. Quasi un secolo difficile da vivere, ma che alcuni hanno saputo vivere con coraggio. [o. d. b.]

Persone citate: Del Buono, Giovannino Guareschi, Giulio Vaudano