L' ombra lunga della Jihad

L' ombra lunga della Jihad L' ombra lunga della Jihad Aveva annunciato: colpiremo gli Usa IL CAIRO NOSTRO SERVIZIO Tragedia annunciata dagli integralisti islamici, oppure azioni di un gruppo terroristico africano anti-Usa del tutto sconosciuto? E' quello che cercherà di appurare la task force inviata ieri in fretta e furia dal Dipartimento di Stato a Nairobi e a Dar es Salaam. Se la pista di un attentato di matrice africana legata a quanto sta succedendo nella zona dei Grandi Laghi (gli scontri etnici fra Congo e Ruanda) appare la meno probabile, prende consistenza invece quella di matrice islamica. Anche perché al Cairo i kamikaze di Dio della Jihad avevano annunciato l'altro ieri, in un comunicato sinistro, la loro intenzione di colpire gli interessi americani in risposta alla cattura di un loro dirigente in Albania, Ahmed el-Naggar e due suoi luogotenenti, eseguita proprio da truppe Nato. Questi rischia l'estradizione in Egitto dove lo attende il patibolo, dal momento che era già stato condannato in contumacia per una serie di attentati. «Faremo sentire la nostra risposta nel linguaggio che essi capiscono», recitava il messaggio recapitato alle agenzie occidentali e il giorno dopo ecco le deflagrazioni nel centro dell'Africa. I sospetti per adesso vanno in quella direzione, cioè della pista islamica. E ieri sera si sono rafforzati dopo la notizia circolata a Nairobi sul fermo di un cittadino arabo, accusato di avere preso parte al sanguinoso attentato. Questo gruppo, fondato nel 1973 in seguito ad una scissione avvenuta in seno alla Confraternita dei Fratelli musulmani, fu responsabile dell'assassinio del presidente Sadat nel 1981. Mezzi e risorse non gli mancano. La scorsa primavera la Jihad ha ricucito di nuovo lo strappo con la Jamaa, l'altro movimento integralista egiziano che combatte per rovesciare il regime moderato del presidente Mubarak. Superando le numerose divergenze ideologiche, i due gruppi hanno deciso di operare insieme per portare a termine il loro disegno strategico, edificare un regime teocratico in Egitto. In realtà sono stati costretti a scendere a patti, a raggiungere un compromesso. Entrambi, infatti, sono logori, almeno all'interno dell'Egitto, a causa dell'estenuante lotta condotta ai gruppi integralisti dalle forze di sicurezza egiziane. Ecco il perché del patto di ferro siglato in Afghanistan da Aiman el-Zawahri, capo indiscusso della Jihad, e da Mustafa Hamza e da Ahmed el-Islambuli, sotto gli auspici del miliardario saudita Ussama Ben Laden. Ricercato dalla Fbi e dalla polizia saudita, egli si è rifugiato sulle montagne dell'Afghanistan dove gode della protezione dei taleban. Grazie ai miliardi da lui accumulati in epoche meno travagliate in Arabia Saudita, Ben Laden è in grado di manovrare a suo piacimento le leve del terrorismo e colpire - come aveva già promesso - gli interessi americani in tutto il mondo. ibrahim Refat

Persone citate: Mubarak, Mustafa Hamza, Sadat