La cripta segreta di CARLO MAGNO

La cripta segreta di CARLO MAGNO lo storico di bordo. Anno Mille: un sogno conduce l'imperatore Ottone alla tomba del re dei Franchi La cripta segreta di CARLO MAGNO L& IMPERATORE 1 mosse qualche / passo nel buio. / Era scalzo, chissà perché, e sentiva sotto i piedi nudi il freddo del marmo. Benché non vedesse nulla, a causa dell'oscurità, sapeva di trovarsi nella Cappella Palatina, ad Aquisgrana, e d'essere venuto lì da solo. Anche questa, a ben pensarci, era una stranezza: perché quando mai un imperatore è solo? Mai, si sa, nemmeno nel segreto della camera da letto, quando sotto le cortine c'è con lui una donna; anche allora, appena oltre i tendaggi intessuti d'oro, c'è altra gente che dorme, o fa finta di dormire. Questa solitudine inattesa, però, non lo spaventava; in quel luogo era lui il padrone e non credeva di dover avere paura, benché fosse venuto li a cercare un morto. »! Come s'era infuriato, quando arrivando Roma ad Aquisgrana, in quella primavera, piovosa dell'anno Mille, aveva scoperto che più nessuno ricordava dove fosse sepolto, esattamente, Carlo Magno! I libri dei vecchi cronisti parlavano chiaro, l'imperatore era stato calato sotto terra proprio lì, nella Cappella che egli stesso aveva fatto costruire, ma sotto quale lastra, questo ormai era impossibile scoprirlo. Ed ecco perché lui era lì, adesso, solo e scalzo nella notte; perché senza dubbio a lui, Ottone, al suo successore sul trono di Roma, quel morto si sarebbe rivelato. E infatti accadde proprio così: sotto i piedi dell'imperatore, all'improvviso, una lastra di marmo cominciò a tremare leggermente; Ottone si chinò e afferrò l'anello di ferro che identificava proprio quella lastra fra tutte (e come mai nessuno se n'era mai accorto?), e la sollevò con facilità. Sotto di lui si spalancò una voragine tenebrosa; ma nel fondo si vedeva brillare una fiammella, e la sua luce illuminava debolmente i gradini d'una scala che scendeva. L'imperatore si calò giù, e si accorse che anziché il familiare odore di chiuso, di terra e di muffe secolari, che ristagna in tutte le cripte, si spandeva intorno a lui un profumo dolcissimo; si sarebbe detto d'incenso, ma d'un incenso speciale, che non si trova su questa terra, nemmeno pagandolo in oro sonante ai mercanti ebrei o siriani. Giunto in fondo alla scala, l'imperatore avanzò, guidato dalla luce; e proprio in fondo alla cripta vide quel che era venuto a cercare. Carlo Magno non riposava in un sarcofago, come tutti gli altri morti, ma stava seduto in trono, come se fosse ancora vivo. In testa portava una corona d'oro; con le mani guantate impugnava lo scettro, e Ottone si accorse, con un brivido, che le unghie avevano continuato a crescere, e avevano perforato le dita dei guanti. Lì il profumo era fortissimo. L'imperatore vivo s'inginocchiò davanti all'imperatore morto, che pure sembrava anch' egli vivente, e abbassò tre volte il capo, fino a toccare il suolo con la fronte; poi si rialzò e si avvicinò al cadavere in trono. Il corpo di Carlo Magno non s'era decomposto per nulla, benché fosse lì da quasi due secoli. Per nulla, o quasi; perché guardando meglio Ottone si accorse che gli era caduta la punta del naso. Subito si trovò in mano un pezzetto d'oro, morbido e malleabile come cera; lo mo- dello fino a imitare quella carne putrefatta, e lo applicò sul volto del cadavere. Poi pensò che non poteva andar via di lì senza portarsi dietro una reliquia; e volle aprire la bocca del morto, per strappargli un dente. La bocca, tuttavia, era stretta in un riso sardonico, e non voleva, non voleva aprirsi. Dimentico di tutto, Ottone afferrò con entrambe le mani la mascella del cadavere, e fece forza; ma la bocca non si aprì. Ed ecco, invece il morto aprì gli occhi, e lo guardò ironicamente; e intanto, senza ch'egli se ne accorgesse, le mani dalle lunghe unghie aguzze si muovevano piano dietro diluì... L'imperatore si svegliò di soprassalto, fradicio di sudore. Aveva sognato! E che sogno: un privilegio, anche se pauroso... Dio, è chiaro, gli aveva mandato quella visione per rivelargli la sepoltura di Carlo, che gli uomini nella loro pochezza avevano dimenticato. E però, perché quel morto gli era apparso così riluttante, addirittura ostile? S'era offeso, forse, che Ottone avesse voluto cavargli un dente? Ma i denti sono le reliquie più preziose dei santi; nel tesoro imperiale, un reliquiario d'oro racchiudeva proprio un dente di San Giovanni Battista, il più grande di tutti i santi, colui che aveva annunciato il Cristo. E non era forse un santo, lo stesso Carlo Magno? La gente lo venerava, e lì, nelle città fortificate fra il Reno e la Mosa, anche i preti erano d'accordo, e celebravano il suo culto con tutti gli onori. Quel profumo che nel sogno invadeva la cripta non era forse la prova che avevano ragione, non era quell'odore di santità di cui parlano gh agiografi? Mentre le ombre della notte si dissipavano, Ottone si persuase d'essersi sbagliato. No, Carlo Magno non era ostile, non poteva esserlo; altrimenti non gli sarebbe apparso, per indicargli il punto esatto dove scavare. E però, si disse, non bisognava aver fretta: non è un gioco, riesumare le ossa d'un santo. Doveva affrontare l'impresa, sì; ma solo dopo essersi purificato e umiliato, così da esser certo di non offendere le potenze celesti, e render chiaro a tutti che a muoverlo non era la vanagloria di questo mondo, ma la maggior gloria di Dio. Perciò trascorsero tre giorni, prima che Ottone desse il permesso di scavare; tre giorni interminabili, durante i quali si purificò col digiuno, a pane e acqua, e non osò neppure mettere piede nella Cappella Palatina. Tre giorni, perché il quarto era Pentecoste; e quale occasione migliore d'una festa così solenne, per tirar fuori dalla terra le spoglie del più grande imperatore cristiano? Ottone era abituato al digiuno, benché il suo corpo di adolescente si ribellasse con rabbia a quelle privazioni (l'imperatore, infatti, era giovanissimo, poco più d'un ragazzo, benché nominalmente regnasse già da diciassette anni). C'era abituato, sì, anzi sognava spesso di potersi ritirare dal mondo, chiudersi in un eremitaggio, a dormire sulla nuda terra, in sohtudine, finalmente; ma invece il suo destino era di regnare sul mondo, ed egli avrebbe saputo affrontarlo degnamente. Infine, la mattina di Pentecoste, smagrito, febbricitante, entrò nella Cappella. Riconobbe subito il luogo che aveva veduto in sogno; dalla lastra, s'intende, non sporgeva nessun anello, ma Ottone sapeva egualmente che era quella giusta. E infatti, non appena i muratori l'ebbero scalzata con i loro attrezzi, sotto di essa si aprì l'abisso d'una cripta segreta. Là in fondo, è ovvio, non brillava nessuna fiammella, e l'odore che saliva da quelle profondità non era lo stesso che l'imperatore aveva annusato in sogno; ma trattenne il fiato lo stesso, mentre scendeva, accompagnato soltanto da due vescovi e un conte palatino. E lì, davvero, c'era un sarcofago. Non era un trono, come s'era aspettato; ma pazienza (e del resto il conte e i vescovi, negli anni a venire, avrebbero raccontato che Carlo Magno era in trono davvero, un trono tutto d'oro, e il sogno e la realtà si sarebbero mescolati per sempre, com'è giusto che sia, poiché entrambi esistono nella mente di Dio). Era un sarcofago di marmo, mirabilmente scolpito, come solo gli antichi sapevano fare; di quell'arte, ormai, s'era perso il segreto. Un sarcofago simile conveniva di certo al più potente imperatore della Terra. I muratori, che li avevano seguiti, lo scoperchiarono; e lì, ecco, giaceva il cadavere mummificato, le mani giunte in preghiera, una croce d'oro sul petto. Che fosse Carlo Magno, non si poteva dubitare; del resto s'indovinava, osservando quella mummia rattrappita, che quell'uomo, da vivo, era stato colossale, molto più alto dei comuni mortali, e non era proprio questo che si tramandava di Carlo? L'imperatore s'inginocchiò, e come aveva fatto in sogno toccò la terra con il capo, tre volte. I vescovi e il conte si guardarono, e poi l'imitarono; era un rito greco, quello, erano i vanagloriosi imperatori d'Oriente a farsi adorare così dai loro schiavi, quasi fossero divinità scese in Terra. Loro, ch'erano liberi Franchi, e Sassoni, e Longobardi, un'umiliazione del genere non la sopportavano volentieri; ma l'imperatore, si sa, era figlio d'una greca, e da quella donna s'era fatto suggestionare fin troppo. Tuttavia non volevano scontentarlo, perché il suo malcontento era pericoloso; e poi, davanti a un santo si poteva gettarsi a terra senza perdere la faccia. Nei giorni seguenti il cadavere dell'imperatore venne esposto al pubblico nella Cappella; gli abiti che indossava al momento della sepoltura, e di cui ormai non rimanevano che gli avanzi, erano stati sostituiti con una veste candida, al fianco gli era stata cinta la spada, e in testa gli avevano messo una corona. La gente entrava nella Cappella e si segnava; qualcuno s'inginocchiava, tutti bisbigliavano fra loro a voce bassa, come timorosi di risvegliare quel morto. Quando Ottone era pre¬ sente, non si poteva fare a meno di confrontare i due imperatori, il morto e il vivo, il colosso che giaceva lì da due secoli, morto vecchio decrepito a settantanni suonati, e l'esile adolescente, dai lineamenti affilati che tradivano il suo sangue orientale; ma tanta era l'impressione suscitata dal nome imperiale, che la maestà del morto pareva trasmettersi al vivo ed elevarlo, anziché schiacciarlo nel confronto. E proprio per questo Ottone aveva voluto quella riesumazione. Correva, dopo tutto, l'anno Mille; era trascorso un millennio esatto dalla nascita di Cristo, e in un anno come quello dovevano succedere grandi cose: ed ecco, egli le aveva fatte succedere. Carlo Magno era di nuovo fra i vivi, offerto alla venerazione dei suoi sudditi; e questo era solo l'inizio. L'impero stesso doveva rinascere, ed essere romano fino in fondo. non soltanto nel nome; e lui stesso, Ottone, mezzo sassone e mezzo greco, doveva farsi romano. Appena concluse le festività di Pentecoste, sarebbe ripartito per Roma; Roma, dove già i suoi architetti progettavano di costruire sull'Aventino un palazzo che avrebbe rivaleggiato con quelli dei Cesari; Roma, dove il papa, Silvestro II, il più grande studioso del secolo, che prima d'essere chiamato in Laterano dalla volontà di Ottone era stato il suo maestro, aspettava ansiosamente il ritorno dell'allievo. Quando la mummia di Carlo Magno venne nuovamente deposta nel sarcofago, per essere calata nella cripta, Ottone si chinò un'ultima volta sul cadavere; quando si rialzò, impugnava la croce d'oro che quello portava appesa al collo. E i vescovi e in conti che lo attorniavano compresero; non era, no, un sacrilegio, come qualcuno avrebbe potuto credere. Quella croce d'oro era il simbolo della responsabilità che Dio aveva caricato sulle spalle dell'imperatore, l'uomo mandato da Lui a governare il mondo; e dunque era giusto che il morto la trasmettesse al vivo. Ottone si guardò attorno, con aria di sfida, e non incontrò se non sguardi di approvazione; e allora, per la prima volta nella sua breve vita, l'insicurezza che lo rodeva si placò, e sentì di essere davvero l'imperatore di Roma, lui, il figlio della greca. Tornò a guardare, per l'ultima volta, la mummia; ed ora che era così vicino, lo sguardo gli cadde sulle mani del morto. Non erano guantate, come nella sua visione, e perciò le unghie non avevano potuto bucare i guanti; ma che fossero lunghe, e adunche, non c'era dubbio. E all'improvviso Ottone ebbe paura, proprio come durante il suo incubo (ch'egli però non chiamava così). E gh tornò in mente una storia dimenticata, una favola ridicola, di quelle che raccontavano i pagani, al tempo dei suoi avi, e che qualcuno gli aveva raccontato quand'era ancora bambino, in Sassonia. Diceva, quella storia, che i demoni fabbricano una nave con le unghie dei morti, e quando la nave sarà pronta salperà per dare l'assalto al palazzo degli dei, e allora verrà la fine del mondo; perciò bisogna stare attenti a tagliare le unghie ai morti, per evitare che la nave infernale sia costruita troppo in fretta. Ottone, per un attimo, si sentì afferrato dalla vertigine (ma certo era colpa del digiuno). Già, pensò smarrito; anche a lui bisognava tagliarle, non possiamo riseppellirlo così, ecco cosa voleva dirmi la visione... Poi si riscosse, con uno sforzo di volontà; ne aveva anche troppa, in quel corpo febbricitante. No, si disse, è una favola, una ridicola favola, come tutto quello che raccontavano i pagani, e io stavo per fare un incantesimo, io, l'inviato di Dio! No, pensò, è tempo di andar via di qui, non è questo il mio posto. Che Carlo Magno sia calato giù un'altra volta, a dormire nell'oscurità e nel tanfo della terra umida, e che questa Aquisgrana tomi a sonnecchiare nei suoi ricordi; io devo andare via di qui, al sole di Roma. E' là che mi chiama il mio destino: a Roma, a Roma! Alessandro Barbero Nella reggia di Aquisgrana, un mistero che sembrava impossibile da svelare agine grande, gno in una ione del XVI otto, il suo busto o di Aquisgrana. Silvestro reggia di sgrana, un mistero embrava ssibile da svelare re quella carne pplicò sul volto pensò che non di lì senza poreliquia; e volle del morto, per nte. La bocca, etta in un riso n voleva, non Dimentico di ferrò con ena mascella del forza; ma la gli la sepoltura omini nella lovano dimentiché quel morto così riluttante, e? S'era offeso, e avesse voluto te? Ma i denti iù preziose dei imperiale, un o racchiudeva di San Giovan grande di tutti aveva annun non era forse sso Carlo Ma venerava, e lì, cate fra il Reno e i preti erano bravano il suo La criptsegreta dnon la sopportavano volentieri; ma l'imperatore, si sa, era figlio d'una greca, e da quella donna s'era fatto suggestionare fin troppo. Tuttavia non volevano scontentarlo, perché il suo malcontento era pericoloso; e poi, davanti a un santo si poteva gettarsi a terra senza perdere la faccia. Nei giorni seguenti il cadavere dell'imperatore venne esposto al pubblico nella Cappella; gli abiti che indossava al momento della sepoltura, e di cui ormai non rimanevano che gli avanzi, erano stati sostituiti con una veste candida, al fianco gli era stata cinta la spada, e in testa gli avevano messo una corona. La gente entrava nella Cappella e si segnava; qualcuno s'inginocchiava, tutti bisbigliavano fra loro a voce bassa, come timorosi di risvegliare quel morto. Quando Ottone era pre¬ Nell'immagine grande, Carlo Magno in una raffigurazione del XVI secolo. Sotto, il suo busto nel duomo di Aquisgrana. A destra, Silvestro