Russia & C, il rischio paga

Russia & C, il rischio paga Russia & C, il rischio paga BUDAPEST DAL NOSTRO INVIATO Abreve termine il rischio è alto, molto alto. Corruzione, incapacità, incertezze a ogni livello. Ma nel medio termine il rischio può essere più che accettabile. E non dimenticatevi che il rischio è ben pagato: noi rendiamo molto di più del Brasile, che pure ha il nostro stesso rating...». E' uno che ama parlar chiaro, Nikolai Kouznetsov, a 32 anni vicepresidente esecutivo della Banca Menatep, una delle maggiori banche d'affari di Mosca. CONFRONTO «Non è facile - aggiunge - vendere ottimismo sul mio Paese, dati i problemi che passiamo e le scelte, delicatissime, che ci attendono. Ma non dimenticatevi che le nostre emissioni in dollari pagano uno spread di 1100 basic point. Rendiamo il 5% in più, in dollari, rispetto al Brasile. Non si troveranno più occasioni del genere...». Davanti a lui, radunati dal Cerved all'Intereurop Bank di Budapest (controllata dal San Paolo), ci sono alcuni dei maggiori banchieri italiani che si attendevano, probabilmente, un linguaggio più diplomatico e qualche censura. PETROLIO «Investire sulla Russia - continua Kouznetsov - è come assumere una posizione a termine. Chi compra Russia, sa di poter comprare materiale umano a buon prezzo, professori d'università a 200 dollari al mese, oppure sa di poter scommettere sulle nostre materie prime, petrolio soprattutto». E non solo. «Mi è capitato - dice - di rilevare un'azienda e di rivenderla un mese dopo a tre-quattro volte di più. Bastava cambiare il management, incompetente, e sfruttare le risorse inteme...». Una sorta di roulette russa, dove i più arditi possono scommettere sui Gko, titoli a breve, o gli Ofz, a medio, con rendimenti che nei momenti peggiori della crisi hanno sfiorato il 100%. EMERGENTI Si parla spesso di mercati emergenti, di rendimenti, di arbitraggi su valute e durate. Ma, limitandosi a operare sui computer, si rischia di dimenticare che, dietro a cedole ed emissioni, c'è l'economia reale, con i suoi problemi e le sue incertezze. E che la finanza richiede i suoi tempi. «I mercati finanziari occidentali - ricorda Tony O' Rourke, irlandese, segretario generale dell'associazione dei centri finanziari europei di Edimburgo - hanno impiegato qualcosa come 300 anni per svilupparsi fino a prendere la forma attuale. La maturità finanziaria non si acquisisce per decreto». IL FAX ROTTO Inutile, perciò, pensare alle Borse o alle obbligazioni dell'Est Europa, Russia in particolare, con le lenti di un mercato occidentale. «Ci sono - continua O' Rourke - ottimi siti Internet, tipo quello della Moldavia, dove è facile assumere informazioni sul Paese. E ci sono posti come la Bielorussia: ho chiesto informazioni in Borsa, mi hanno risposto che l'unico fax del Paese era rotto e non sarebbe stato riparato prima di due o tre mesi...». O' Rourke, da anni impegnato nella raccolta di informazioni sull'Est Europa, è disposto a fornire materiale (gratuito) agli investitori che glielo chiederanno (in forma cartacea o in un Cd). CE' PAESE E PAESE Per chi non intende studiare la sintesi di 90 pagine di O' Rourke basti sapere che gli «emergenti» dell'Est possono essere suddivisi in più categorie. In prima fila ci sono i più ricchi: Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia, mercati ove è da tempo in atto un processo di privatizzazione più o meno riuscito e dove l'integrazione industriale (specie in Polonia) e finanziaria (qui è l'Ungheria in testa) con l'Ovest è molto avanzata. Non sono pochi gli operatori che, forzando la realtà (difficile pensare all'ingresso nell'agricoltura comunitaria di Paesi ove i contadini pesano quasi il 30% degli occupati...), scommettono sulla convergenza tra queste economie e l'Unione Europea. Tra 10-12 anni, è il discorso, Budapest e Praga saranno al livello di Lisbona o Madrid (e Roma)... GIGANTE A PEZZI Poi ci sono i più poveri: Bulgaria, Romania, Slovacchia, Ucraina. Infine, c'è il colosso russo, indecifrabile. Un gigante a pezzi, a prima vista, ma con un mercato finanziario comunque rilevante, e con caratteristiche singolari: più titoli a reddito fisso che azioni; emissioni di Stato in circolazione per 70 miliardi di dollari; una Borsa capace di crescere da zero, nel '90, fino a 90 miliardi di dollari (il 70% in mano straniera) tra azioni e bond; un mercato dei derivati che ha assunto, dati a metà '97, la dimensione di 500 milioni di dollari.. IL MENU? E'VARIO... — Chi si rivolge ai mercati dell'Est deve sapere che affronterà un rischio, tanto maggiore quanto maggiori saranno le opportunità di guadagno. — Non tutti i Paesi sono eguali, ma offrono opportunità (e pericoli) diversi. — Non basta individuare il Paese 0 il settore «giusto». Occorre anche scegliere il mercato «giusto». Operare direttamente in asta o sul mercato secondario in questi Paesi è, in genere, difficile se non impossibile (il taglio minimo è tra 1 3 e i 5 milioni di dollari, poche banche raccolgono ordini al dettaglio). Inoltre, le Borse non offrono un grado di trasparenza e di garanzia accettabile per il singolo investitore. — Attenti alle escursioni dei cambi, che vanno gestite da professionisti. I BOND DI VARSAVIA Al primo scalino ci sono i titoli di Stato di Polonia (dal 16 al 22% in zloty), di Praga (intorno al 15% in corone ceche) o ungheresi (intorno al 16% in forint). Polonia e Repubblica Ceca sono gli Stati che offrono opportunità di investimento anche sul medio termine, ma l'attenzione degli investitori è, comunque, concentrata sul breve. E' molto importante badare alla liquidità dei titoli, per evitare i pericolosi colli di bottiglia nelle fasi di ribasso quando, di fronte all'impennata dei tassi, non è stato facile realizzare in tempo i guadagni e evitare la caduta dei corsi. RISERVE «E' un pericolo vero - ammette Istvan Lengyel, segretario generale della Banking Association for Central and Eastern Europe - ma non va sopravvalutato, almeno per questi Paesi. Ci possono essere salti nel breve, legati alla crisi asiatica o della Russia, ma, alla fine, prevarranno i dati fondamentali. Prendiamo la Polonia: l'inflazione oscilla attorno all'8-9%, i TBills rendono attorno al 21% e ciò ha favorito sia investimenti di portafoglio che investimenti diretti. Il Paese, ormai, ha 24 miliardi di dollari di riserve...». A Praga, invece, i titoli più diffusi, i «benclmiark», sono il Czgb 14,85% scadenza 6/03 e il Czgb 12,2% 5/02. SVALUTAZIONE Il rischio più grave, ovviamente, è la svalutazione. Alcuni Paesi praticano una sorta di svalutazione programmata su base annua nei confronti del dollaro per tutelarsi dai colpi della speculazione. Ma i rischi di veder vanificati i guadagni da un'improvvisa caduta dei corsi esistono, anche se i «fondamentali» economici di alcuni Paesi (oltre ai soliti tre, anche Estonia e Slovenia) sembrano più solidi di quanto non dicano i tassi a termine sulle rispettive valute. Ma resta, comunque, la spada di Damocle dell'inconvertibilità, ovvero il rischio che le autorità monetarie vietino da un giorno all'altro l'uscita dei capitali. MAI DA SOLI Meglio rinunciare, allora? Non proprio. Sull'euromereato esistono diverse emissioni «sintetiche», ovvero titoli offerti da banche e finanziarie in zloty, forint oppure rubli (per i più ardimentosi) ma che rimborsano il capitale in marchi oppure dollari, neutralizzando il rischio di cambio e, almeno in parte, le varie imperfezioni di questi mercati. «Ma attenzione ha ammonito O' Rourke davanti ai nostri banchieri - sono proprio questi rischi e imperfezioni che rendono così attraenti, in termini di potenziali ritorni finanziari, i mercati di questa regione...». E non è un caso che i grandi del mercato finanziario, le banche svizzere (e anche le olandesi, tedesche e inglesi), abbiano scommesso miliardi di dollari nelle Borse che vengono dal freddo. [u. be.] a & C, il rischio paga CAPITALI STRANIERI PER LO SVILUPPO NAZIONE PER NAZIONE 1992 1993 1994 1995 1996

Persone citate: Nikolai Kouznetsov, Pezzi