Lampedusa/ sbarco nella notte
Lampedusa/ sbarco nella notte Lampedusa/ sbarco nella notte E nei campi si rinforzano i controlli AGRIGENTO DAL NOSTRO INVIATO Italia e Tunisia stavano firmando alla Farnesina l'intesa sul rimpatrio dei clandestini e intanto al largo di Lampedusa la Guardia Costiera intercettava un altro barcone di disperati. Cinquantuno, partiti dal porto tunisino di Sfax. Quarantuno sudanesi, cristiani, in fuga dalle intransigenze degli islamici. Tra loro dodici donne. Altri dieci tunisini. Come al solito mollati alla deriva su un'imbarcazione in avaria, approdata a Lampedusa grazie al traino delle motovedette. A pensar male, come molti da queste parti fanno, sembrerebbe quasi un avvertimento tunisino all'Italia: l'accordo c'è, ma va rispettato perché se no i clandestini continueranno ad arrivare. Ma intanto nei campi di accoglienza siciliani dove si trovano i quasi duemila arrivati nell'ultimo mese, nessuno ha ancora capito quando e come incominceranno i rimpatri. E per ora l'unico cambiamento è che si rinforzano i cancelli, le reti di cinta, i controlli. Agli immigrati non è stato detto che dovranno tutti tornare a casa. Si temono tentativi di fuga in massa, tipo quello che è accaduto l'altra notte dal campo di Caltanissetta. Che la situazione non sia per niente tranquilla ce lo racconta padre Giuseppe d'Oriente, responsabile della Caritas di Agrigento e parroco di Raffadani. Padre Giuseppe trascorre ogni giorno cinque-sei ore nei due campi allestiti da questura e prefettura sotto i capannoni della zona industriale di Agrigento. Il «2» è quello più difficile, dove è avvenuta la rivolta e dove erano stati concentrati i «ribelli» di Lampedusa: «Non se ne vogliono andare e anche se saranno rimpatriati, già dicono che faranno di tutto per tornare». Padre d'Oriente parla correntemente l'arabo, è stato dodici anni in Palestina, ha diretto una scuola per «piccoli delinquenti» a Nazareth e preside a Jaffa. Conosce il loro mondo. E' polemico con la Cgil che aveva accusato la Caritas agrigentina di non essersi fatta carico dell'assistenza ai clandestini. Dice che ogni giorno porta stecche di sigarette nei campi e pacchetti di tessere telefoniche che sono gradite quasi più del pane. Dice di aver informato i clandestini di tutto ciò che può accadere loro. Ma confessa di non aver precisato che il destino più probabile (grazie all'intesa con Tunisia e Marocco quasi sicuro) è il rimpatrio forzato. Si temono, inutile nasconderlo, altre rivolte. Il calderone del campo numero «2» è una miscela esplosiva: c'è gente fuggita alla giustizia, ci sono alcuni (dice la poli- zia e conferma padre d'Oriente) che sembrano voler fare i provocatori, c'è un'organizzazione gerarchica. Capi, rais e luogotenenti. Ci sono - dice il sacerdote della Caritas - alcuni che «hanno potere di parola e il potere di dare la parola agli altri». Insomma un insieme sociale di difficile gestione: piccoli leader «politici» che non nascondono un passato criminale. Il problema è rispedirli a casa. Ma gli accordi tra governi, dicono sottovoce in questura, potrebbero paradossalmente aver reso più difficile l'operazione: ci vuole un'identificazione certa dei soggetti. Un'identificazione vis à vis che devono compiere addetti del consolato tunisino o marocchino. E non è facile: la maggior parte dei clandestini ha dichiarato nomi e nazionalità false. I marocchini dicono di essere tunisini e viceversa. Insomma la questione non è chiusa. E a Lampedusa il mare è di nuovo minacciosamente calmo. [c. m.] Sbarchi di clandestini a Lampedusa
Persone citate: Nazareth, Padre Giuseppe
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