NE' GUERRA NE' SECESSIONE di Edmondo Berselli
NE' GUERRA NE' SECESSIONE DALLA PRIMA PAGINA NE' GUERRA NE' SECESSIONE giustizia della Camera, Pisapia. Prima dei pacchi bomba, si era capito che l'emergenzasquatter non era un caso soltanto torinese. I suicidi di Edoardo Massari e di Maria Soledad Rosas erano diventati in diverse città italiane l'oggetto di una mitologizzazione antisistema. Erano apparsi disegni e scritte sui muri in cui queste due morti venivano equiparate a un assassinio e a un martirio. Si erano create, insomma, molte delle condizioni necessarie per dilatare una tragica storia locale alla dimensione di un mito antagonista serpeggiante nelle aree metropolitane di tutto il Paese. Per quanto rudimentali, le bombe hanno fatto rumore come se fossero esplose davvero. Di fronte alla rivendicazione, c'è anche la dissociazione di due centri sociali torinesi, che parlano di (provocazioni». In attesa di qualche spiraglio sulle responsabilità effettive, per adesso non serve a nulla immaginare complotti dei servizi, così come è prematuro giurare che in certi ambienti deDa marginalità sociale qualcuno abbia deciso di saltare il fosso (passando a una strategia per certi versi non dissimile da quella di Unabomber, il terrorista americano autore di attentati in chiave antitecnologica). Tuttavia, come si è detto, certo è che oggi muta sensibilmente il profilo degli squatter. Erano stati descritti come protagonisti di una deliberata esclusione dalla vita sociale e istituzionale delle città, come clandestini delle metropoli, riottosi a qualsiasi forma di integrazione, e oggi li ritroviamo al centro di un processo modellato sugli schemi della comunicazione. Ciò non è privo di implicazioni. Intanto ci dice che non è appropriato illustrare i centri sociali e i circuiti antagonisti come un mondo segnato esclusivamente dalla subalternità culturale. Anche prescindendo dai pacchi bomba, la realtà degli squatter comunica. Comunica la sua marginalità, ma comunica anche la sua specificità culturale, la sua separatezza ma anche le sue mitologie, i suoi consumi, la sua musica, i suoi riti di gruppo e il suo modello di aggregazione. Proprio per queste ragioni, era sociologicamente sbagliato considerare gli squatter come un'espressione del disagio sociale classico. Non si trattava di marginalità subita, di gruppi spinti al di là della convivenza urbana dalle forze del mercato e precipitati nell'esclusione senza capacità di recupero. E dunque non c'era alcuna possibilità di trattare gli squatter nel modo in cui le istituzioni trattano le sacche urbane di emarginazione. Non servivano a niente i sussidi e i servizi sociali, cioè tutto ciò che tenta di recuperare alla vita collettiva ciò che si è disintegrato sotto pressioni irresistibili. Nello stesso tempo, detto e ribadito che tutti hanno il diritto assolutamente sovrano di consegnarsi alla marginalità più estrema, a patto di non ledere le regole di legalità cui si attiene la maggioranza dei cittadini, va anche sottolineato che la realtà degli squatter non può essere affrontata esclusivamente in termini di repressione. Puntare solo sull'attività di polizia probabilmente non otterrebbe altro risultato se non quello di accentuare di riflesso l'orgoglio della separatezza, la qualità «ideologica» dell'autoesclusione, la mitologia dell'antagonismo verso una società che si dimostra ostile. Occorre piuttosto tenere aperti dei flussi di comunicazione, anche parziali e precari. In modo che la scelta della separatezza, deha marginalità definitiva, non diventi una scelta di contrapposizione completamente deregolata e potenzialmente violenta, sul piano individuale o collettivo, come trasgressione o come rivolta. Adesso sappiamo che alcune microentità sociali hanno operato una loro secessione. Bisogna evitare che nel nome di quella secessione dichiarino una qualche guerra o guerriglia, magari condotta approfittando degli strumenti della comunicazione e della loro manipolabilità. Perché con le nuove marginalità è obbligatorio convivere: e per una convivenza appena decorosa è bene evitare che vengano creati nemici assoluti. Meglio una realistica diplomazia che la dichiarazione di una guerra che nessuno sa come sarebbe praticata e dove condurrebbe. Edmondo Berselli
Persone citate: Edoardo Massari, Maria Soledad Rosas, Pisapia
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