Conto alla rovescia nei centri dei clandestini di Cesare Martinetti

Conto alla rovescia nei centri dei clandestini Scadono i termini per tenerli sotto sorveglianza. Preso «Tyson», capo della rivolta a Caltanissetta Conto alla rovescia nei centri dei clandestini Rimpatri a rischio, centinaia sperano nella libertà CALTANISSETTA DAL NOSTRO INVIATO «Tyson» è tornato in gabbia. Ma la sua storia è appena cominciata. «Vivo non mi tenete», ha detto ai carabinieri quando l'hanno portato in camera di sicurezza. Sembrava una battuta. Ma dopo il pranzo domenicale (stesso menù dei militari: pasta al forno e carne alla griglia), dalla sua cella s'è sentito un tonfo impressionante. «Tyson» aveva sbattuto la testa contro il muro: per ferirsi, per farsi aprire la porta, per cercare un'altra occasione di fuga. Nella cella, ci ha detto un ufficiale, c'era un lago di sangue. E «Tyson» sembrava avesse la testa spaccata. Ma non era così. In ospedale gli hanno cucito la ferita e hanno fatto una lastra. Niente di grave: il testone ha tenuto. Un'altra radiografia allo stomaco per evitare la sorpresa di scoprire in ritardo che aveva ingoiato qualcosa. «Tyson» è uno specialista nel trangugiare lamette o accendini, nell'esibire un autolesionismo che sa controllare e calibrare, come un fachiro. Quand'era al campo a volte andava davanti ai poliziotti e si tagliava il petto con una lametta. La superficie del suo corpo è un groviglio di cicatrici e di tatuaggi. E' il manifesto della sua leadership e del suo carisma. E' un capo, forse uno degli organizzatori del traffico di umani. Niente. Non aveva niente. L'hanno riportato in caserma, perché hi carcere non c'è posto. Ingombrante, quest'uomo che è diventato il simbolo dello scottante pasticcio siciliano: 1500 clandestini che giocano sul filo dei nervi la partita della vita. Per i primi arrivati sui barconi a Lampedusa scadono giovedì i 30 giorni entro i quali possono essere trattenuti nei campi. Dopo o c'è il rimpatrio concordato con i Paesi d'origine, o c'è l'espulsione dall'Italia. Che però è, di fatto, il via libera alla clandestinità, perché consiste nel consegnare all'immigrato un foglio di via che più o meno dice: hai 15 giorni di tempo per lasciare il Paese. E intanto? Libero. Lo scadenzario di questi appuntamenti è già fissato: il 13 agosto sono 68 a «rischiare» la libertà; il 14 sono 79; tra il 18 e il 19 sono 315. Che succederà? Ieri sera il Viminale ha fatte sapere che sono in corso i controlli con la polizia marocchina e tunisina sulle fotografie e le impronte digitali prese a tutti i clandestini sbarcati in queste settimane. E' una corsa contro il tempo perché Tunisia e Marocco, secondo gli accordi, rimpatriano soltanto quelli che riconoscono come loro cittadini. Ma né tunisini, né marocchini sembrano affannarsi in questa corsa. Tra prefetti e questori siciliani c'è un certo disorientamento. Si capisce che la principale direttiva del ministero è quella di «sdrammatizzare» e che la linea sarà quella di rimpatriare a gruppi tutti quelli che sarà possibile e rilasciare gli altri silenziosamente rispettando - com'è inevitabile fare - la legge sulle espulsioni e la scadenza dei 15 giorni di libertà per abbandonare l'Italia. La Cgil siciliana, che insieme con Caritas, Croce Rossa ed altre organizzazioni collabora con le prefetture per l'emergenza, ha preventivamente protestato nel caso il governo intenda prolungare i termini con un decreto. Ma non accadrà. Si tratta innanzitutto di identificare i clandestini. Ed ecco perché la storia di «Tyson» e dei suoi fratelli in fuga è la somma delle contraddizioni di questa vicenda. Lui sarebbe Rachad El Aloui, nato nel '64 a Tangeri, Marocco. Sarebbe. Perché chi sia in realtà nessuno lo sa. Come per i suoi fratelli, sulla sua identità non c'è nulla di sicuro. E, tanto per cominciare, non sembra proprio un uomo di 34 anni. Ne dimostra, dicono i poliziotti, 26-27. Tutti sono convinti che sia tunisino e non marocchino. Come la maggior parte della compagnia. Di certo, a «Tyson» assomiglia moltissùno, in viso; il corpo è più tozzo e rotondo; la statura di appena 165 centimetri. «Tyson» era scappato la notte di venerdì dal campo alla periferia di Caltanissetta, insieme a 56. Dopo la preghiera con l'imam, che come tutti gli altri aveva seguito inginocchiato sul piazzale del campo rivolto verso la Mecca. L'hanno ripreso 24 ore dopo, alla periferia di Caltanissetta. E' scappato di nuovo. L'hanno ripreso. Zoppica. S'è fatto male. E' arrestato insieme ad altri 16 compagni di fuga. Accusato di lesioni e danneggiamenti. Imputazioni che lo faranno presto tornare in «libertà», al campo, in tempo di riprovare a scappare prima che arrivi la scadenza dei 30 giorni. «Tyson» è fatto così. E la capocciata di ieri pomeriggio nella cella dei carabinieri è la testimonianza che non ha alcuna intenzione di arrendersi. L'altra notte il campo di Calta¬ nissetta era illuminato a giorno dalle cellule dei vigili del fuoco e sembrava un campo di calcio illuminato per una notturna. Nessuno s'è mosso. Ieri mattina ne hanno portati via 35 a Catania, dove il campo è molto attrezzato e molto sicuro. Qui a Caltanissetta ne re- stano 30. Ma non sono detenuti e come tali non possono essere trattati. Nemmeno «Tyson» risulta aver precedenti italiani. Eppure qui c'è stato a lungo. Parla italiano e siciliano, sembra che abbia lavorato nelle vigne di Canicattì e che lì volesse tornare. Oggi e domani gli arrestati saranno processati per direttissima. Molto probabilmente saranno tutti subito scarcerati e rinviati al campo. La situazione è difficile. I questori ci raccontano che il conto alla rovescia è vissuto nervosamente. I clandestini non hanno informazioni dirette. Ma consumano tonnellate di carte telefoniche (è la loro principale richiesta ai volontari che li vanno ad assistere) in comunicazioni con casa e amici da dove gli arrivano chissà quali notizie. Intanto, ieri mattina, sull'orizzonte del mare di Lampedusa è comparso un altro barcone. Altri 20. I guardacosta tunisini erano anche disponibili a riprenderli e a riportarli a casa. Ma il mare a «forza 4» non ha consentito la manovra. Dicono di essere algerini. Li hanno portati nel campo «2» di Agrigento. E anche loro cominciano a contare. Cesare Martinetti ■

Persone citate: Aloui