la guerra del vescovo di Aldo Baquis

la guerra del vescovo la guerra del vescovo La Santa Sede considera grave l'ingerenza del premier nella nomina alla diocesi di Galilea Veto di Netanyahu al candidato vaticano TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO La nomina del nuovo vescovo della comunità greco-cattolica in Galilea (50 mila anime) ha scatenato forti contrasti fra il governo israeliano e la Santa Sede secondo quanto riferiscono i mass media locali, mentre la nunziatura e il ministero israeliano degli Esteri preferiscono per ora trincerarsi dietro a imbarazzati «no comment». Ma in conversazioni private fonti informate confermano che le relazioni fra Israele e lo Stato vaticano hanno raggiunto in queste settimane un minimo storico - dopo il recente allacciamento delle relazioni - in seguito alla nomina di monsignor Butrus Muallem alla carica di vescovo della Galilea come successore di Maximos Sallum, che ha raggiunto i limiti di età. L'asprezza del confronto che in questa occasione ha opposto 10 Stato ebraico alla Santa Sede è stata paragonata ieri dall'autorevole quotidiano «Haaretz» alle relazioni fra il Vaticano, da un lato, e la Cina e il Vietnam, dall'altro. «E tutto ciò avviene alla vigilia del Giubileo», ha constatato il giornale. Monsignor Muallem - che da anni compie opera pastorale in Brasile - è considerato dagli israeliani come l'uomo di Faruk Kaddumi (ex «ministro degli Esteri» dell'Olp) e di monsignor Hilarion Capucci, il religioso che vent'anni fa fu espulso da Israele dopo che nel bagagliaio della sua Mercedes i servizi segreti israeliani avevano rinvenuto notevoli quantità di mezzi da combattimento destinati alla guerriglia palestinese. Secondo la ricostruzione di Haaretz, in un primo tempo il premier Benyamin Netanyahu ha posto il veto all'ingresso in Israele di monsignor Muallem e ha suggerito che in suo luogo fosse nominato padre Emile Shufani, una personalità locale considerata più moderata. Ma la nomima del successore di Sallum è prerogativa esclusiva del Sinodo dei vescovi grecocattolici, che ha sede a Damasco. In Vaticano l'ingerenza di Netanyahu è stata vista come una grave scortesia, paragonabile «a un ipotetico intervento del governo italiano nella nomina del nuovo rabbino capo di Roma». Sulla ricostruzione dei fatti esisono discordie. Fonti israeliane affermano che un anno fa 11 Sinodo aveva in effetti nominato padre Shufani come successore di monsignor Sallum, ma aveva poi annullato la decisione «in seguito a forti pressioni palestinesi». Due mesi fa il Sinodo ha comunque definitivamente assegnato la carica a monsignor Muallem e le cose sono allora precipitate. «Haaretz» riferisce di aperte minacce espresse il mese scorso a Gerusalemme nei confronti del vice-ministro degli Esteri vaticano da parte di Shmuel Eviatar, un ex dirigente del Mossad (servizio di spionaggio) che funge da consigliere per le questioni cristiane nel municipio di Gerusalemme. Anche Netanyahu è sceso in campo per perorare con il Nunzio apostolico la nomina di padre Shufani. Ma quando questi sforzi si sono rivelati vani, Eviatar è ricorso a mezzi amministrativi e da allora gli ambienti cattolici notano un netto aumento nelle difficoltà di ottenere visti di ingresso per monaci e sacerdoti. A prima vista l'intervento di Netanyahu - che probabilmente ha questioni più gravi da affrontare - in una questione che riguarda la piccola comunità greco-cattolica della Galilea appare sorprendente. L'analista politico israeliano Akiva Eldar ritiene che Eviatar - un funzionario legato alla destra militante e al ministro Ariel Sharon abbia perorato la causa di padre Shufani nella speranza di garantire che la delicata carica di vescovo della Galilea fosse occupata da una personalità pro-israeliana e non pro-palestinese. Ciò in previsione di future elezioni politiche (in cui il voto della comunità cristiana sarebbe utile al Likud) e nella ipotesi di potersi avvalere della collaborazione del religioso nella vendita in Galilea di terre arabe ad ebrei. Aldo Baquis