Primavera di Teheran sul filo del rasoio

Primavera di Teheran sul filo del rasoio Tra orgoglio persiano e declino dei tabù spariscono le barbe, spuntano le paraboliche Primavera di Teheran sul filo del rasoio Ifalchi dell'Islam contro la voglia di Occidente TEHERAN DAL NOSTRO INVIATO Teheran si sveglia presto al mattino. Attorno all'imponente monumento a forma di Y rovesciata, costruito dallo Scià per celebrare i 2500 anni dell'impero persiano e poi divenuto simbolo della rivoluzione khomeinista, i pendolari iniziano ad affluire prima delle luci dell'alba. Arrivano soprattutto dai quartieri meridionali, dove più si sente l'impennata dell'inflazione dovuta al calo del prezzo del greggio. Non c'è disordine. Centinaia e centinaia di uomini, composti e silenziosi, danno vita a infinite file a zig-zag verso i rispettivi autobus che, partendo fra nuvole di smog nerissimo, li portano nei centri industriali limitrofi, ai mercati e nelle fabbriche gestite dalle fondazioni Bonyad che dal 1979 gestiscono gli immensi beni fino ad allora solo nelle mani della famiglia Palliavi. Fra questi pendolari dell'alba non dominano più i barbuti. Solo un anno, sei mesi fa, le barbe simbolo di un'interpretazione ortodossa dell'Islam facevano da padrone. Ma qualcosa è cambiato. Gli iraniani, a casa, si radono di più. E' un segno dei tempi che fa assomigliare il piazzale del «Monumento alla Libertà» più alla periferia di Ankara che non all'immagine dell'Iran oscurantista ancora oggi molto diffusa in Occidente. Dentro le case di Teheran il cambiamento non è dato solo dal crescente uso dei rasoi. Basta fare una passeggiata a naso all'insù per accorgersi che il divieto delle paraboliche non è rispettato rigidamente. La Cnn, Mtv e la Bbc arrivano, si vedono. Negli hotel di alta categoria sono nelle camere. Le immagini arrivano con dieci secondi di ritardo ma la censura non infierisce. Storie, commenti e personaggi del «Grande Satana» americano o dell'«usurpatore regime sionista» arrivano pulite, limpide, chiare. Merito del presidente Mohammad Khatami, eletto con un plebiscito popolare nella primavera del 1997, e dei suoi delfini a cominciare da Atahollah Mohajerani, titolare del dicastero della Guida Islamica, preposta al controllo dell'informazione, della cultura, dei media. Gli impiegati di questo ministero se un anno fa sorvegliavano i giornalisti stranieri oggi li aiutano, li consigliano. «Molto è cambiato, sembra incredibile, che peccato non aver iniziato prima aUna cisui qudele rimme lavorare così», ammette uno di loro. Khatami e Mohajerani - ma anche il defenestrato ministro degli Interni Abdullah Nouri e l'ex sindaco di Teheran Hossein Kharbashi, condannato per corruzione - hanno fatto cadere, giorno dopo giorno, il tabù sui prodotti culturali non rigidamente islamici. E la voglia di Occidente è ovunque, anche in mezzo al trafficp. Teheran conta 12 milioni di abitanti e, pur sterminata, è quasi sempre paralizzata in un infinito ingorgo. Guidatori e passeggeri si guardano, si scrutano, si parlano. Fra un finestrino e l'altro può capitare di intravedere del rimmel celeste sotto un chador, ma soprattutto c'è un nuovo protagonista nel traffico: il rock. Ufficialmente come le paraboliche - è bandito e se lo senti ad alto volume a casa è possibile che qualche guardia venga a chiederti di spegnere lo stereo. Ma nel traffico tutto è permesso. Giovani in t-shirt multicolore - non si contano quelle con la foto di Leonardo DiCaprio -, occhiali da sole tipo Bay-Ban e jeans locali ascoltano il rock «made in Usa» senza timori. Capelli rasati, piede sul gas e faccia da duri, non sono molto differenti dai nostri ragazzi del sabato sera. Subito dopo il rock nella hit-parade della «generazione di Khatami» figura Arash, cantante iraniano molto amato all'epoca dello Scià ed esule negli Usa. Anche dentro i ristoranti è arrivata musica: ad andare di moda è la colonna sonora di Evita, epurata dalla voce femminile di Madonna. Sono le donne la vera cartina di tornasole di quanto sta avvenendo nella Bepubblica Islamica dell'Iran. Vicino a Piazza Khomeini, lungo i boulevard del centro commerciale, giovani fidanzati si danno la mano con disinvoltura tra la folla. Un piccolo gesto che significa molto e che, solo pochi mesi fa, non sarebbe stato tollerato, pennesso. Il tentativo delle giovani è di trovare una terza via fra legge islamica e femminilità. «Bisognerebbe fare come al Cairo, chi è religioso porta il velo, chi non vuole no», dice Fazeh, 45 anni con due fighe all'Università. Anche per questo il numero dei chador neri integrali domina nei luoghi e momenti di preghiera ma diminuisce fra i banchi dei bazar ri¬ spetto a quello degli hejab, un vestito lungo fino ai piedi e foulard sulle spalle che consente di non coprire tutto il viso e permette un minimo di gioco di colori (anche se mai con tonalità sgargianti). Molte donne sono scese in piazza per festeggiare la nazionale iraniana e la vittoria contro gli Usa. Nelle strade hanno gioito accanto agli uomini. Le separazioni fra i sessi sono saltate anche nel grande abbraccio alla squadra che tornava all'aeroporto di Teheran. La gioia nazionale e l'orgoglio persiano hanno unito la folla e le grida irrisorie per l'«Amerika» sconfitta ha sostituito l'ideologico «Down with America». In molte case alla vigilia del match si aspettava da «Voice of America» addirittura un discorso di saluto di Clinton agli iraniani. Chiusa l'avven¬ tura mondiale è stata la tv iraniana a rilanciare lo sport «made in Usa», trasmettendo le partite del campionato Nba di basket. Sarebbe tuttavia un errore confondere la voglia di America e di Occidente con il rifiuto dell'Islam. La legge di Maometto appartiene alle radici, all'identità dell'Iran e l'errore dello Scià fu ignorarlo imponendo - senza riuscirci - il divieto assoluto di indossare il chador. Chi difende la svolta di Khatami lo fa in nome dell'Islam e, soprattutto, del defunto imam Khomeini. Proprio così: i giovani della «sinistra islamica» protagonisti della mobilitazione universitaria in favore di Khatami, Mohajerani e Kharbashi, si dicono «khomeinisti». Difendono lo «spirito della rivoluzione» e sono orgogliosi di chi cacciò lo Scià. Ma affermano anche che la parola ed il messaggio dell'Imam di Qom sono stati traditi dal clero conservatore, dai rehgiosi della «Società del clero combattente». Di esempi non ne mancano. Giorni fa un giovane universitario, convocato in un posto di polizia perché considerato «sospetto» dopo alcuni pedinamenti ed intercetta- zioni, si è difeso portando con sé una fotocopia di un testo di Khomeini sui «diritti di libertà dell'individuo». Anche quando una semi-discoteca (si poteva consumare ed ascoltare musica dal vivo ma non ballare) è stata chiusa a Teheran Nord, gli avventori hanno tentato di difendersi appellandosi alle libertà rivoluzionarie, ma senza successo. E ancora: dopo la condanna di Kharbashi per «corruzione» ed il conseguente rafforzamento dell'ala conservatrice, la battaglia politica più incandescente si gioca sulla scelta dei candidati alle elezioni per l'Assemblea (o Consiglio) degli Esperti in programma in autunno. I riformisti di Khatami chiedono sui giornali a loro ancora fedeli - dopo chiusure e sospensioni - di poter presentare anche dei laici e si richiamano al precedente dei primi anni di Khomeini. Ma i conservatori fedeli alla Guida Spirituale, Ali Khamenei, si oppongono sui loro fogli più agguerriti - come Johmuri telami (Bepubblica Islamica) e Qods (Gerusalemme) - e difendono lo stato di cose in vigore dal 1986: tutti i candidati devono essere ardo nti della dono zione» dei religiosi. La battaglia è in nome di Khomeini, sull'interpretazione della sua eredità. Sui quotidiani governativi in lingua inglese invece - come Iran Daily e Teheran Times - una delle novità riguarda la terminologia usata per il «piccolo Satana» ovvero lo Stato ebraico di cui si invoca regolarmente la distruzione durante le preghiere del venerdì: i riferimenti alla «delegittimata entità sionista» sono sempre più confinati ai commenti mentre nelle pagine di notizie si parla di «Israele» ed «israeliani». Un fatto senza precedenti denunciato dall'ala conservatrice, che si è invece vantata di aver sperimentato il primo missile balistico in grado di colpire Tel Aviv. Nella primavera islamica di Teheran tutti hanno qualcosa da sperare ed in cui credere. Lo steward crede nel «coraggio di Khatami», la venditrice di posate spera «nel bene dell'Iran», lo studente crede nel «cambiamento», il fioraio aspetta «importanti novità». Ma ognuno, dentro di sé, teme che tutto finisca nello spazio di un mattino. Il «Majlis», il Parlamento dominato dai conservatori, ha sfiduciato il ministro degli Interni riformista, il sistema giudiziario ha ottenuto l'esclusione per 20 anni dagli uffici pubblici dell'ex sindaco di Teheran, gli Hezbollah sono tornati a sfilare nelle strade mentre i giornali riformisti sono oggetto di pressioni e censure, i grandi poteri economici e militari restano fedeli ai «falchi» della rivoluzione. Il «clero combattente» insomma si difende a denti stretti e la crisi economica - dovuta al calo del greggio e causa di un'inflazione galoppante - gli offre l'arma del riscatto per scalfire il prestigio popolare di Khatami. Fra voglia di Occidente e paure del presente, nei corridoi in penombra dei piccoli e grandi bazar si mormora il nome di Ali Akbar Bafsanjani. L'ex Presidente già legato a doppio filo con Khomeini è considerato dal popolo depositario di ogni segreto, regista di Khatami e uomo di fiducia di Khamenei. «E' lui la garanzia contro il peggio», dice Morteza, tassista con i capelli bianchi e fan di Sofia Loren, che conta su Khatami per poter finalmente riuscire a vedere al cinema «tutti i film usciti dal 1979 in poi». Per ora deve accontentarsi della videocassetta di litanie, che va a ruba. Maurizio Moiinari Una città di infiniti ingorghi sui quali aleggiano i simboli del proibito: musica rock e rimmel celeste sotto i chador Jeans e t-shirt con Leonardo DiCaprio, ma gli studenti della sinistra islamica difendono lo «spirito della rivoluzione» J Mohammad Khatami, presidente dell'Iran. Nell'immagine grande il bazar di Teheran. La città è in bilico fra voglia di Occidente e paura del presente