Tanto allarme sul debito ma il 3% per ora tiene di Alfredo Recanatesi

Tanto allarme sul debito ma il 3% per ora tiene F OLTRE SLA LIRA =1 Tanto allarme sul debito ma il 3% per ora tiene rORSE a motivo della carenza di argomenti propria della stagione, si torna a parlare di finanza pubblica. La circostanza va rilevata perché da quando, all'inizio di maggio, fu solennemente sancita la partecipazione alla moneta unica, l'andamento dei conti dello Stato è passato un po' in seconda linea. Una ragione c'era, e delle più solide. Prima del raggiungimento delle condizioni richieste per la partecipazione all'unione monetaria, l'andamento di quei conti rivestiva una importanza cruciale. Non si trattava solo della prospettiva di conseguire o meno l'entrata nell'unione, ma anche e soprattutto di consolidare o minare la credibilità di un processo di risanamento dalla quale dipendeva una nutrita serie di altri fattori determinanti per l'andamento dell'economia. Citandone solo alcuni, possiamo ricordare l'inflazione, i tassi di interesse, il cambio della lira. Si capisce che si era sempre sull'orlo di un crinale: se il tentativo fosse fallito, tutto sarebbe stato coinvolto da una rovinosa reazione a catena. Sancita e ratificata l'ammissione, è come se la moneta unica fosse già una realtà. Di conseguenza, l'inflazione, i tassi di interesse, il cambio della moneta (della lira o dell'ancora virtuale Euro, non ha più importanza) sono quelli della moneta unica, per cui su di essi l'andamento dei conti dello Stato italiano incide in misura del tutto marginale sia perché la quantità assoluta dei disavanzi o degli scostamenti ha effetti proquota sui disavanzi e sugli scostamenti complessivi degli undici Paesi che partecipano all'unione, sia soprattutto perché viene meno quel moltiplicatore diretto degli squilibri che si aveva, ad esempio, quando un peggioramento dei conti pubblici induceva un aumento dei tassi di interesse che a sua volta generava un ulteriore peggioramento. Per evitare che questa conseguenza della moneta unica, ossia l'assenza di una sanzione esplicita e diretta dei mercati, inducesse governi e Parlamenti a gestioni della finanza pubblica più disinvolte, è stato istituito e sottoscritto da tutti gli undici Paesi un patto di stabilità, il quale prevede pene pecuniarie, anche consistenti, per il Paese che non rispettasse i limiti di disavanzo definiti nel patto stesso. Ma il suo dispositivo è lento, e perciò è lontana l'eventualità che possa scattare. Non è certo per questa eventualità che si torna a parlare di finanza pubblica. L'argomento ha ripreso quota su due specifici aspetti : l'aumento del debito pubblico e un eccesso di disavanzo I rispetto a quello programmaI to per quest'anno. Del primo, anche se ha occupato pagine di giornali, non merita neppure di parlare se non per ricordare che «non fa notizia», poiché l'importo assoluto del debito aumenterà ancora per anni, fino a quando il bilancio statale, compresa la spesa per interessi, non sarà in attivo: ipotesi improbabile, tutt'altro che auspicabile e, comunque, lontana. Quel che conta come ha dovuto spiegare il ministro Ciampi con una lezioncina a quanti avevano enfatizzato questo dato - è che si riduca il suo rapporto col Pil (l'entità del debito si commisura rispetto alla dimensione ed al dinamismo del sistema economico) e che la riduzione dei tassi determini una riduzione della spesa per interessi. Entrambe queste condizioni si stanno verificando. L'eccesso di disavanzo è cosa un po' più seria. Per quel che è dato capire (ancora non molto, in verità) sembra che sia dovuto in parte alla cadenza degli incassi dell'Irap, ritardata rispetto a quella delle imposte che questa ha sostituito - e fin qui poco male -, in parte ad un aumento della spesa imputabile essenzialmente alla sanità. Se è così, non c'è da preoccuparsi più di tanto, sia perché la spesa sanitaria, almeno sotto un aspetto tecnico, è facilmente frenabile - e pochi dubbi possono esservi sulla necessità di introdurre altra sabbia negli ingranaggi del ricorso alle sue prestazioni -, sia perché se l'eccesso è in questo settore, vuol dire che tutto il resto tiene; ed il resto è dato dalla spesa per gli enti decentrati, dai Comuni alle Regioni e alle università, che, dopo la dieta ferrea alla quale è stata sottoposta l'anno passato per raggiungere quel fatidico 3%, si temeva che potesse scappare di mano. Il che significa che la maggiore riserva sui risultati di finanza pubblica del 1997 (merita ricordarlo: un disavanzo passato da oltre il 6 a meno del 3% del Pil) viene a cadere; quei risultati non erano così gracili e contingenti come molti critici li avevano dipinti. Forse è proprio per questo che si è verificato un fatto davvero inconsueto per il nostro Paese: mentre si aveva notizia di questi dati sulla finanza pubblica e si discuteva sulle loro cause, proprio venerdì scorso, a chiusura della settimana, il future sui Btp ha battuto un nuovo record storico. Alfredo Recanatesi esij

Persone citate: Ciampi