«Un progetto per manovrarli» di Francesco Grignetti
«Un progetto per manovrarli» «Un progetto per manovrarli» «Vogliono che aumenti la repressione sugli squatter» INTERVISTA IL DEPUTATO NEL MIRINO Lm ROMA m ULTIMO libro esplosivo di matrice squatter tocca a Giuliano Pisapia, deputato di Rifondazione comunista, presidente della commissione Giustizia, garantista di sinistra. Un'altra bomba a sorpresa. Perché Pisapia non è un nemico degli squatter. Anzi. Stupito, onorevole Pisapia, di ritrovarsi nel mirino? «Sì, sono talmente stupefatto da arrivare a ipotizzare che il mittente non sia inquadrabile negli squatter, ma in soggetti diversi. Quello è un mondo che rifiuta il dialogo con le istituzioni, con la società, con chi li circonda. Ma non adotta strategie di tipo terroristico. Chi spedisce bombe, invece, ha un'ottica ben diversa. Intende creare tensioni sociali e sfiducia nelle istituzioni. Gli squatter, anche nelle manifestazioni di piazza più censurabili, chiedono di essere lasciati in pace. Questi hanno progetti di guerra». Lei ritiene, insomma, di avere scatenato le ire di chi rifiuta e anzi teme ogni apertura. «Il messaggio è preciso. Non lo chiamo provocazione. E' piuttosto la scelta di piccoli gruppi che vogliono interrompere qualsiasi dialogo. Vogliono che aumenti la repressione verso gli squatter. Così diventerebbe più facile inglobarli in azioni di diverso tipo*. Lei dunque sostiene che la sua azione verso il dialogo, come anche quella di altri politici di sinistra, stava riuscendo a sbarrare la strada ai più violenti? «Guardi, stiamo ai fatti. Negli anni di piombo si fece di tutta l'erba un fascio. Fu data la stessa risposta sia a migliaia di giovani che scendevano in piazza sia a pochi terroristi. E si ottenne che migliaia di giovani scegliessero la lotta armata. Oggi, grazie al dialogo con i centri sociali, è avvenuto il contrario. Da Milano a Roma, al Veneto, a tante città, la ricerca del dialogo, nonostante una prima risposta negativa, è andata avanti. Siamo arrivati al confronto delle idee. Non condividendo, magari. Però si cerca di capire. E si finisce con il fare discorsi comuni su alcuni temi. Guardi che il colloquio in carcere con Pelissero, oltre all'appello a una manifestazione pacifica (e a dispetto di qualcuno le cose andarono bene), ci fece discutere a lungo sulla situazione delle carceri in Italia. Già quello era un inizio di dialogo». Altrimenti? «Altrimenti, chiudere la porta al dialogo, o peggio ancora chiudere gli spazi di aggregazione come chiedono alcuni esponenti del Polo, significa lasciare questi ragazzi di fronte a un'alternativa drammatica: suicidarsi o finire nelle mani di chi vuole alimentare la strategia della tensione». Scusi, Pisapia, ma lei insiste in accenni a strategie oscure. La domanda è d'obbligo. Pensa che siano all'opera spezzoni deviati dello Stato? O si riferisce a gruppuscoli estremisti che giocano con il fuoco? «No, lo dico apertamente, so che qualcuno ne parla, ma io non penso ai servizi segreti. Per due ordini di mot"'i. Primo, è un fenomeno ancora troppo limitato per interessare livelli così alti di capacità e organizzazione. Secondo, i servizi segreti oggi sono ben diversi da quelli del passato. C'è un controllo serio del governo e del Parlamento. Deviazioni come quelle del passato non sono più possibili. Penso invece a frange estremistiche che non connoterei nemmeno politica- mente. Sinistra, destra, anarchici... In questo caso non significano nulla. Credo che sia gente che pensa "tanto peggio, tanto meglio". Un atteggiamento nichilistico». Ma lei, Pisapia, ha provato più rabbia o più paura davanti al libro esplosivo? «Molta delusione, direi, per non essere riuscito a farmi capire da tutti. Ma temperata dal pensiero che se qualcuno s'è così arrabbiato, la via era quella giusta. Anche rabbia, però. Quanto allo spavento, dicono che verrà tra qualche giorno. Vedremo». Francesco Grignetti «Chiudere la porta alla trattativa «Ho il sospetto che la matrice significa lasciare che questi ragazzi di questo gesto sia diversa si uccidano o siano strumentalizzati» La paura? Mi dicono che verrà»
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