Il giorno dei destini incrociati di Gabriele Romagnoli

Il giorno dei destini incrociati Il giorno dei destini incrociati La Lewinsky accusa, Clinton fa finta di nulla IbaLLA PRIMA IPÀOINA LWASHINGTON E vite parallele di Monica e Bill cominciano a divergere in modo inesorabile alle 8 e 30 di una mattina d'agosto, quando lei scende dall'auto scura e si avvia verso il terzo piano del palazzo di giustizia dove ventitré giurati l'aspettano per sapere la verità da una ragazza che disse: «Ho mentito per tutta la vita». Come i comuni americani, anche il presidente Clinton non avrà avuto modo di vederla, se non in televisione. Dalle finestre del suo ufficio avrebbe potuto scorgere la torma di reporter appostati all'ingresso principale, non Monica, sotto scorta, mentre varcava una porta laterale. Avrà, più di chiunque altro, notato il vestito della ragazza. C'era stata una grande e insinuante attesa per la scelta dell'abito di cerimonia. Alludenso al famigerato vestito da cocktail blu con una macchia mai lavata, gli analisti (giudiziari) avevano escluso che potesse apparire con quel colore. Etuttavia^sostenevanò in un dibattito degno di miglior causa, ogni legale sa di dover presentare la sua assistita, quando si verta su materie del genere, come una ragazza seria, dall'abbigliamento tradizionale, per cui è d'obbligo l'abito scuro. Blu, sfidando le ironie, con scarpe chiare, basse, sulle quali camminare veloce, se non leggera, verso l'abbraccio di un'amica, oltre la soglia, con pochi passi che verranno mostrati al rallentatore, da diverse angolazioni, còme neppure la scena dell'omicidio di John Kennedy. A ripetizione, perché nulla sfugga alla nazione e al presidente, che in quel momento, sta invece scegliendo una camicia bianca per presentarsi nel giardino delle rose e tenere una breve conferenza sulla lotta alla criminalità; una cravatta seria, in un giorno così, non più quella biscia gialla che lo strangolava nel fine settimana agli Hamptons; un abito scuro, anche lui, ma non blu, niente cocktail, oggi bisogna restare sobri, perché Wall Street è partita così così, l'I- raq ha rialzato la testa e Janet Reno comincia a essere in difficoltà sotto gli attacchi dei repubblicani. E poi c'è quella ragazza che parla, a pochi metri da lì. Hanno passato una vigilia simile, uniti e distanti fino all'ultimo, Monica e Bill. Entrambi con i rispettivi avvocati a studiare cosa dire, come dirlo, con quali occhi, ge- sti, parole reagire quando ascolteranno l'obiezione «Veramente, lei ha detto che...», o «Lui nega, che voi abbiate mai...». Clinton avrà, come tutti, indebitamente appreso che Monica ha pianto, durante l'allenamento con Kenneth Starr, ha avuto un crollo nervoso quando lui l'ha incalzata, preparandola al tipo di do- Se ve la devo dire piatta piatta sì forse mi ha tenuto stretta stretta, M'han chiesto poi di stare zitta zitta l'ho fatto perché ero cotta cotta. Non so se dirla proprio tutta tutta. mande («dettagliate» è l'eufemismo circolante) che il Gran Giurì le farà. Avrà forse, come molti di noi, pensato che c'è qualcosa di anomalo in questa procedura. Non soltanto dal punto di vista giuridico, come ormai tutti hanno capito, ma anche e soprattutto da quello umano. Perché quando ascolti di questa preparazione e di queste reazio- ni, di quello che si prevede verrà fuori e come, della vergogna di questa ragazza e della sua difficoltà emotiva nell'affrontarlo, quel che ti viene in mente sono i processi per stupro, il modo osceno in cui i difensori dei violentatori frugano nella vita e negli atteggiamenti delle vittime, la morbosa attenzione del pubblico, dei media e, perfino, dei giurati, l'incolpevole calvario alle quali le vittime debbono sottostare, preferendo talvolta il silenzio, la mancata denuncia, piuttosto che affrontarlo. Così è per Monica, con la sostanziale differenza che l'uomo intento ad annodarsi la cravatta nella Casa Bianca non è un violentatore, ma, semmai, un amante sciocco, frettoloso e, come a lei piaceva definirlo, viscido. Niente di più, ma anche niente di meno, dal punto di vista morale. E in questa mattina di agosto, mentre lei si chiude nella stanza con i suoi inquisitori e lui esce all'aperto, camminando verso i suoi eterni segugi, davvero non si capisce perché questa verità che riguarda soltanto loro debba finire in pasto alle famiglie dell'universo all'ora di pranzo. Le telecamere continuano inutilmente a frugare. Lei è dietro gli spessi muri del palazzo di giustizia. Lui, in un estremo desiderio di libertà, rimane a lungo nascosto tra gli alberi, con i suoi consiglieri. Lei potrebbe essere già in preda alle lacrime. Lui, quando appare, è già ostaggio del sorriso di facciata che ha comprato nel limbo ed esibisce, con successo, dalla nascita. Sale sul podio, parla, guar¬ dal nisti di suonare da fisso davanti a sé, stringe mani. Ode le domande stridule dei reporter e, come un von Karajan in toccata e fuga, fa segno alla banda di coprire quel fastidioso vocìo con una marcetta che, più tardi, il vice-portavoce definirà «rinfrescante» in questa giornata di afa e pesantezze, in cui 23 giurati ascolteranno, forse, la verità, ma noi continuiamo ad annotare pietose bugie, senza indignazione alcuna. Di una fanfara avrebbe certamente voluto disporre anche Monica, per coprire la sua voce che dicono acuta, che nessuno ha finora mai sentito e sulla quale, perfino su quella, i giornali hanno speculato e fantasticato. Ottoni e tamburi per non sentire, come Bill, le domande, non farsi mettere alle corde, per ore, con una seconda, estenuante ripresa prevista per oggi, quando lui, ormai definitivamente irraggiungibile, sarà in Kansas, a parlare d'altro, far finta di ascoltarsi e sorriderci su. Lei, invece, un altro giorno a rispondere, con il beneficio dell'immunità, ma non quello della riservatezza, perché Starr, finora, è stato una tubatura marcia, da cui è uscito di tutto, e oggi è venerdì, ci sono ancora due giorni di tempo, prima di mandare in edicola «Time» e «Newsweek» con la trascrizione di tutti i «sì» detti da Monica, che Bill già conosce, nell'accento e nell'intonazione; con tutti i particolari di cui è informato fin dalla nascita, giacché li porta addosso, con tutta la verità che lei non voleva raccontare, lui cercava di coprire e al mondo interessava relativamente sapere, ma che da ieri è lì, registrata e stenografata, spartiacque tra i corsi della vita di Bill e Monica e tra i possibili destini di una presidenza. Gabriele Romagnoli A non più di 500 metri dal palazzo di giustizia, nel giardino delle rose, il presidente zittisce i cronisti ordinando alla banda di suonare

Persone citate: Clinton, Janet Reno, John Kennedy, Kenneth Starr, Lewinsky, Starr

Luoghi citati: Kansas