LUPI ORSI E LEONI SULLE VIE DEI SANTI

LUPI ORSI E LEONI SULLE VIE DEI SANTI LUPI ORSI E LEONI SULLE VIE DEI SANTI Storie del Medioevo contadino ERTI luoghi d'Italia sembrano condizionare con i loro umori le ricerche degli storici che lì vivono e lavorano. Sarà un caso se a Bologna, sulla scia di Vito Fumagalli e di Massimo Montanari, i medievisti dimostrano una concretezza d'approccio difficilmente eguagliata altrove, una capacità terragna di rievocare campi, foreste e acquitrini, di affondare, per così dire, le mani nel letame, senza arretrare di fronte ad argomenti di ricerca che a qualcuno, più snob, farebbero arricciare il naso? (Pensiamo alla famosa mostra dedicata, qualche anno fa, a una tra le più nobili fatiche contadine di quelle parti, e intitolata senza falsi pudori «Porci e porcai nel Medioevo»...). All'odore di terra e di sudore si accompagna poi sempre, con naturalezza, il profumo del pane appena sfornato, del mosto in fermentazione e dei cotechini: proprio Montanari s'è scoperto da tempo esploratore attentissimo dell'alimentazione medievale, non certo, si badi, in una prospettiva puramente materiale, ma evidenziando sotto ogni angolatura le connotazioni culturali e simboliche del mangiare. E non possiamo non ricordare, allora, che a Bologna insegnava anche Piero Camporesi, fiabesco cronista dell'abbondanza (sognata) e della fame (fin troppo reale) nella Padania miserabile del Cinque-Seicento... Non sorprende, allora, che anche maneggiando fonti apparentemente impervie a questo genere di sollecitazioni gli storici bolognesi sappiano porsi domande inattese. E' il caso di Elisa Anti, allieva proprio di Fumagalli, che nel saggio Santi e animali nell'Italia Padana. Secoli IV-XII studia, sì, un genere elevato come le Vite dei santi, ma trattandole come uno straordinario repertorio di informazioni sulla vita contadina, e in particolare sulla quotidiana convivenza di uomini e bestie . S'intende che nel lavorare su testi come quelli agiografici lo storico deve raddoppiare le "cautele: la realtà, qui, è raccontata solo ih quanto pregna d'un significato simbolico, e gli animali sono innanzitutto un veicolo privilegiato di allegorie, che noi non sempre siamo attrezzati per decifrare a prima vista. Il comportamento d'un santo, allorché gli imperscrutabili disegni divini conducono sulla sua strada un animale, non è necessariamente indicativo di ciò che farebbero, al suo posto, uomini più terreni, come dimostra il caso di San Francesco e del lupo di Gubbio. Eppure, non appena scrostata la patina di vernice miracolosa, com'è reale e concreto questo mondo padano di terra e d'acqua, dove la gente deve difendere sé e il proprio bestiame dal pericolo sempre in¬ combente delle alluvioni (e si difende, con eguale fiducia, scavando argini e portando in processione le reliquie dei santi); dove chi naviga sul grande fiume, via di comunicazione assai più sicura delle strade romane ormai in rovina, non può dormire la notte per via delle zan¬ zare (a meno che sulla chiatta non stia trasportando, per l'appunto, le reliquie di san Colombano dirette a Pavia, nel qual caso i fastidiosi insetti si terranno alla larga); dove perfino in città s'incontrano dappertutto stalle e letamai, sui sagrati delle cattedrali razzolano i polli e nelle vie non selciate corrono i maiali, mentre su tutto domina l'odore intenso dello sterco di cavallo. Sono per lo più animali domestici quelli con cui hanno a che fare i santi, e i loro miracoli sono del genere che anche i contadini possono apprezzare: un conte avido e superbo fa confiscare l'unica vacca di un villano, e mentre il poveruomo si dispera non sapendo come dar da mangiare alla famiglia, la fa macellare e servire in tavola; ma il primo, grasso boccone gli va di traverso e lo soffoca. E ancora, una scrofa malata, gravida e sul punto di partorire, guarisce per miracolo quando il padrone promette di regalare a San Bonomo il più grosso dei porcellini che nasceranno; un vescovo colpevole d'aver offeso San Ruffillo finisce a gambe levate, per volontà divina, nel liquame d'un letamaio. Ma non mancano, in questo bestiario contadino, animali più inquietanti, dai lupi e gli orsi che abitano le foreste ai serpenti, i draghi e i basilischi acquattati nelle paludi e nel fondo dei pozzi, a riprova che Satana è sempre in agguato per condurre l'uomo a perdizione. Per non parlare degli animali esotici che i ricchi e i potenti importano con grandi spese per stupire i poveracci: come il leone che il marchese di Toscana, Bonifacio di Canossa, teneva incatenato all'ingresso del suo palazzo. Anche in questi casi i santi sono pronti a incarnare il ruolo che la gente si aspetta da loro: disperdono a colpi d'esorcismo serpenti e basilischi, purificano pozzi e acquitrini aprendo la via al lavoro dei contadini, domano i leoni dei potenti e all'occasione spezzano le gambe ai loro cavalli, fra la tacita approvazione del grande pubblico. Vittime o beneficiari, di volta in volta, dell'intervento miracoloso, anche gli animali danno così il loro contributo inconsapevole al gigantesco sforzo degli agiografi per persuadere la povera gente che la Chiesa sta sempre dalla sua parte. Alessandro Barbero Uomini e bestie nell'Italia padana, la cultura materiale e simbolica del lavoro, del cibo e del paesaggio filtrata dai racconti agiografici, sulla scia delle ricerche avviate ài Camporesi, Fumagalli, Montanari SANTI E ANIMALI NELL'ITALIA PADANA Secoli IV-XII Elisa Anti C/ueb pp. 276 L. 32.000 San Francesco e il lupo di Gubbio in una stampa popolare. Un saggio di Elisa Anti studia il rapporto tra vite dei santi e vita contadina nel nostro Medioevo. Sotto, Piero Camporesi