Vita da prete, la grande incertezza

Vita da prete, la grande incertezza Impegnato o sfiduciato: in un saggio la radiografìa di una «professione» sempre meno desiderata Vita da prete, la grande incertezza Come cambia un molo il cui futuro è a rischio 10 scenario è quello di un po' di tempo fa al monastero di Camaldoli, in una pausa del «rendezvous» che l'elite cattolica del centro-sinistra ha dedicato al tema «responsabihtà e scelte del cristiano nell'Italia bipolare». Romano Prodi incrocia un anziano monaco che lo saluta con simpatia. «E' sempre stato in questo eremo?», gli chiede. «No», risponde quello, «sono qui da non molto. Per 30 anni sono stato ai Camaldoli di Napoli. Pensi, Presidente, in 30 anni non c'è stata nemmeno una vocazione, nonostante tutta la disoccupazione di cui si parla». Il vecchio monaco non avrà dimestichezza con le statistiche, ma conosce indubbiamente il suo orto. Magari semplifica e riflette stereotipi e senso comune. Ma coglie nel segno quando nota che c'è un deficit di ricambio tra il clero e i religiosi, che non ci si fa più preti o suore per risolvere problemi materiali o per migliorare il bagaglio culturale. Meglio restare disoccupati che entrare in convento o in seminario. Anche se lo scenario è completamente mutato rispetto al passato, non vengono meno nel tempo l'interesse e la curiosità per le figure religiose, in particolare per il ruolo del prete. Come tutte le condizioni umane impegnative, essa è guardata con un misto di ammirazione e di incredulità. Da un lato ci si attende molto dal prete, in quanto uomo del sacro, mediatore tra Dio e gli uomini, portatore di un richiamo etico. Dall'altro ci si rende conto che non sono molti i preti all'altezza di queste aspettative. Una parte di essi vive con la testa nel passato o è troppo condizionata dalla routine per riuscire a interpellare le coscienze. Ma non mancano i preti che si spendono con dedizione e sacrificio, veri punti di riferimento sia a livello spirituale che etico-civile. E ciò vuoi nel nascondimento di una vita ordinaria, vuoi nell'impegno in campi di frontiera. Qual è nel complesso la situazione del clero nel nostro Paese? Quanti sono i preti in Italia, chi sono, come lo diventano, come vivono tra la gente? Come è cambiata la loro condizione nel tempo? Che succede in Europa e negli altri continenti? Su questi interrogativi è costruito l'agile e prezioso volume Ipreti, appena pubblicato da «Il Mulino» a firma di Marcello Offi, un giovane ricercatore piemontese. Sulla copertina bianca spicca un simbolo del prete di ieri: il classico cappello a tre punte, sovrastato da un pon pon morbido e filamentoso. Oggi sia il tricorno che la talare non figurano più nel guardaroba ordinario del prete. L'abito lungo compare ancora in Seminario, e la sua «vestizione» indica il distacco che il candidato al sacerdozio deve operare nei confronti delle abitudini mondane. Col tempo però la praticità è prevalsa e anche la Chiesa s'è piegata all'idea che «l'abito non fa il monaco». Ciò anche se non mancano i preti affezionati ai segni esteriori, non soltanto tra i più anziani. Quello dei segni distintivi non è comunque il problema che più assilla il clero nostrano. Di ben altra natura sono le lamentazioni sulla crisi delle vocazioni. Negli ultimi cent'anni il numero dei sacerdoti in Italia si è dimezzato, anche perché all'inizio di questo secolo vi era un tasso di preti così elevato (1 ogni 300 abitanti) da rendere fisiologica una curva discendente. Era quello il tempo in cui i seminari servivano anche a sfamare e a istruire i giovani. Negli ultimi 30 anni il clero ha perso quasi il 20% dei suoi effettivi, con un calo dovuto sia al prevalere dei decessi sui nuovi ingressi, sia al fenomeno degli abbandoni, assai diffusi nel '68 e dintorni. Attualmente si assiste a una ripresa delle vocazioni, ancora inferiori comunque alle perdite. Ciò nonostante, il clero nel nostro Paese è ancora numeroso. Attualmente vi sono in Italia 36.000 preti diocesani, che operano nelle strutture religiose di base alle dipendenze dei Vescovi, mentre altri 18.000 sacerdoti appartengono ai vari ordini religiosi: i Salesiani, i Gesuiti, i Francescani, ecc. Nel complesso, si ha in Italia un prete ogni 1100 abitanti circa, mentre guardando solo al clero diocesano vi è un prete ogni 1600 persone. Sempre dal saggio di Offi si apprende che la situazione italiana è un po' più rosea di quella europea, dove sono presenti attualmente circa 200.000 preti. Nella maggior parte delle nazioni europee v'è stata una drastica riduzione del clero cattolico negli ultimi 30 anni, solo in parte compensata da singolari eccezioni (come la Polonia e l'Irlanda). Col pontificato di Wojtyla sono comunque emersi alcuni segni di riscossa anche in questo difficile terreno. L'attuale Papa ha poi fatto di tutto per dare alla Chiesa cattolica un volto più internazionale, spostando il suo baricentro verso altri continenti. Tuttavia, la geografia del clero cattolico è ancora fortemente eurocentrica. Considerando solo i cattolici, si ha la presenza di un prete ogni 1500 fedeli in Europa (e nel Nord America), a fronte di un sacerdote ogni 8000 battezzati nell'America Centrale e del Sud e ogni 4500 battezzati in Africa. Nel complesso, il 60% del clero diocesano opera in Europa, il 15% nell'America del Nord, il 4% nell'America Centrale, il 7,5% nell'America del Sud, l'8% in Asia, il 4% in Africa. I preti dunque sono ancora molti nella vecchia Europa. Ma il problema più rilevante è la curva di invecchiamento del corpo sacerdotale, che da noi risulta più veloce di quella che caratterizza la popolazione nel suo complesso. In Italia, il 30% dei preti ha più di 70 anni, mentre soltanto il 15% ha un'età inferiore ai 40 anni. Negli ultimi dodici anni gli ultrasettantenni sono raddoppiati. Si va dunque verso una società senza preti? Il futuro incerto non è il suo problema connesso ad un clero sempre più senile. La Chiesa cattolica è ricca di strutture, animate e dirette nel passato da un clero abbondante e oggi sulle spalle di un ridotto numero di preti ancora nel pieno delle forze che vengono così distolti dal più specifico impegno religioso. Ciò anche se la Chiesa impiega sempre più laici in compiti organizzativi. Non mancano poi i problemi di incomprensione tra i preti giovani (o ancora considerati tali) e quelli anziani, molti dei quali non hanno alcuna intenzione (anche in età avanzata) di essere messi in pensione. Al di là dei problemi, sia ieri che oggi la figura del prete occupa una posizione di rilievo nell'immaginario collettivo. Nel passato - nota MarceDo Offi - si poteva spaziare da don Milani, preteeducatore dei bambini meno garantiti, alla sagoma bonaria del don Camillo di Guareschi, assurto a simbolo di un conflitto popolare tra cattolici e comunisti che non ha mai messo in pericolo il lega¬ me sociale. Si era negli Anni Cinquanta, un tempo in cui i preti avevano un indiscusso potere e prestigio. In molte zone il parroco dettava i temi della vita individuale e collettiva, funzionava da ufficio di collocamento, decideva la composizione delle liste elettorali. Vent'anni dopo, il vento della contestazione non ha risparmiato nemmeno il clero e i seminari. Di qui il moltiplicarsi degli abbandoni e delle crisi, con non pochi preti lacerati tra la fedeltà ad un ruolo istituzionale e il fascino di un cambiamento utopico. In questa tensione è maturata l'esperienza dei preti operai, che con il lavoro in fabbrica hanno scelto di condividere la situazione delle classi sociali più svantaggiate. Altri preti, invece, si sono indirizzati verso occupazioni diverse (l'insegnamento, la psicologia, ecc.), sia per guadagnarsi autonomamente da vivere sia per ridurre la loro separatezza dal mondo. Attualmente i preti tendono a esercitare il loro ministero a tempo pieno, vuoi per far fronte a una domanda religiosa in ripresa, vuoi per rispondere alle molte urgenze sociali che la modernità porta con sé. Tra questi spiccano i preti impegnati in campi di avanguardia, sovente alla ribalta dei mass media. Persino la pubblicità ha scoperto il fascino del prete, e fa gran uso di questa figura per «santificare» e accreditare presso il pubblico i prodotti più diversi. Per varie ragioni, dunque, quella del prete è una figura familiare nel panorama nazionale. Stando ai sondaggi, la maggioranza degli italiani guarda con simpatia al ruolo del prete, che vorrebbe più disponibile e partecipe alle «vicende umane» che confinato nel campo del sacro. Nella memoria di molti italiani è presente la figura di un prete, cui si riconosce una qualche influenza soprattutto negli anni giovanili. Non mancano ovviamente i ricordi e i giudizi negativi, in particolare nei confronti di preti affaristi o accaparratori o di figure ritenute troppo rigide e arcaiche. Nel complesso però i preti godono di un certo credito, anche tra i non pochi italiani che dubitano che essi siano fedeli al voto di castità. Da parte loro, i preti sono oggi al centro di molte tensioni. C'è anzitutto l'annoso problema della solitudine affettiva del prete, connessa a una vita e a un modello formativo che possono ridurre il loro tasso di umanità. Inoltre questa vocazione chiama i giovani ad un impegno assai arduo. Chi si prepara al sacerdozio è messo di fronte a un'opzione totalizzante e irreversibile, mentre oggi prevale tra i giovani la cultura del rinvio delle scelte e della sperimentazione ad oltranza. Ancora, la gente ha oggi nei confronti del prete attese assai eterogenee, non sempre rispettose della sua identità religiosa. Così una parte del clero può essere tentata di impegnarsi perlopiù con gli «affini», negli ambienti più vicini e rassicuranti, lasciando che chi è fuori dell'ovile vada per la sua strada. Infine, come tutti i ruoli di mediazione, anche quello del prete risulta oggi particolarmente faticoso, dovendo operare un continuo raccordo tra le indicazioni della gerarchia e le condizioni di vita della gente, tra la grandezza del messaggio religioso e ciò che la popolazione riesce a percepire e a vivere. Per non parlare della difficoltà di mantenere nel tempo un ruolo propositivo (sia a livello religioso che etico), senza lasciarsi influenzare dagli alti e bassi degli stati d'animo e delle convinzioni. Nel 7° volume dell'Enciclopedia delle Scienze Sociali della Treccani, appena uscito, il sociologo Enzo Pace firma la voce «Sacerdote» e sostiene una tesi singolare: «Il prete oggi è percepito dalla gente meno come una figura sacra e più come un professionista». Come una persona cioè che compie un servizio utile e specialistico, sia a livello sociale che educativo che religioso. L'osservazione non piace molto ai preti, che proferiscono il termine «missione». Ma essa rende ragione di quanto il ruolo del prete sia diventato complesso e del fatto che i preti debbano oggi guadagnarsi sul campo quella credibilità un tempo data per scontata. Franco Garelli Negli Anni 50, il clero aveva un indiscusso potere: faceva da ufficio di collocamento e decideva sulle liste elettorali. Poi arrivò la contestazione Oggi la pubblicità ha scoperto il sacerdote per «santificare» e accreditare i prodotti Negli ultimi cent'anni il numero si è dimezzato e l'età media è oggi molto alta Qui sopra, Fernandel nei panni di don Camillo Il personaggio di Guareschi è stato un simbolo del conflitto popolare tra cattolici e comunisti. Foto in basso: don Milani, il prete divenuto educatore dei bambini meno garantiti Nella foto di Berengo-Gardin un prete in piazza San Pietro negli Anni 60 aspetta la benedizione papale

Persone citate: Berengo, Camillo Di Guareschi, Enzo Pace, Franco Garelli, Gardin, Guareschi, Romano Prodi, Wojtyla