«La prossima la mandano a noi» di Fabio Poletti

«La prossima la mandano a noi» LA RABBIA DEL LEONCAVALLO «La prossima la mandano a noi» E i centri chiedono «soluzione politica» ai processi SMILANO E va avanti così, il prossimo pacco bomba lo mandano a noi», taglia corto Daniele Farina, portavoce del Leoncavallo, alla notizia dell'ennesima lettera esplosiva, quella inviata a Milano nell'ufficio del consigliere di Rifondazione comunista Umberto Gay. «Queste sono bombe contro il movimento», rincara la dose, mentre ricorda la trattativa aperta con il Comune di Milano per dare un futuro al Leoncavallo, arrivato dopo venti anni in via Watteau. «Con Umberto parliamo da sempre», ricorda mentre respinge al mittente anche questo pacco bomba. «Chi ha mandato quei pacchi non lo sappiamo, ma non voghamo essere noi a pagare per tutto questo», giurano dal centro sociale Lecncavallo. E rilanciano: «A noi arrivano altri pacchi bomba, sono quelli che ci mandano ogni giorno dal ministero dell'Interno e dalla magistratura di Milano». «Come questo», dicono indicando un monumentale involucro di carta da pacchi, appoggiato sul tavolone nel cortile del centro sociale di via Watteau. Dentro, ci sono 22 faldoni con la storia giudiziaria del centro sociale più famoso d'Italia: tremila denunce, decine di processi ancora in corso per manifestazioni non autorizzate o per occupazioni abusive. Una «bomba», dicono. Una bomba sul dialogo che faticosamente da anni viene tenuto aperto tra incomprensioni, minacce. «E la repressione di chi ha già colto la palla al balzo, come il parlamentare di an Maurizio Gasparri che dopo i pacchi bomba ha già chiesto la chiusura di tutti i centri sociali d'Italia. Primo fra tutti il nostro», punta il dito Riccardo Purpura del Leoncavallo. Al suo fianco ci sono altri giovani dei centri sociali, da Roma a Imperia e poi dal Nord-Est. Non c'è nessuno da Torino - «Lì la situazione è troppo delicata, non sono potuti venire», si scusano ma c'è Mauro Da Cortes, anarchico da sempre: «Questa è una storia poco chiara, si cerca ancora una volta di criminalizzare il dissenso». «Parlare di bombe e di anarchici vale fino all'Ottocento, non ai giorni nostri», assicura, lui che viene dal circolo del Ponte della Ghisolfa, dove 30 anni fa erano iscritti Pino Pinelli, morto volando da una finestra della Questura e Pietro Valpreda, assolto dopo anni dall'accusa di aver compiuto la strage in piazza Fontana. Bomba o non bomba, tra i muri graffitati del centro sociale alla periferia, tra i casermoni di dieci piani e i prati spelacchiati, gira un'altra preoccupazione. Porta al 23 settembre, quando il Tribunale di Milano emetterà la sentenza per. gli scontri di quattro anni fa in pieno centro, auto scassate e lacrimogeni, vetrine in frantumi e manganelli, fuggi fuggi e passamontagna abbassati. «Io ho 31 anni, ho già esaurito anche i termini della condizionale. Possibile che se a uno arriva un avviso di garanzia si fa un grande can-can e nessuno dice niente se ai giovani del Leoncavallo ne arrivano tremila», protesta Luca Casarin, il portavoce dei centri sociali di Padova che azzarda il paragone con Silvio Berlusconi. «Noi chiediamo ima soluzione politica alle migliaia di processi che ci hanno buttato addosso. Non si può parlare di soluzione politica solo per Tangentopoli...», protestano in coro, loro che hanno la fama di essere i «brutti, sporchi e cattivi» e che sognano solo di non sparire, di non arretrare verso le periferie, di non essere inghiottiti dalle metropoli. «Nella relazione semestrale dei servizi segreti hanno detto che cerchiamo di infilarci nel movimento dei disoccupati. Ma se siamo noi disoccupati, lavoratori precari e in nero...», tuonano, alla ricerca di una identità definita. «Piuttosto dateceli a noi, i soldi usati per fare quelle relazioni», sorridono a un passo dal «simbo¬ lo», da quelle quattro mura che non erano niente e adesso sono una fabbrica di musica, di idee, di sogni. «A chi ci governa, chiediamo solo risposte politiche. Se la risposta è questa (indica il pacco, ndr) allora il conflitto si farà aspro», assicura Paolo Schiavone del Leoncavallo. Un giornalista chiede se tornerà il tempo della violenza e degli scontri. La risposta di Marco Buttironi dei centri sociali della Liguria non lascia dubbi: «Noi siamo per il dialogo, ma per dialogare bisogna essere in due. Fino ad ora non abbiamo trovato risposte». Dai centri sociali arrivano anche proposte. «A settembre si gioca la partita fondamentale, quella dei processi», assicurano. E chiedono di incontrarsi in assemblea, centri sociali e società civile insieme. «Chiediamo che vengano anche i destinatari dei pacchi bomba, ma non il magistrato torinese Maurizio Laudi e quei giornalisti che hanno contribuito a creare un clima di tensione», fanno i distinguo. E spiegano: «Perché quelle che vogliamo sono risposte politiche, non i carabinieri». Fabio Poletti