«Usali dallo Stato e poi buttati»

«Usali dallo Stato e poi buttati» Il pentito è in carcere per un residuo di pena e ha perso i benefici del programma di protezione «Usali dallo Stato e poi buttati» La compagna di Spatola: siamo disperati UN GRIDO D'AIUTO ROMA ARINA è la compagna di Rosario Spatola, il collaboratore di giustizia che prima ha «perduto» il programma di protezione e poi è finito in carcere per espiare un residuo di pena per una condanna riportata prima del suo «pentimento». Marina è rimasta sola con Sarah, la figlia avuta dall'unione con Rosario. Hanno revocato il programma di protezione anche a loro. Non hanno più di che vivere. Non possono tornare, per ovvii motivi, dai familiari siciliani. Marina non ha un lavoro: quando conobbbe Rosario le mancava un anno alla laurea in medicina. La bambina non può andare a scuola: dovrebbe iscriversi col suo vero nome, offrendo un facile bersaglio ai tanti nemici del padre, che fu mafioso e poi «infame» perché collaboratore dello Stato. Signora, è riuscita ad incontrare il suo uomo? «L'ho visto, finalmente mi hanno autorizzata. Sta in un carcere, insieme con tanti altri collaboratori che vengono considerati "traditori" dello Stato perché hanno di nuovo commesso reati». E lui ha «sbagliato» di nuovo? «No, lui deve scontare un residuo di pena per una vecchia condanna. Una conseguenza, questa, del fatto che lo hanno espulso dal programma». Perché è stata presa questa decisione? «Dicono che non ha osservato le regole del contratto di protezione. Ma non ha fatto nulla di grave, credetemi. Il fatto è che ha messo il dito in un vespaio: quello della gestione dei collaboratori di giustizia». Come lo ha trovato? «Un uomo finito. Non so se fa lo sciopero della fame, so di certo che ha perso venti chili. Non mangia. Ho visto che ha delle ferite alla fronte, lui non mi ha voluto dire cosa è accaduto, ma è chiaro che la disperazione lo porta a farsi del male. Mi ha detto che sta con altri collaboratori arrestati per fatti nuovi». Gente nelle sue stesse condizioni? «Si però con la testa tranquilla per quel che riguarda i familiari. Ci sono collaboratori riarrestati ed espulsi dal programma di protezione che però continuano ad avere moglie e figli al sicuro e stipendiati. Non capisco perché lui, che dopo la collaborazione non ha più commesso rati, e non ha ucciso nessuno a differenza di tanti altri, debba subire un trattamento così duro». E' vero che ha tentato di uccidersi? «Non lo so, non me lo dice. Ma mi sa che sarò io a tentarlo se sarò costretta a vivere così». Come? «Dormo una volta qua una volta là. Dipendo dalla generosità degli altri. Ma la gente ha paura di ospitare persone che sono nella lista nera della mafia. Sopravvivo grazie a qualche amico. La bambina ha perso l'anno scolastico perché è dall'inverno scor- so che scappiamo. E al prossimo non la posso neppure iscrivere». Quando l'hanno arrestato Rosario? «Era il due luglio, giovedì. Eravamo tornati dalla Svizzera perché Rosario non trovava lavoro. Ci eravamo sistemati per una notte in casa di una collaboratrice di giustizia, a Roma. E' venuta la polizia per sfrattare quell'altra povera disgraziata e ci ha scoperti. Poi è arrivata pure la notizia che il Consiglio di Stato ha respinto il nostro ricorso contro la decisione della Commissione di revocare il programma. Una storia sconcertan¬ te perché i nostri avvocati avevano provato che le motivazioni avanzate dalla Commissione, le presunte inadempienze di Rosario, erano false. Abbiamo portato le prove». E ora? «Dice che se non potrà vivere con noi preferisce farla finita. Sa, lui si è pentito perché avevamo la bambina piccola e voleva sottrarla ad un modo di vivere sbagliato. Ora è come se gli fosse crollato il mondo addosso. Io cerco di tenerlo su, gli ho portato pure la bambina, ma una sola volta perché i soldi per spostarci in due non ce li abbiamo, e poi non voglio sottoporla ad uno stress continuo. Ha fatto la domanda di grazia al presidente Scalfaro, ha scritto a tutti i giudici d'Italia, anche a quelli che delle sue testimonianze si sono serviti. Anch'io voglio rivolgermi a Scalfaro: gli vorrei chiedere di guardare la storia di Rosario, chissà forse c'è uno spiraglio per salvarlo. Mi sembra di vivere in un incubo. Ci hanno revocato persino le generalità di copertura, incredibile. Queste misure non sono state prese per nessuno, neppure per quelli che sono tornati ad uccidere dopo la collaborazione». Lo rivedrà, in carcere? «Io e la bambina siamo il solo motivo che lo tiene in vita. In cella sta da solo, non parla con nessuno. Mi ha scritto tante lettere. Mi ha detto: "Mi sto distruggendo, vedo Vito Ciancimino (l'ex sindaco di Palermo de¬ tenuto ndr), un morto che cammina ed io comincio a somigliargli". Ho scritto al procuratore Vigna, ho fatto telegrammi a Caselli e ai suoi sostituti. Nessuno risponde». Francesco La Licata «Non abbiamo di che vivere, tiriamo avanti grazie alla generosità degli amici. Ma la gente ha paura di ospitare chi è inseguito dalla mafia» «Non posso più mandare mia figlia a scuola perché abbiamo perso le generalità di copertura. Rosario vuole morire, è stato punito ingiustamente» Un pentito durante una deposizione in un processo di mafia. A destra, il procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli, cui ìa compagna di Spatola ha scritto un telegramma

Persone citate: Francesco La Licata, Gian Carlo Caselli, Rosario Spatola, Scalfaro, Spatola, Vigna, Vito Ciancimino

Luoghi citati: Italia, Palermo, Roma, Svizzera