Le forze nascoste dell'universo

Le forze nascoste dell'universo planetario dibordo. Dal Big Bang alle «superstringhe»: incontro con il fisico Luciano Maiani Le forze nascoste dell'universo LGINEVRA •1 APPUNTAMEN/ TO è nel 2005. Nel / 2005 qui al Cern Centro Europeo Ricerca Nucleare: tremila fisici, ingegneri e tecnici, mille miliardi di budget annuale - sarà pronto un nuovo acceleratore di particelle, la macchina più grande e più potente del mondo per indagare sugli ultimi segreti della materia. Si chiama Lhc, Large Hadron Collider. Occuperà una galleria ad anello lunga 27 chilometri, a 100 metri di profondità sotto il confine tra Svizzera e Francia. Nella grande ciambella ipogea oggi funziona egregiamente Lep, un acceleratore di elettroni e positroni, materia e antimateria. Alla fine del 2000 Lep verrà smontato e il suo posto sarà preso da Lhc: una macchina costituita da 1300 magneti superconduttori raffreddati a 271 gradi sotto zero, che farà scontrare protoni ad altissima energia. Scopo: stanare il «bosone di Higgs», una particella prevista dal fisico inglese Peter Higgs che spiegherebbe perché le altre particelle hanno massa. Quindi, in un certo senso, perché esiste l'universo. Perché noi siamo qui a parlarne. E poi? Esistono teorie che cercano di spiegare le particelle e le forze fondamentali della natura come modi di vibrare di minuscole corde - le «superstringhe» - ripiegate su se stesse in 10 dimensioni. Ma per studiare le superstringhe in laboratorio occorrerebbero energie un miliardo di miliardi di volte più alte di quelle ora alla nostra portata: bisognerebbe replicare il Big Bang che diede origine al cosmo! Così la fisica teorica rischia di somigliare sempre più a una metafisica, forse persino a una teologia. Andiamo verso un divorzio tra teorie ed esperimenti? «Il pericolo c'è - dice Luciano Maiani, dal prossimo anno direttore del Cern, autore di studi teorici fondamentali per capire il microcosmo -. La distanza tra teoria ed esperimento varia nel tempo. Quando si hanno idee poco chiare, bisogna trarre ispirazione dall'esperimento, e la teoria trascina i piedi nel tentativo di inseguire i risultati sperimentali. Questo è ciò che succedeva negli Anni 60. Dagli Anni 70 in poi si è elaborato il modello standard che interpreta in modo unitario tutte le particelle elementari. Di questa teoria non conosciamo i confini. O meglio: qualche idea ce l'abbiamo, ma non si è ancora esplorata tutta la teoria. Perciò viviamo un'epoca in cui è la teoria a correre avanti, mentre la sperimentazione arranca. E' una situazione simile a quella della seconda metà dell'800, quando Maxwell elaborò la teoria dell'elettromagnetismo e nacque la meccanica statistica. Anche allora si pensò a una possibile fine della fisica... Via via gli esperimenti ci stanno portando alla frontiera. Ci sono indizi che il modello stan- dard potrebbe subire cambiamenti drammatici alle energie che si rag- giungeranno nel 2005 con l'acceleratore Lhc». C'è il problema di spiegare la forza di gravità insieme con le altre forze fondamentali che agiscono nel microcosmo atomico. La teoria suggerisce che l'unità delle forze fondamentali della natura si trovi a livelli energetici in cui nessun esperimento è immaginabile. Bisognerà dire addio al metodo fondato da Galileo? «Sì, la gravità sembra molto lontana. Ma non si può mai dire. Ad esempio gli esperimenti sulla vita media del protone o sulla massa del neutrino potrebbero dare indicazioni anche su che cosa succede ad energie che non raggiungeremo mai con le macchine acceleratrici. La cosmologia, con i suoi fossili del Big Bang e con la materia oscura, potrebbe fornire indizi utilissimi. L'universo intero da questo punto di vista è un immenso laboratorio. D'accordo, l'unificazione della gravità con le altre forze ci sta portando lontanissimo. Però anche Democrito era andato molto lontano dai suoi mezzi sperimentali: eppure sull'esistenza degli atomi aveva avuto l'intuizione giusta. Magari ci vorranno duemila anni per arrivare a esperimenti sulla gravità quantistica, o forse si troveranno delle scorciatoie». Ma intanto non c'è il rischio di fare una «fisica metafisica»? «La fisica è una scienza sperimentale, non può stare staccata dagli esperimenti. Stiamo attraversando un deserto, nel senso che stiamo cercando di portare gli strumenti sperimentali verso la frontiera della teoria. Forse tra dieci anni ci lasceremo il deserto alle spalle». Bisogna anche riflettere su che cos'è oggi per voi fisici un esperimento. Il filosofo Pierre Duhem diceva che ogni osservazione è carica di teoria. Gli esperimenti che si fanno in laboratori come questi del Cern sono così sofisticati che tra la realta e l'osservatore si frappongono molte mediazioni: segnali elettrici nei rivelatori, trasformazione di questi segnali in forma digitale, elaborazione al computer, interpretazione di ciò che il computer ci fa vedere... e magari ciò che voghamo vedere si mostra solo per via negativa: cioè per il fatto che non lo vediamo... «Osservare è certamente qualcosa che ha una relazione teorica con ciò che si sta osservando. Questo è un problema filosofico antico. Anche le osservazioni di Galileo con il telescopio avevano le loro mediazioni: Giove si vedeva in un ceito modo perché c'erano in mezzo delle lenti, perché l'occhio interpretava le immagini e così via. Ma ammetto che oggigiorno spiegare alla gente comune che nel laboratorio del Gran Sasso "vediamo" i neutrini del Sole non è semplice. L'aspetto più interessante per me è un altro: è chiaro che la teoria ci procura anche degli oc¬ chiali per vedere, nel senso che noi non facciamo alla natura tutte le possibili domande, facciamo soltanto certe domande, e queste domande sono guidate dalla teoria. Ma il processo di prova ed errore che abbiamo trovato è efficace. La teoria suggerisce l'esperimento e l'esperimento dice se la teoria funziona. Resta aperto il problema posto da Eddington: se io pesco con una data rete, non potrò mai prendere pesci più piccoli delle maglie della rete. L'estremismo su questa strada è la filosofia di Popper: non c'è una realtà che noi ve- rifichiamo ma piuttosto ci sono teorie che noi falsifichiamo. In questo senso il problema si dissolve: Weinberg e Salam mi forniscono una teoria delle particelle, non mi interessa come ci sono arrivati, mi interessa però che la teoria faccia certe previsioni su esperimenti che danno risposta sì o no; quando danno risposta no butto la teoria, quando danno risposta sì vado avanti; ma non posso mai affermare filosoficamente che io sto verificando la teoria, cioè che sto acquisendo una visione della realtà quale essa è. Noi facciamo una cosa molto diversa da quella che pensavano di fare i nostri predecessori dell'Ottocento: loro ritenevano di esplorare una realtà che è lì, da toccare. Il rapporto della realtà con i nostri esperimenti è più complesso». Da questa complessità forse deriva anche il linguaggio quasi teologico che caratterizza la fisica: le particelle vengono «rivelate», altre volte vengono «create», il Nobel Leon Lederman parla del bosone di Higgs come della «particella di Dio»... «Sono un ammiratore di Lederman ma "La particella di Dio", il titolo che ha dato al suo libro, mi sembra di cattivo gusto. In più, fa pensare che la scoperta del bosone di Higgs sia l'ultima spiaggia: trovato questo, abbiamo finito. Non credo che le cose stianc in questi termini. Non credo a una verità finale. Credo piuttosto a un cammino in cui diventa sempre più difficile acquisire nuove informazioni, per cui magari a un certo punto si prenderanno altre strade, senza che si sia arrivati al traguardo. Il linguaggio esoterico serve ad abbreviare il discorso. La parola rivelare ha che fare con il fatto che, come si diceva prima, noi non vediamo le particelle in sé, ma qualche apparato fa clic e noi riteniamo che quel che riveli l'esistenza della particella. Nello stesso modo si parla di colori e saporì dei quark: sono civetterie che si possono perdonare, servono ad avvertirci anche che questi concetti non hanno corrispondenza nella realtà di tutti i giorni». Il Campo di Higgs ricorda quell'entità metafisica che è stato l'etere. Possibile che Einstein ci abbia liberati dell'etere e ora Higgs ce ne offra una nuova versione? «Il campo di Higgs è in effetti la reincarnazione dell'etere in una teoria relativistica. L'etere aveva due aspetti indipendenti tra di loro: uno era quello di fornire un sistema di riferimento privilegiato, e questo è caduto per sempre, spazzato via dalla relatività di Einstein; l'altro era quello di fornire una qualità al vuoto: con l'etere il vuoto non è vero vuoto, in quanto possiede delle proprietà fisiche; questo aspetto è stato ampiamente rivalutato dalla meccanica quantistica. Per la meccanica quantistica il vuoto è uno stato molto complesso, che contiene in potenza tutto, l'intero universo. Higgs aggiunge un nuovo elemento: nella sua concezione il vuoto è un po' come un lago, e le sue increspature sono le particelle di Higgs. Ma c'è qualcosa di più rivoluzionario, filosoficamente interessante: con il campo di Higgs le costanti fisiche non sono più costanti, possiamo pensare a universi diversi, nei quali per esempio la massa dell'elettrone, o la sua carica elettrica, non sono quelle che conosciamo. E' importante scoprire la particella di Higgs non tanto perché così abbiamo la conferma del modello standard delle altre particelle, quanto per sapere se il vuoto è di questa natura o no: ciò potrebbe cambiare la nostra visione dell'universo. E' fuori dubbio che per consentire la vita le costanti fisiche devono avere certi valori ben determinati: il principio antropico afferma appunto che le costanti fisiche sono quello che sono, proprio per permettere la nostra esistenza. E allora ci si può chiedere se in questo ci sia la mano di Dio. Higgs ci dice che possono esistere moltissimi universi, e che in uno di questi, per caso, le costanti fisiche sono tah da portare alla vita. Gli altri universi saranno inospitali...». Qualcuno però dice che il campo di Higgs è solo il tappeto sotto il quale ramazziamo la spazzatura del modello standard, un modo per sfuggire ai difetti estetici che ancora affliggono questa nostra teoria della costituzione ultima della materia... «Il modello standard ha due parti. Si può ripetere ciò che Einstein diceva delle sue equazioni: cioè che le equazioni della relatività avevano un lato destro che è un tempio greco e un lato sinistro che è una baracca di legno, e questo perché da un lato c'era la geometria, elegantissima, e dall'altra c'era il tensore energia-impulso, assai più sgraziato. Nel modello standard da una parte c'è l'eleganza della simmetria allo stato puro, ma il nostro mondo non è così. Per spiegare il mondo come lo osserviamo, l'unica scappatoia è spezzare la simmetria, e questo è il meccanismo di Higgs. Può darsi che la sua scoperta ci riveli una simmetria superiore, come il disordine dei 92 elementi chimici è stato ordinato nel sistema periodico della Tavola di Mendelejev e poi è stato reso ancora più elegan¬ te dalla scoperta che tutte le proprietà chimiche sono determinate esclusivamente dal numero di elettroni dei vari elementi». E' il compito di Lhc? «L'idea è che la particella di Higgs deve comparire nella regione di energia entro un Tev, cioè entro mille miliardi di elettronvolt. Lhc esplorerà per la prima volta questo dominio di energia. Ecco perché i fisici sono stati così tenaci nel difendere il progetto di Lhc». La fisica delle particelle è big science, costa moltissimo. Quali argomenti userebbe per giustificare a un politico, e anche all'opinione pubblica, ulteriori investhnenti in questo campo? «Ci sono ricerche che costano ancora di più. Per esempio le attività spaziali: il telescopio Hubble o un eventuale sbarco su Marte. Gli Stati Uniti contribuiranno a Lhc con mezzo miliardo di dollari: è la stessa cifra che l'Europa ha dato per contribuire al telescopio spaziale Hubble. I motivi per affrontare tante spese? La spinta di fondo è concettuale: l'uomo vuol sapere come è fatto il mondo. E' la solita vecchia molla della curiosità. Da questa curiosità però derivano molte ricadute utili. Ne distinguerei due tipi. C'è una ricaduta che viene dalla conoscenza acquisita: se non conosco la meccanica quantistica non posso fare il laser. E c'è una ricaduta ancora più diretta: lo stimolo che dà all'industria una ricerca che richiede nuove tecnologie. Oggi la spinta verso le nuove tecnologie non può più venire, per fortuna, dalla competizione militare, né può venire dal mercato, perché il mercato guarda a breve termine. Solo l'esplorazione dell'universo, nel microcosmo e nel macrocosmo, oggi può darci questa spinta. Le macchine per scoprire la particella di Higgs non si trovano nei cataloghi dei prodotti commerciali. Come dice Rubbia, l'energia nucleare non è nata dal perfezionamento delle candele...». Quindi state progettando acceleratori ancora più potenti di Lhc, cioè state già pensando al 2020? «Dobbiamo pensarci. Al Cera lavoriamo al progetto Clic, un acceleratore di nuova generazione, 10 volte più potente. E' una scommessa, che tra l'altro per ora assorbe finanziamenti minimi, pur aprendo nuovi campi tecnologici molto interessanti. C'è anche l'idea di fare un collisore di muoni, ma sarebbe una macchina molto più complicata. Bisognerà aspettare i risultati di Lhc per capire che cosa sarà meglio per sviluppare la fisica del futuro». Lei ha fatto lavori teorici fondamentali, per esempio quello con Glashow che ha portato a prevedere il quark Charme. Ora ha davanti quattro anni di lavoro organizzativo. Le mancherà la ricerca? «Nella vita c'è un tempo per tutto. Mi è capitato di imboccare la strada deh'organizzazione della fisica. Faccio con passione anche questo tipo di lavoro. La mia tendenza è per una fisica di esplorazione: negli ultimi anni l'esplorazione che mi attrae è costruire nuovi acceleratori piuttosto che lavorare su teorie estreme come quella delle superstringhe». Come dire: la teologia può attendere. Piero Bianucci Nel2005 al Cern, il Centro Europeo Ricerca Nucleare, sarà pronto un nuovo acceleratore la macchina più potente del mondo per indagare gli enigmi del cosmo Servirà a verificare la validità del modello standard che interpreta in modo unitario tutte le particelle elementari. Di questa teoria oggi non conosciamo ancora i confini La fisica teorica rischia di somigliare sempre più a una metafisica, forse persino a una teologia Qui accanto un'immagine dall'alto del super acceleratore di particelle del Cern A destra l'interno della macchina che nel 2005 entrerà in funzione a Ginevra Sotto il fisico Luciano Maiani ^Ifiiillillli Le forze nascoste dell'universo

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