Un'inchiesta sulle donne adatta all'inverno e alla prima serata di Alessandra Comazzi
Un'inchiesta sulle donne adatta all'inverno e alla prima serata F TBVU' E TIVÙ' "~1 Un'inchiesta sulle donne adatta all'inverno e alla prima serata FA male al cuore ascoltare le ragazze che raccontano la loro storia a «Contro la nostra volontà», un programma di Virginia Onorato ed Emanuela Moroli, in onda ieri alle 23,15 su Raidue. Fa male al cuore perché, in mezzo a tanta televisione allegra quasi sempre per Fmta, fra tanti programmi di verità che verità non sono, queste ragazze intervistate avevano gli accenti accorati della sincerità, una sincerità talvolta strana, mescolata di reticenze, che pure non perdeva la sua capacità di colpire. E' un'inchiesta compiuta tra giovani donne dell'Est, albanesi, ucraine, lituane, polacche, russe, che, attirate da amori o da miraggi, spesso dal miraggio dell'amore, arrivano nel Belpaese e scoprono che la loro unica possibilità di sopravvivenza è la prostituzione. Intrappolate, marcate strette dai loro «amici», non hanno più via d'uscita. Si trovano impaurite, terrorizzate, senza soldi, senza documenti, ricattate da chi le ha convinte a venire in Italia, lasciando nei Paesi d'origine figli, o genitori anziani, contro i quali è facile rifarsi. La trasmissione, forte, cruda, dolente, sarebbe dovuta andare in onda d'inverno e in prima serata; poteva forse (anche se è pretendere troppo dalla tv) risvegliare qualche coscienza, toccare qualche cuore. Di coloro che rappresentano la domanda laddove tutte queste ragazze formano l'offerta. E se non toccava i cuori, poteva stimolare qualche reazione nei nostri animi addormentati, narcotizzati, abituati ad un governo, ad una pubblica amministrazioe che non sa prendere provvedimenti. Il programma andrebbe trasmesso d'inverno e in prima serata anche perché le ragazze come quelle intervistate, possibili future vittime, ingenue o incoscienti o disperate, lo potessero vedere. In modo che almeno le albanesi, che la nostra tv la vedono e ci scambiano di conseguenza per dei ricchi epuloni, sapessero la fine da poveri lazzari alla quale sono votate, se passano il mare. Non erano tutte uguali le storie, non erano naturalmente uguali le ragazze. In comune, avevano alle spalle la volontà di sfuggire a quello che sembrava un destino segnato, rifugiandosi nei centri antiviolenza di Roma. La testimonianza più agghiac¬ ciante era quella di Bianca, partita dall'Albania con il suo grande amore che le aveva promésso una vita migliore, e soprattutto insieme, poi costretta a prostituirsi. Al suo rifiuto, lui l'aveva caricata in macchina e buttata giù dall'auto in corsa. E' riuscita a salvarsi, ma cammina a stento, parla a fatica, ha ancora paura. Parlano tutte di morte, queste ragazze, come se fosse una conseguenza logica della loro vita ventenne. Tatiana, l'ucraina, pare più reticente, come se fosse stata consapevole di quello che veniva a fare in Italia: solo che si aspettava una vita più facile, più ricca. Dice: «Non posso tornare da mio figlio senza giocattoli». Veramente potrebbe. Ecco, è un merito del programma non aver abbracciato tesi precostituite, non aver voluto a tutti i costi dipingere le ragazze come martiri. Ricordiamo che domani esce il supplemento «In tivù», che avrà due pagine intere di colloquio con i lettori. I quali possono scrivere a «La Stampa - In tivù», via Marencò 32, 10126, Torino; fax: 011/6568.131; posta elettronica acomazzi@tin.it. Alessandra Comazzi
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