A spasso con Woody nelle calli

A spasso con Woody nelle calli Ogni visita insegna qualcosa di personale, che non si scorda più , A spasso con Woody nelle calli La Venezia discreta di scrittori, registi e attori TUTTI san tutto di Venezia, perfino a Calcutta e a Santiago. E' capitato a un professore universitario di andare a far conferenze in Cile, e sentirsi domandare da dove veniva. Lui è nato a Venezia ma vive a Marsiglia. Rispose: «Marsiglia», non sapevano dov'è. Corresse «Venezia», Venezia lo sapevano tutti. Bisogna premettere che Santiago guarda sul Pacifico, le imiversità ricevono in regalo computer e programmi scolastici dal Giappone, gli studenti sanno tutto dell'Oriente e niente dell'Occidente. (Le impressioni più indelebili che la città mi ha lasciato son comunque altre, queste: è piena di Zamorani, somigliano tutti al giocatore dell'Inter; e quelli dal profilo europeo che incontri parlano tedesco: ecco dove sono le SS, sono scappate lì dopo la guerra). C'è stata un'ondata di ragazzini americani ospiti di famiglie venete l'anno scorso, uno è stato anche da me, mandavano ai famigliari cartoline con i saluti, da Trento, Trieste, Vicenza, Padova, Verona, e scrivevano: «Da Padova, vicino a Venezia». Tra i giochi caricati nei computer dalla fabbrica, c'è il mappamondo, che completi tu: calcoli longitudine e latitudine della città che vuoi inserire, dai al computer i dati, e il computer illumina un punto: è lì. Quattro-cinque città però son già segnate, a mo' d'esempio: New York, Londra, Tokyo... e Venezia. I sei miliardi di uomini viventi sul pianeta, prima di morire, imparano cos'è, dov'è, com'è Venezia. Chi ci va, scopre sempre (dico sempre) qualcosa di diverso, di strano, di personale, e non lo dimentica più. Non è detto che lo comunichi, che riesca a dirlo. Neanche se si chiama D'Annunzio, Hemingway, Joyce, Foscolo. O Bergman, Fellini, Woody Alien. Woody Alien viene di nascosto, si rintana nel solito alberghetto, dove i camerieri proteggono la sua privacy come cani da guardia, passeggia con la beiTettina abbassata, sempre con la coreana non di fianco ma tre metri indietro. Prima che la sposasse, quando però la notizia era già sui giornali, l'alberghetto (che ha l'entrata non sul canale ma di fianco) era assediato da giornalisti che stazionavano nell'atrio. Woody era sopra, in camera. Per caso stavo passando per la calle che sta dietro, e vedo un omino sgusciare dall'altro fianco dell'hotel, dove un ponticello di assi creava un passaggio prolungato fino alla calle; l'uomo era mingherlino e insciarpato, e tirava per mano una ragazzona dalla faccia larga; se fossi un vero giornalista, avrei scritto un articolo subito. Ma a me interessa sapere, non dire. Il grande regista m'è sembrato debole, vulnerabile, bisognoso di protezione. C'è qualcosa in lui che non conosciamo. L'hotel Bauer e l'hotel Regina son vicini. In uno andava Ungaretti, nell'altro Montale. Si odiavano, quindi sceglievano alberghi distinti. Li ho incontrati più volte. Con Montale avevo più amicizia, l'andavo a trovare al «Corriere», quando veniva a Padova passeggiavamo per Piazza del Santo. A Venezia mi disse, con un filo di voce: «Ognuno di noi vuol morire... no, non tutti vogliono morire; io sì, comunque, ma per ragioni personali; ognuno vuol morire dopo una esperienza perfezionatrice». Credo volesse dire che, dopo aver toccato una perfezione, l'uomo accetta più facilmente di morire. Il concetto di «morte a Venezia» nasce da qui: a Venezia si accetta di morire più facilmente che altrove, perché a Venezia la tua voglia di perfezione si sazia. E' troppo bella per viverci. Quella è una delle ultime frasi che Montale ha detto, con me. Le mani gli tremavano, e per tenerle ferme le appoggiava sul tavolo, perché si vergognava dei propri acciacchi. Ungaretti era velenoso. Gli avevo chiesto, all'hotel Regina, di dirmi qualcosa sui suoi rapporti col fascismo, e lui aveva scaraventato in giro per la stanza i fogli che stringeva in mano, rifiutandosi di rispondere. M'è sembrata una confessione. Credevo che avesse ben altri argomenti. Se non altro, a distanza di tempo, poteva esserseli costruiti. Ogni volta che, in vaporetto, passo davanti all'hotel Regina, dentro di me penso: «O.ui confessò Ungaretti». Non è un'accusa, e non voglio querele. E' il mio inconscio che parla, non io. I grandi personaggi arrivano a Venezia in aereo. L'aeroporto di Venezia è, dicono, pericoloso: se il pilota scende venti metri prima, si finisce in mare. A me fa un effetto di rilassamento totale. Visto dall'alto, l'aeroporto è una lunga asse galleggiante sul mare: un mare calmo, tu scendi come in un tuffo al rallentatore, di quelli che sogni quando hai una dolce febbre. Dall'aeroporto i grandi vengono portati ai loro alberghi via mare. Arrivano all'Excelsior, al De Bains diretta- mente sull'uscio. Così arrivava Bergman. Così Felhni. Poi stanno nascosti nelle loro camere, vedono quel che devono vedere (un film, due amici), si fan portare la colazione, e riprendono il volo. Richard Gere ha avuto la stanza di fronte alla mia. Alle nove del mattino, a me capuccino, brioche, succo. A lui un'insalata, acqua minerale, yogurt E' chiaro che non sarò mai come lui. Del resto, quello non è il mio mondo. Ci capito per forza, quando qualcuno mi obbliga. Il mondo letterario è diverso, ha altre colpe. Se entri nel Campiello, vieni alloggiato nell'al- bergo più lussuoso della città, dietro la porta sta scritto: «Pernottamento lire 700 mila». Il nome dell'albergo è il cognome di una mia compagna di liceo, molto carina, occhi di velluto, rosea, tenera. Se l'avessi sposata, gestirei l'albergo, e non scriverei questo articolo. Chissà cos'è meglio. All'albergo son capitato come scrittore, ospite della straricca Associazione Industriali Veneti, quella che finanzia il premio. Zanzotto dice che anche noi scrittori veneti dovremmo fondare un premio, da dare all'industriale che inquina di meno, e per fare lo sforzo che fan loro, che insieme sborsano settecento milioni, dovremmo sborsare settecento lire. E' un'idea. Finite il premio, me ne vado dall'hotel, e dico alla reception: «Beh, lascio l'albergo, sono ospite». «Un momento sior fa l'uomo -, deve pagare quel che ha preso dal frigobar». Resto allocchito: mi avevano dato una suite con camera da letto, stanza da bagno, atrio, e vista sul canale, dicendomi con disprezzo: «Signore, qui ha dormito John Fitzgerald Kennedy con Jacqueline», come per dirmi- «Lei è una nullità». Ma non c'era frigobar, per avere qualcosa di fresco dovevo comprarlo fuori, in un mercato, e metterlo in un thermos. Infatti un altro della reception, più smagato, mi guarda attentamente, mi guarda ancora, poi esclama: «Ma no, el sé on sentore questo, ghemo tolto el frigobar ai scritori». Hai capito, gli industriali veneti mi avevano portato via il frigobar dalla camera, per non pagarmi le bevande. Zanzotto ha torto. Non settecento lire dovremmo pagare, ma settanta. Ferdinando Cameni L'incontro con Alien a passeggio con Soon Yi Richard Gere nella stanza d'albergo vicina alla mia Quando Montale mi parlò della morte più facile da accettare in un posto come questo f 111! -,«,',1 Una bottega veneziana e il regista Woody Alien appassionato frequentatore della città Una bottega veneziana e il regista Woody Alien appassionato frequentatore della città