Wagner, musica per l'Olocausto di Sandro Cappelletto
Wagner, musica per l'Olocausto convegni. A Bayreuth per la prima volta si discute il rapporto tra il musicista e l'antisemitismo Wagner, musica per l'Olocausto Negli scritti l'odio contro gli ebrei SBAYREUTH EI giorni di confronto per alzare ogni velo, senza omissioni. Per discu. tere attorno al tema, vasto e drammatico, del rapporto tra Richard Wagner e gli ebrei, prima e dopo l'Olocausto. Wagner und die Juden, titola così il convegno internazionale che si apre domattina a Bayreuth. Promosso dalle Università di Monaco, Bayreuth e Tel Aviv, viene inaugurato da numerose e significative autorità istituzionali, tedesche e israeliane, e da Wolfgang Wagner, pronipote di Richard e responsabile del Festival. Mai, in Germania, l'argomento era stato affrontato con tale evidenza e impegno: se un popolo può essere capace di riflettere davvero anche sui momenti più atroci della propria storia, questa è l'occasione, reciproca. Nessuna sede appare più congrua: qui si è realizzato il radicale rinnovamento del teatro musicale voluto da Wagner, qui il Terzo Reich aveva eretto uno dei propri più solidi «luoghi spirituali», su queste scene, nel 1976, Pierre Boulez e Patrick Chéreau hanno proposto una visione della Tetralogia il cui scandalo fu inferiore soltanto alla coerenza musicale e scenica. La sua storia e il suo presente fanno di Bayreuth un emblema, drammaticamente ambiguo, della potenza della creazione artistica e della sua fragilità rispetto alla ricezione politica, alla qualità del suo consumo. Ha scritto Quirino Principe (Il Sole-24 Ore di domenica scorsa) che i «motivi autentici dell'aspra contesa sono uno solo, lo scritto "L'ebraismo della musica"», che Wagner redige nel 1850, e le «considerazioni inique, spesso infami, e viziate da rancori personali» che quelle pagine contengono. Purtroppo, non è possibile circoscrivere il problema ad una sola pubblicazione, per quanto nefanda, apparsa - con disinvoltura tipicamente wagneriana - un anno dopo le barricate erette assieme a Bakunin a Dresda e la fuga in Svizzera, per sottrarsi alla polizia politica che lo ricercava come sovversivo. Il giovane artista aveva bisogno di ricucire in fretta la compromessa verginità. Fu Nietzsche a scrivere, a gridare: «Non frequentare nessuno che sia implicato in questa sfrontata mistificazione delle razze!». Tali frasi, non mistificabili, non sono mai state pronunciate, scritte, riferite da Wagner. L'adesione del musicista al movimento antisemita europeo del secondo Ottocento è una costante della sua politica culturale, come ha compreso Golo Mann nella Storia della Germania moderna: «Lo scrittore che stigmatizzava l'influenza del giudaismo nella musica, nominava Paul de Lagarde con alta stima, pubblicava i Bayreuther Blatter in cui scrivevano veri e propri antisemiti, il filosofo che si lasciò convincere dalla dottrina razziale di Gobineau e che prometteva una rigenerazione dell'umanità... questo Wagner fa parte della storia tedesca dopo il 1870, e ancora molto dopo il 1870». Di questo contesto di pensiero, l'economia politica del progetto teatrale wagneriano aveva necessità: un'impresa come il nuovo teatro di Bayreuth non si poteva edificare senza il coinvolgimento del ceto intellettuale tedesco a lui contemporaneo. Ancora, implacabile, Nietzsche: «Noi conosciamo le masse, conosciamo il teatro. Il meglio degli spettatori, giovani tedeschi, cornuti Sigfridi ed altri wagne- riani, hanno bisogno del sublime, del profondo, dello sbalorditivo». La comoda estasi pangermanica del Santo Graal. Ecco il punto: l'appropriazione politica del sistema culturale wagneriano, l'identificazione di Bayreuth come sede del pensiero più reazionario, complice la benedizione della regina-vedova Cosima, la successiva assimilazione da parte del Terzo Reich. La familiarità con Hitler di molti esponenti della famiglia Wagner - con la solitaria eccezione della nipote Friedelind negli stessi anni in cui un wagneriano come Arturo Toscanini decideva di non dirigere più nella Germania nazista. Poi, quella musica sarebbe diventata la colonna sonora dell'Olocausto. Nei lager si moriva ascoltando Wagner. Eppure, da Hermann Levi, primo direttore del Parsifal nel 1882, a Bruno Walter, Léonard Bernstein, Daniel Barenboim, James Levine, molti musicisti ebrei sono stati e sono interpreti attenti di una musica tanto più complessa e autorevole delle riflessioni politiche del suo autore, non associabile ad esse. Ma ancora oggi, molti uomini e donne di religione ebraica rifiutano di ascoltare Wagner, non resistono al dolore dell'associazione tragica. «Noi ebrei abbiamo tutto da temere dal carattere tedesco, che è essenzialmente antisemita... I tedeschi dovrebbero permettere all'ebreo di farsi mediatore tra loro e la società, di fare il manager, l'impresario del germanesimo», fa dire Thomas Mann all'impresario Saul Fitelberg, un personaggio del Doktor Faustus. Se le convenienze non prevarranno sulle scandalose inconvenienze, questo convegno rischia di lasciare una traccia non effimera. Sandro Cappelletto Al confronto parteciperanno studiosi tedeschi e israeliani: in Germania mai l'argomento era stato affrontato con tale evidenza ebrei sogno l proalordiomoda manica . Ecco opriazione polia culturale waSopra Richard Wagner visto da Levine, a sinistra Adolf Hitler Sopra Richard Wagner visto da Levine, a sinistra Adolf Hitler
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