Allo stadio rimpiangendo Caracolla di Sandro Cappelletto
Allo stadio rimpiangendo Caracolla Allo stadio rimpiangendo Caracolla Così iniziò la crisi tra Rutelli e Escobar L'OPERA DELLA DISCORDIA y ROMA NA intensa campagna pubblicitaria, del tutto inedita per il tradizionale pubblico dell'opera - «Vado matto per il terzo atto», «Supporters Puccini» - ha preceduto questa seconda, breve stagione estiva della lirica all'Olimpico. Orfani di Caracalla, romani e turisti vengono invitati a riempire i gradoni di una curva. Costo unico del biglietto, ventimila lire. Quanto una partita di calcio nei settori più economici di uno stadio, meno di un ingresso in discoteca con consumazione. Un frequentatore abituale del teatro lirico non ha alcun motivo di assistere a queste rappresentazioni. Sentirà e vedrà peggio del solito, siederà più lontano ancora dal palcoscenico e sarà privato del contesto a lui caro: l'ombra complice dei palchi, le chiacchiere durante gli intervalli, le solite facce, il silenzio sospeso di tutto un teatro durante un'aria, un duetto. Non si tratta, come commentava ieri un improvvido cronista televisivo, di «puristi che storcono il naso perfino di fronte alla nuova Gallas» (sarebbe Maria Guleghina: e ti pareva che non scomodavano la Maria!). Ben sapendo che in questi contesti la qualità vera non si può pretendere, nonostante l'affidabilità di tutto il cast, bisogna piuttosto capire chi sono e quali motivi hanno persuaso i diecimila spettatori di ieri sera ad assistere alla più romana delle opere. Saltuaria curiosità, un interesse che potrà diventare meno episodico e trasformarsi anche in presenza durante la stagione autunnale, un costo contenuto rispetto alle poltrone di platea, una maggiore facilità di accesso? Questa «Tosca», uno fra i tanti episodi della ghiotta Estate Romana, è il viatico verso quel rinnovamento del pubblico che appare problema urgentissimo dei nostri teatri, o invece l'obiettivo richiede strategie più accorte? Le cifre dell'ultima stagione dicono che i romani vogliono un po' più di bene al loro disgraziato teatro, orfano di sovrintendente e direttore artistico, per l'ennesima volta inciampato lungo la via ardua della riconquista della credibilità. Diceva Sergio I Escobar, che dopo neppure due anni ha lasciato l'O¬ pera per il Piccolo Teatro di Milano, che ad ogni nuova iniziativa, ad ogni conquista, c'era sempre qualcuno che tirava fuori «gli scheletri dall'armadio». Dai e dai, il teatro è ormai uno scheletro senza neppure armadi. Proprio questa «Tosca» estiva è stata l'inizio della crisi di fiducia tra il sovrintendente e il Comune, il sindaco Rutelli e l'assessore Borgna. Altre erano le date fissate, poi spostate per far posto ad un gala di atletica; lettera di dimissioni di Escobar, musi lunghi in Campidoglio e un invito perentorio a rientrare nei ranghi. Il sovrintendente lo ha fatto, ma per l'ultima volta, prima di andarsene. Dal Comune, in cambio, nulla; soltanto soldi, molti inutili soldi per ripianare deficit inestinguibili, sempre estinti e sempre riaccesi, ma nessuna progettualità politica e amministrativa, nessun appoggio a scelte gestionali coraggiose, impantanate nelle secche di una normativa vecchia e nei veti politici, di maggioranza e di opposizione, perfino personali. Una tattica miope che ha privato Roma anche di Luca Ronconi. Sandro Cappelletto
Persone citate: Borgna, Escobar, Gallas, Luca Ronconi, Maria Guleghina, Puccini, Rutelli
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