La «bomba Giappone» fa tremare l'Asia di Ugo Bertone

La «bomba Giappone» fa tremare l'Asia Il premier Obuchi presenta il piano d'emergenza: tempi troppo lunghi. Hong Kong a picco La «bomba Giappone» fa tremare l'Asia Ma Wall Street rida fiato all'Europa MILANO. «Il nostro obiettivo è quello di costruire un Paese non soltanto prospero ma che goda anche della fiducia internazionale». Ma proprio mentre Keii Obuchi, neo-premier giapponese, presentava così in Parlamento il suo governo, lo yen tornava ad avvicinarsi alla soglia di rischio, quota 145 sul dollaro, e la Borsa entrava in zona negativa, chiudendo poi a -0,3%.. Non sarà facile per il nuovo primo ministro conquistarsi la fiducia, sia all'interno che all'estero. L'uomo non sembra aver di sicuro il carisma necessario («purtroppo - ha dichiarato Koji Tada, strategist della Toda securities - è anche un modesto oratore»). La sua ricetta economica, poi, suscita più perplessità che entusiasmi, a partire dal potentissimo Hiroshi Okuda, numero uno della Toyota che, proprio alla vigilia dell'esordio parlamentare del governo, ha lanciato un messaggio drammatico, senza precedenti, davanti all'assemblea della Confindustria nipponica: «c'è il rischio concreto - ha dichiarato - che il Giappone possa provocare una crisi finanziaria mondiale, capace di far sprofondare anche le Borse europee e americane, se non si risolverà, con la massima urgenza, il problema delle banche». Ma queste parole non sono bastate a stimolare nuove iniziative da parte di Obuchi. La ricetta ripetuta in Parlamento è più o meno la stessa già nota. L'obiettivo è ridare slancio all'economia nipponica entro un anno o due, senza lesinare gli sforzi «anche a costo di mettere a rischio la stessa sopravvivenza del governo». La ricetta? 1) tagli alle tasse, a partire dal prossimo gennaio, per 4 miliardi di yen (50 mila miliardi di lire) con la riduzione dell'aliquota massima sul reddito dal 65 al 50%; 2) tagli alle imposte delle imprese per altri 3 miliardi di yen; 3) emissione di titoli e di nuova liquidità per finanziare la manovra, sospendendo così il piano di riduzione del debito pubblico varato un anno fa; 4) avvio di un piano decennale di sacrifici nella pubblica amministrazione, con l'obiettivo di ridurre i costi della macchina statale del 30%. Fin qui nulla di nuovo. Ma c'è un'apertura importante, almeno per i più ottimisti, all'opposizione sul fronte più delicato, quello della crisi bancaria. Obuchi si è detto disponibile a trattare con l'opposizione, partito democratico in testa, la riforma del sistema bancario. Il nodo politico, in sintesi, sta nella «banca ponte», che dovrà accollarsi i crediti a rischio e le enormi sofferenze accumulate dal sistema: almeno 87.500 miliardi di yen (più di un milione e centomila miliardi di lire). Dove sta il dissidio? Per il governo gli istituti risanati dovranno restare nella sfera privata, in mano agli attuali azionisti. L'opposizione, al contrario, chiede che lo Stato assuma il controllo delle istituzioni, senza far ricorso a una «banca pon¬ te» o ad altri meccanismi che tendano a non far saltare gli equilibri attuali, cari alla lobby della maggioranza. Ma l'accordo è troppo importante per essere sacrificato sul terreno delle clientele e delle amicizie elettorali. E così Obuchi ha ribadito la sua disponibilità ad un dialogo aperto con l'opposizione per disinnescare la mina bancaria, la più pericolosa ma non l'unica della polveriera di Tokyo. I dati in arrivo dall'economia reale, infatti, sono ben più che allarmanti. Per la prima volta da più di vent'anni il numero di giapponesi che hanno diritto al sussidio di disoccupazione ha superato la soglia del milione. La disoccupazione ha raggiunto il 4,3% e le previsioni so¬ no nere: espelleranno manodopera le banche, il pubblico impiego, i servizi, soprattutto se Tokyo risponderà alle richieste Usa di liberalizzare il settore. Nel primo semestre fiscale, che si chiuderà a settembre, il prodotto interno lordo dovrebbe accusare un crollo attorno al 4-4,5% e si guarda con apprensione alle statistiche economiche della prossima settimana, a partire da quello relativo alle vendite di nuove case. A giugno il settore, indicatore prezioso della fiducia delle famiglie, registrò una caduta del 28%, adesso gli esperti si aspettano un nuovo tonfo «solo» del 12%... E sarà ancor più interessante verificare se, almeno in parte, si sarà arrestata l'emorragia (-5,3% a giugno) delle vendite dei grandi magazzini. Di fronte a questi dati si capisce perché i mercati temono che, prima o poi, Obuchi e Miyazawa giocheranno la carta della svalutazione pilotata dello yen per ridare ossigeno all'industria. Una manovra che renderebbe inevitabile la svalutazione dello yuan cinese e del dollaro di Hong Kong. L'ex colonia britannica, di fronte a questa prospettiva, è ormai nella bufera: ieri il listino ha subito l'ennesima caduta, il 3,15%. Senza però intaccare le Borse europee sospinte da Wall Street, che è arrivata a guadagnare oltre 100 punti (per chiudere comunque con un più modesto +20). Ugo Bertone Il premier giapponese Keii Obuchi

Luoghi citati: Asia, Europa, Giappone, Hong Kong, Milano, Tokyo, Usa