Il silenzio del delfino

Il silenzio del delfino UN VICE AMBIZIOSO Il silenzio del delfino Gore, gioco delle parti o tradimento? NEW YORK NOSTRO SERVIZIO L'ultima volta che Albert Gore, il vice Presidente, ha manifestato pubblicamente il suo appoggio a Bill Clinton risale ad almeno quattro mesi fa: in una cerimonia in cui lodò la «grande leadership» esercitata «dal mio amico Bill», cosa che a molte orecchie sospettose, suonò come le obbligatorie dichiarazioni di fede nel capo che si sentivano una volta al Cremlino. Per il resto, lui se n'è stato sempre abbastanza in disparte. Anche l'altro ieri, nella celebrazione della legge sul controllo delle armi organizzata in contemporanea con la deposizione di Monica Lewinskyi, lui era naturalmente presente ma nelle poche parole che ha pronunciato, più che dichiarare la sua «fede» nel Presidente ha preferito fare lo spiritoso sul ruolo del vice. C'è chi dice che sia un gioco delle parti, che la figura di Gore va comunque salvaguardata perché se le cose dovessero andare male sarà lui a dover assicurare la continuità del potere del partito democratico, non solo sostituendo Clinton, se mai si dovesse arrivare all'impeachment, ma anche perché lui dovrà comunque raccoglierne lo scettro nelle elezioni del 2000. E una campagna elettorale all'insegna della «complicità con Clinton» che i repubblicani potrebbero sempre scatenare non è proprio il più alto dei desideri dei democratici. Ma c'è anche chi dice che il basso profilo osservato da Gore nella faccenda di Monica è fatto in realtà di soddisfazione, sua e degli strateghi del partito. In fondo, se è vero che finché si parla della ragazza non si parla neanche dell'Iraq, del Kossovo, del fondo pensioni che non si sa come rimpinguare, del processo di pace in Medio Oriente che non si sa come rilanciare, e questo è un male, è anche vero che non si parla neanche di altri possibili scandali, e questo è decisamente un bene, perché per esempio quello dei finanziamenti illeciti ottenuti per la campagna del 1996 non riguarda solo Clinton ma anche Gore. Certo, con l'improvviso «risveglio» dei repubblicani dell'altro giorno e con la loro citazione in giudizio del ministro della Giustizia Janet Reno, colpevole di avere nascosto i risultati delle indagini condotte dall'Fbi, quello scandalo un po' è rivenuto fuori. Ma bastava guardare i giornali e le tv di ieri (a occhio, un rapporto di cento a uno sulla attenzione dedicata alle due cose) per stare certi che finché ci sarà Monica non si andrà mol¬ to lontano. Si lasci quindi che Clinton (peraltro mai molto amato dai democratici, che lo conside rano responsabile della tremenda sconfitta del 1994) se la veda con Kenneth Starr, e si tenga «pulita» la figura di Gore, pronto a prenderne il posto: forse prima della scadenza naturale, sicuramente dopo. Se questo è il piano, è pronta anche la possibilità che possa saltare. I repubblicani, infatti, non sembrano per niente decisi a seguire Starr e a «colpire» Clinton in modo definitivo. Anche se il suo impeachment sarebbe per loro un gran colpo (finalmente la vendetta del Watergate), sanno benissimo che nel 2000 sarebbe molto più difficile battersi contro un Gore «già» installato alla Casa Bianca che contro un Gore con alle spalle altri due anni passati a cercare di farsi vedere il meno possibile. Senza contare che di qui al 2000 la possibilità che lo scandalo dei finanziamenti «monti» e che lui possa diventare il bersaglio numero uno, da «logorare» con continue rivelazioni, è molto consistente. L'attacco a Janet Reno è la prima avvisaglia e c'è da giurare che appena il ciclone Monica sarà passato, in un un modo o nell'altro, le prime piogge del nuovo cliclone cominceranno a cadere. [f. p.] Molti pensano che sia una tattica per salvaguardare l'immagine del partito democratico Ma i repubblicani non sembrano disposti a concedergli una tranquilla staffetta al potere

Luoghi citati: Iraq, Medio Oriente, New York