«Non sono gli Anni di piombo»

«Non sono gli Anni di piombo» «Non sono gli Anni di piombo» Caselli: ma mi spaventa la loro disperazione LE RADICI DEL TERRORISMO ADESSO si dice: il terrorismo di ieri cominciò come quello di oggi. Lei, dottor Caselli è d'accordo? «Assolutamente no. E non solo per ragioni storiche del tutto differenti, ma anche proprio per la strategia, per le modalità...». Blindato quanto oggi (a Palermo) tanti anni fa Giancarlo Caselli lavorò sul fronte dell'antiterrorismo. Ne fu, in un certo senso il simbolo. Lui, l'accusa al processone del nucleo storico della Brigate Rosse - Curcio e gli altri - immagini in bianco e nero di Torino (e mezza Italia) sotto assedio. Tensione crescente, anno dopo anno, fino a Moro e tutto il sangue che ne seguì. Lei diceva delle modalità. «Ecco cominciamo da qui, Le prime Brigate Rosse erano attentissime ai loro referenti politici e intellettuali. Erano attentissime nella scelta degli obiettivi. A dove e come colpire». Dicevano: colpirne uno per educarne cento. «Esatto. Nella loro ottica criminale si consideravano l'avanguardia di qualcuno e di qualcosa, ogni loro atto era un messaggio. Si muovevano con scrupolo criminale, analizzavano, sceglievano... Perché quello che gli importava era non solo l'azione, ma anche il suo impatto su quelle aree che gli interessavano per il proselitismo». Cioè allargare la base di massa. «Loro colpivano nel quartiere, nella fabbrica. Colpivano il sindacalista di destra. Erano, almeno le prime Brigate Rosse, molto attente a selezionare e circoscrivere le loro azioni». Quello che accade oggi, invece? «E' del tutto differente. Non ho conoscenze dirette sui fatti, e perciò mi limito a considerare quello che sappiamo tutti: sono stati spediti, e contemporaneamente, quattro pacchi-bomba a quattro "nemici" diversi. Al magistrato, che dal loro punto di vista è il simbolo della repressione. Al testimone...». Daniele Genco, il cronista dell'agenzia Ansa. «Che per l'appunto è anche giornalista, la qual cosa implica una certa at • tenzione ai media... Ma anche a due politici, Pasquale Cavaliere e Giuliano Pisapia, che sono uomini di dialogo, e in un certo senso di apertura verso l'area giovanile, un ponte...». Sempre che ci sia una relazione tra quell'area giovanile e i pacchi-bomba. «Sempre che ci sia, è ovvio e va ribadito. Quello che intendo dire è che siamo di fronte a qualcuno che sembra volersi bruciare tutti i vascelli alle spalle. Che colpisce non solo i "nemici", che sono distanti per definizione, ma anche tutti quelli che cercano di entrare in contatto, che provano a tenere aperto un filo di comunicazione, che insomma si avvicinano, sia pure criticamente». Questo cosa significa, secondo lei? «Che ci troviamo di fronte a una autoreferenzialità totale. A un corto circuito interno. E da osseivatore esterno dico che la disperazione, la cupezza che trasmettono, sono davvero allarmanti». Allarmanti più di quello che accadde tanto tempo fa, all'inizio degli Anni di piombo? «Diverso sicuramente, ma forse non meno pericoloso, proprio per questa cupezza così pervasiva... Là c'era un esercito in formazione. Le Brigate Rosse si consideravano l'avanguardia armata di qualcosa che aveva a che fare con i mutamenti storici...». Forse è davvero questo totale nulla che allarma. Il fatto che due ragazzi, Baleno e Maria Sole, abbiano reagito in modo così spropositato, addirittura con il suicidio... «Ecco, questa disperazione non ha nessun punto di contatto con i brigatisti di allora. E' proprio un'altra cosa, ha a che fare con una logica di annientamento: di sé innanzitutto. E poi di ciò che è diverso da sé, non solo perché è antagonista, ma anche perché cerca di capire, senza giustificare condotte criminali... Se proprio vuole un solo punto di contatto c'è, ma non riguarda direttamente...». Sarebbe a dire? «Che riguarda magari certe radio, l'u¬ so di certe parole, una cosiddetta controinformazione che alimenta, anziché attenuare le tensioni. Ai tempi delle Brigate Rosse esistevano certe riviste e una in particolare si chiamava proprio "Controinformazione"». Veniva pubblicata a Milano, fu inquisita... «Ci scrivevano intellettuali molto vicini ai brigatisti e anche tante altre persone che brigatisti non lo erano affatto». I cosiddetti «cattivi maestri». «Sì. Che hanno finito per seminare l'intolleranza, la violenza... C'era allora una certa irresponsabilità nell'uso delle parole che ritrovo anche oggi». Per la verità, oggi, non solo nell'area giovanile. «No, non solo. Oggi la violenza del linguaggio e l'intolleranza sono spesso caratteristiche anche di alcuni che pure si atteggiano a liberal. Ma questo è tutto un altro discorso». Pino Corrias «Siamo di fronte a qualcuno che sembra volersi bruciare tutti i vascelli alle spalle» ^^^^^Stw sociau quanti sono 0 circa 200 1 foS'cJsa Okkupoda, Prinz Eugen, El Paso, Gabrio otto: LeonLallo, Punkabes.ia, Gonbald. S KSSrg^SS^ feout; onestino G> Napoli: Officina 99, Sko 28'SSSBtSm tra hippie, a—, anarchici, metallari, punk, ortis». e squatter omnti sono n «ondo squatted ®wca un migliaio "«MTAU !uooKMÌ,an°' R°ma' jhD<"6a40 onni 9' °U 'ar9hi e ^«oni militari WIANMUII I » OCCUPAZIONE- • Il procuratore di Palermo, Giancarlo Caselli

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