Amore e morte nel bosco incantato

Amore e morte nel bosco incantato «Anche la prima volta che salii sui sentieri trovai un uccellino ferito» Amore e morte nel bosco incantato Sulla strada dell'altipiano, tra fiabe e ricordi L tempo afoso si era scaricato con due violenti temporali che avevano tolto al paese luci e televisioni: erano i lampi che illuminavano boschi e montagne e lo spettacolo era certamente più bello di quello che era apparso sullo schermo. Ma, forse, più d'uno aveva anche paura delle forze della natura. Pensavo alla grandine che mi pestava il radicchio da cespo che avevo seminato per poi trapiantare; ma anche mi auguravo che non si spostasse verso le colline ai piedi dei monti dove si sta maturando l'uva per il buon vino di Breganze. Questa mattina il cielo era limpido, fresca l'aria e così, dopo la solita colazione con pane, miele e latte di vacche al pascolo, invece di sabre in questa stanza ho preso il bastone per andare a camminare su per la strada che porta a Monte Zebio. Poco lontano da casa, sul pascolo della Barhùtta (vuol dire ricovero dell'orso), ricordai che su quel grande sasso isolato molti anni fa Toni Tinaro, stando qui sulla strada, aveva sparato e ucciso una volpe: un tiro molto lungo! Era di novembre e la pelle della volpe valeva almeno venti chili di farina da polenta. Sul secondo tornante era ferma un'automobile rossa: «Gente che di buonora va per funghi», pensai. Invece c'era dentro seduto Toni Schenal che con gesto discreto cercava di attirare la mia attenzione su qualcosa che non riuscivo proprio a scorgere. Fu avvicinandomi che vidi il lepre che, lasciata la sua colazione verde, aveva risalito la scarpata e camminava sulla strada verso di noi. Era un marzaiolo vivace ma non spaventato; uno di quei lepri nostrani, montanari, non grandi e con la stellina bianca in fronte. Prese il suo sentiero per il bosco. Toni mi raccontò che veniva qua da diverse mattine - più sopra ha il suo capanno dove nelle albe di novembre aspetta il passo delle cesene - per godere la vista dei lepri e dei caprioli. L'altra mattina aveva osservato quattro leprotti che giocavano sul prato del Bepi; ma ogni giorno anche la capriola che aveva partorito nel boschetto del Perlio: «Ha due piccoli che allatta. Che belli! Erano sull'orlo del boschetto e tu vedessi come ciucciavano. Ma da due giorni non li vedo più». E' da anni che una capriola va là a partorire. Per loro dev'essere proprio un bel posto; riparato anche se vicino alla contrada perché un borro lo separa dalla strada. I cani non ci vanno e sopra ha una fascia di prato in riva che non viene più falciato. Anche la volpe non lo frequenta. Salutai Toni e continuai la mia passeggiata pensando che ora quei caprioli non si faranno vedere perché per la madre è venuto il tempo dell'amore e si è spostata nel bosco vero e proprio, nel territorio del suo maschio: ho potuto osservare che i segni marcati da «lui» si fanno più evidenti. Tra qualche giorno, verso sera, nei prati vicini si potrebbero forse vedere le loro corse e i loro giochi amorosi. La strada sale ora lungo il dorso dell'antica morena che i secoli hanno ricoperto con il bosco. Un fruscio di ali mi fa alzare la testa verso il cielo dove una coppia di corvi reali vola alta verso la montagna. Mi piace la voce dei corvi imperiali, non è petulante e sgradevole come quella delle cornacchie. In volo si chiamano e comunicano tra di loro con versi brevi e pacati; anche se hanno un vocabolario molto variato non hanno tante cose da dirsi ma, da lassù, tante da guardare. Così, guardando anch'io al di là della valle, vedevo la roccia dove sapevo esserci un piccolo branco di camosci. «Ci sono anche quelli nati a giugno di quest'anno e, nelle ore più calde, le madri li porteranno nell'ombra più nascosta. Adesso sanno già arrampicarsi sfidando i precipizi. Ma è diffìcile vederli, an¬ che guardando con il cannocchiale. A questo punto del giorno stanno immobili a ruminare e sanno bene mimetizzarsi». Ripresi a camminare guardando ogni tanto verso terra: in una pozzanghera a lato della strada non c'erano tracce né di capriolo né di cervo: solo quelle, chiare, delle quattro dita di un tordo che era volato lì a far colazione con i lombrichi. Ma questa vipera perché avrà voluto attraversare la carreggiata? Una ruota l'aveva schiacciata e ora il suo corpo era invaso dalle formiche; con la punta del. bastone la lanciai nel bosco. E' bello il bosco, e quest'anno particolarmente lussureggiante: le piogge e il caldo lo rendono vigoroso. Mi ha rallegrato vedere nel sottobosco le piantine di faggio nate da seme. E' così: l'albero può morire ma la foresta si rinnova. Anche noi. Ai bordi della strada ogni tanto vedevo il bel fiore della digitale porpurea, la preziosa pianticella che nel passato ha curato tanti cuori. Anche quello di mia madre. Si usa ancora in farmacologia la digitalina! Ma come mai nel recente e bel Dizionario di fitoterapia e piante medicinali della Campanini non la trovi citata? Guardando la digitale il mio occhio si era fermato su qualcosa di morto. Mi chino a raccogliere. E' un uccellino, un nidiaceo ucciso probabilmente dalla grandinata di ieri séra; osservando il becco e le penne che stavano spuntando sull'ala mi dico che è un fringuello. Come mai una cova così in ritardo? Di solito nascono ad aprile; certo sarà della seconda nidiata. Non ha fatto in tempo né a volare né a cantare. Lo deposito nel sottobosco: diventerà humus pure lui. Rivivrà in un fiore. ... andavo con il mio passo pensando a quante volte nella mia vita ero salito per questa strada. La prima volta fu con mio nonno, avrò avuto cinque anni. Anche quel giorno raccolsi un uccellino ferito; era uno zigolo giallo e me lo misi dentro la camicia: le sue zampine mi grattavano il petto. Poi s'involò dall'apertura. Allora il bosco era stato quasi del tutto distrutto dalla Grande Guerra. Quando andavo a caccia, camminavo su di qua nelle ore antelucane per portarmi in alto ad aspettare l'alba. Quante stelle in quelle notti d'ottobre! Quando schiariva ascoltavo i segugi dei Mùller sulle pasture dei lepri. ... un automezzo sta ora scendendo con prudenza, sobbalzando sulle canalette di scolo delle acque piovane e sui sassi: è la vecchia Uno di Franco, detto Caccia perché suo nonno materno era un famoso cacciatore da giovane e un bravo guardacaccia da adulto. Il Toni Catagno! Franco ferma la Uno alla mia destra: «Hai trovato qualcosa?» gb chiedo. Mi fa vedere il cesto sul sedile posteriore; ha il consentito dal regolamento: un paio di chih tra boleti, cantarelli e agarici. «Non c'è tanto. Per trovare questi ho dovuto camminare da questa mattina alle cinque». Ci salutiamo e riprendiamo la nostra strada. ... guardo l'orologio: è più di un'ora che cammino ma non ho fatto molti chilometri: trent'anni fa ne avrei percorsi almeno il doppio. Pazienza. Anche Emilio Lussu con i suoi fanti della Sassari, nel '16, aveva più volte salito questa mulattiera che parte dalla Croce di Sant'Antonio, e lo ricorda nel suo libro Un anno sull'altipiano. In quel dopoguerra, per queste vallette c'erano i loro cimiteri e il terreno era cosparso di residuati bellici. Ora il bosco ha ricoperto tutto, ma per chi sa guardare ancora sono ben visibili gb scavi delle trincee e dei ricoveri. Tra le radici degb alberi chissà quante cose sono nascoste. Gli alberi raccontano al cielo i segreti'della terra. ... una lapide ricorda Fausto Finzi, un volontario della «Legione Trentina», sottotenente dell'artiglieria da fortezza, corpo dei bombardieri, qui caduto l'8 giugno del 1917. Penso che, forse, più che per il fuoco dell'artiglieria austriaca sia morto con altri compagni per l'esplosione della bombarda che stavano lanciando. Erano molto pericolose le bombarde. L'8 giugno era stato il giorno del brillamento imprevisto (un fulmine? una scintilla provocata dai genieri, la miccia accesa da un soldato impazzito? Rimane un mistero) della grande mina della Lunetta. Venne sepolto l'intero reparto della brigata Catania che presiedeva quella famosa quota ma anche molti austriaci... Lassù c'è ancora il cratere provocato da tonnellate di esplosivo. I grandi massi di roccia sono stati scagbati giù per il pascolo della malga dove ora le vacche pascolano tranquille. Per me è ora di ritornare verso casa: mi è stato chiesto di scrivere qualcosa per i lettori della Stampa. Ma cosa dire ancora? Ecco: racconterò di questa passeggiata di fine luglio. Affretto il passo: viene facile camminare in discesa con passi corti e rapidi. Incontro una famigliola in escursione: tre adulti, un ragazzo e due bambine; tutti con bastone e sacco da montagna in spalla. Il ragazzo impugna un tirasassi e sta mirando a uno strobilo alto su un peccio. Si accorge di me e cerca di nascondere il tirasassi sotto la camicia. Gli strizzo l'occhio e saluto. La mia casa e il mezzogiorno non sono lontani. Mario Rigoni Stern «Nel sottobosco ho trovato piantine di faggio: così la foresta si rinnova» «Fra qualche giorno si potranno vedere i giochi amorosi dei caprioli» Un'immagine dell'altipiano di Asiago

Persone citate: Emilio Lussu, Finzi, Mario Rigoni Stern

Luoghi citati: Asiago, Breganze, Catania, Sassari