INDUSTRIALE «MALATO» DI POLITICA

INDUSTRIALE «MALATO» DI POLITICA INDUSTRIALE «MALATO» DI POLITICA DAI banchetti alla banca. Un cammino singolare quello di Luigi Abete. Per settimane impegnato con i tavolini allestiti per strada per raccogliere le firme per il referendum contro la quota proporzionale nell'elezione della camera, da ieri mattina il cinquantunenne ex presidente della Confindustria è il presidente della Banca nazionale del lavoro. Appena depositate 687 mila firme, Abete accantona la passione per la politica e toma a esibire quella per l'economia. Sempre da posizioni di spicco. Ma senza perdere l'identità di industriale (guida un grappo grafico-cartotecnico) misurandosi in prima persona con i problemi sociali. Un imprenditore, spiega, deve occuparsi di politica «perché se il sistema dei partiti non cambia sarà il sistema paese a precipitare». E «questo non aiuterà certo le imprese». Alleato con il senatore od ex magistrato Antonio Di Pietro, Abete si è lanciato con foga nell'avventura referendaria. Una scelta «trasversale» per lui che non ama il capo dell'opposizione Silvio Berlusconi, ma che non è legato al presidente del Consiglio Romano Prodi. Lo scorso 5 giugno all'Hotel Miramare, dove tante volte aveva fatto il primattore all'annuale convegno dei giovani della Confindustria, aveva collocato il banchetto all'ingresso. E si sbracciava per convicere chiunque si avvicinasse ad aderire all'iniziativa. E quando, a fine serata, ha calcolato di aver messo insieme 273 firme, ha esultato: «E' una svolta». E confessava che, dal 1992 al 1996, nei quattro anni di guida della Confindustria aveva dovuto autolimitarc i suoi interventi per rispetto dell'impegno a mantenere l'organizzazione «dentro la politica ma lontana dai partiti» come disse all'assemblea del 25 maggio 1995. Tanta cautela però non gli impedì di subire nel direttivo i rilievi dell'allora presidente della Fiat Cesare Romiti che rimproverava la troppa attenzione per la politica. Ricordandolo Abete osserva ora che secondo lui Romiti è oggi «il più politico di tutti». Scatenato in politica, ma finora pronto a garantire di non voler creare un partito o diventare parlamentare, Abete ha avuto dimestichezza con le stanze del potere sin dall'addio alla guida della Confindustria. Anzi per la precisione, tredici giorni prima dell'uscita di scena (avvenuta il 23 maggio 1996) Abete diventò consigliere di amministrazione della Bnl (controllata dallo Stato) su invito di Lamberto Dini. Di un'altra azienda pubblica, Cinecittà, con entusiasmo Abete è diventato amministratore delegato. L'incarico alla Bnl lo ha subito stuzzicato. Fu lui a raccontare che Dini, chiedendogli la disponibilità ad accettare la nomina «l'ha motivata con l'obiettivo che anch'io potessi dare un contributo per migliorare l'efficienza dell'attività aziendale e accelerare la privatizzazione». E uno stimolo in questa direzione viene dato quando si tratta di discutere il progetto di fusione tra la Bnl e il Banco di Napoli. Abete adesso diventa presidente proprio per concretizzare la privatizzazione. Un'opera che deve apparire affascinante a un imprenditore che (dal podio della Confindustria) ha accusato a lungo le banche italiane di essere inefficienti e antiquate. Ir. ipp.l

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