E LA GELOSIÀ ARMO' LA CONTESSA BELLENTANI di Cinzia Tani

E LA GELOSIÀ ARMO' LA CONTESSA BELLENTANI E LA GELOSIÀ ARMO' LA CONTESSA BELLENTANI Cernobbio, 1948: fuoco sulVamante al Grand Hotel UtjM ™ delitti del primo dopoguerra hanno la caratteristica di restar memorabili. E non solo per la loro atrocità, ma piuttosto per il fatto che in Italia, dopo le censure fasciste, tornò a furoreggiare la cronaca nera. Non è vero che fosse stata abolita del tutto in tempo littorio, ma ne erano stati contenuti gli spazi e le esasperazioni. Insomma, le notizie erano apparse, sfrondate da enfasi e mor■ bosità, in poche succinte righe essenziali. In certo senso oggi si poHJffl «— trebbe addirittura rimpiangere che non si sia continuato così. Ma, allora, il ritorno della cronaca nera apparve una grande conquista di libertà. I giornali uscivano magari in un solo foglio, ma pieni dei resoconti di misfatti di ogni tipo. Il caso Bellentani aprì uno squarcio intrigante sul mondo dei ricchi. Verso le due del mattino del 16 settembre 1948, al Grand Hotel Villa d'Este di Cernobbio, dove la celebre sarta Biki aveva presentato la collezione per l'inverno '48-49 e la sfilata s'era poi trasformata in festa da ballo, il conte Lamberto Bellentani espresse alla moglie il desiderio di tornare a casa. La contessa Pia Bellentani andò verso il guardaroba e tomo poco dopo. Pareva nasconder qualcosa sotto la pelliccia d'ermellino. Appena qualche minuto dopo l'industriale tessile Carlo Sacchi giaceva a terra moribondo e la contessa Bellentani tentava di spararsi alla tempia destra, impasticciandosi e gridando parole incomprensibih. L'industriale Leopoldo Surr le strappò la pistola di mano e il signor Robert Bouyeure marito della sarta Biki le appioppò due schiaffoni, forse anche per punirla di aver rovinato la festa alla moglie. Al momento erano presenti Lilian Willinger Sacchi, moglie della vittima, Ada Locatelli sorella della vittima, Mimmi Guidi, al secolo Sandra Cozzi, nuova amante della vittima, l'industriale Remo Cademartori, il barone Maurizio de Rothschild, Elsa «Herti» Herrtter, giornalista di costume, Adriana Duli'er Dans e Franca Tremolada, amiche della vittima, i già citati Leopoldo Surr e Bouyeure e altri invitati. La moglie e la sorella della vittima si erano inginocchiate accanto al congiunto boccheggiante. Su di loro franò la signora Mimmi Guidi stringendo le mani di Carlo Sacchi e gridando: «Non potete mandarmi via; ho diritto anch'io di stare qui», ma fu spinta lontano dalla signora Locatelli, in un groviglio e in una rissa scomposta di donne scollate e pittate. La sarta Biki decise di svenire. L'orchestra continuava a suonare. Sabry Pascià, zio di re Faruk d'Egitto, stava a un tavolo con le sue tre mogli e un'altra signora di rincalzo. Ormai erano le due. Il conte Bellentani, che stava bevendo un bicchiere d'acqua minerale quando la moglie aveva sparato, solo lentamente aveva compreso la situazione, ma non riusciva ad av- vicinarsi all'assassina. Dopotutto avrebbe potuto darle qualche consiglio, era stato avvocato prima di diventare commerciante di insaccati. Pia Bellentani da ragazza faceva Caroselli, era nata a Sulmona nel 1916. La famiglia era modesta e da molto tempo lavorava il rame. Il padre Romeo Caroselli si era messo in proprio e aveva preso a commerciare pure in laterizi, ferramenta e legnami: la voglia di lavorare e l'ambizione non gli mancavano, non gli erano mancati neppure i risultati. Aveva sposato la signorina Nazarena Jannamorelli di modesta famiglia come la sua e Pia era stata il frutto della loro unione. Pia era stata dapprima tirata su secondo le tradizioni del vecchio Abruzzo sinché Romeo e Nazarena Caroselli non avevano deciso che occorreva un salto di qualità nell'educazione della figlia e l'avevano inviata a Roma, al collegio delle suore di Notre-Dame dove era restata sino ai quattordici anni. I genitori non le avevano negato lo studio del pianoforte, del francese, dell'inglese e lunghi viaggi all'estero. I Caroselli avevano fatto i soldi, ma per la figlia desideravano la conquista di un migliore stato sociale. Il che non si poteva conseguire se non con un grande matrimonio. A partire dal compimento del quindicesimo anno di Pia, era iniziata la caccia al marito. Alla fine, era arrivato l'uomo giusto. Si chiamava Lamberto Bellentani ed era ritenuto ricchissimo possedendo molte centinaia di ettari di terra dalle parti di Correggio, Carpi, Modena. Il suo titolo nobiliare era senza macchia. E aveva anche un altro merito. Era nato a Reggio Emilia ed era, dunque, settentrionale. La scalata aveva raggiunto il culmine. Chi riusciva a desiderare di più? Nessuno parve considerare la differenza d'età. Forse neppure la diretta interessata. Era il 1938, Pia Caroselli aveva ventidue armi, Lamberto Bellentani ne aveva trentanove. «Nel 1938 la vita mondana in Italia aveva due aspetti», ha scritto Camilla Cederna in un bellissimo pezzo sul caso Bellentani. «C'era quello ufficiale di cui erano protagonisti Galeazzo Ciano, la contessa Edda sua moglie e i nomi più grossi dell'aristocrazia romana... Accanto a questa società ce n'era un'altra meno nota, ma forse più ambiziosa, composta di industriali, di proprietari di terreni, di aristocratici che avevano rinforzato il proprio patrimonio con matrimoni, con commerci e industrie. Pia Caroselli apparteneva a questa seconda società o per lo meno aveva tutti i numeri per entrare in essa. Il conte Lamberto Bellentani, quando la conobbe a Cortina, se ne innamorò forse appunto per quell'ombra di vita borghese e provinciale che restava in lei non cancellata dalla vita di collegio...». A un certo punto, comunque, la vita dell'educanda di Sulmona era cambiata drasticamente, nel senso che l'educanda era scomparsa e al suo posto era venuta alla ribalta una donna tutta.diversa, e impegnata in un'impresa impossibile. Quella di convertire il Diavolo. Nulla di mistico. Il Diavolo della contessa Bellentani si chiamava Carlo Sacchi, e faceva l'industriale tessile. Ovviamente non era stato lui a convertirsi al bene, ma era stata lei a convertirsi al male, a precipitare in un inferno di gelosia e disperazione. Lui, invece, si era presto annoiato. Era passato agli insulti e alle cattiverie. Volle divertirsi anche nell'ultimo scontro in quella notte tragica a Villa d'Este, e alla donna che lo minacciava con la pistola consigliò di non farne un fumetto. E aveva aggiunto: «Tutti i terroni esagerano». Allora lei aveva sparato. Nel marzo del 1952 Pia Bellentani fu condannata a 10 anni di reclusione di cui 3 condonati e a 3 anni di casa di cura. La pena fu ridotta in appello a 7 anni e 10 mesi. Uscì dal carcere il 23 dicembre 1955. L'inviato dell'«Oggi» che avrebbe dovuto descriverne la scarcerazione, Enrico Roda, un nobile settentrionale, non telefonò alla redazione di Milano. Il rotocalco doveva chiudere, si raffazzonarono poche parole. Si seppe dopo che Roda era andato a omaggiare la contessa liberata con un profluvio di rose rosse, e avrebbe convissuto con lei. Oreste del Buono Giorgio Boatti Condannala nel '52, lasciò il carcere Ire anni dopo: rinvialo di «Oggi» l accolse con un mazzo di rose Pia Bellentani con il marito, conte Lamberto i MEMORIE |)E niXt'ITAIM m UNITA Testi citati: Riva & Vigano Un delitto al giorno Baldini & Castoldi Milano 1994 Camilla Cederna Il meglio di Mondadori Milano 1987 Cinzia Tani Assassine Mondadori Milano 1998