Kosovo, il calvario degli ottantamila
Kosovo, il calvario degli ottantamila SERBIA L'Onu: è una catastrofe umanitaria. L'inviato Usa: Milosevic, ferma i tuoi soldati Kosovo, il calvario degli ottantamila Donne, vecchi e bambini in fuga sulle montagne ZAGABRIA NOSTRO SERVIZIO Malgrado i ripetuti appelli dell'Unione europea, degli Stati Uniti e della Nato a cessare le ostilità, nel Kosovo si continua a sparare. L'offensiva delle truppe jugoslave si è estesa alla gran parte del territorio della regione, anche se le zone dei combattimenti più violenti rimangono lungo il confine con l'Albania e le due arterie principali del Kosovo, Pristina Pec e Pristina Prizren. Decine di migliaia di profughi, pare 80 mila, stanno errando per i boschi e nelle montagne alla disperata ricerca di un rifugio sicuro. Secondo le stime dell'Alto commissariato per i profughi dell'Orni sono più di 180 mila i civili albanesi in fuga dalle loro case. «Il Kosovo è sull'orlo della catastrofe umanitaria. Se non verrà trovata presto una soluzione politica saremo di fronte a una vera tragedia» ha dichiarato Tom Vargas, responsabile dell'Alto commissariato per i profughi stazionato nel capoluogo kosovaro. «Oggi siamo stati sul terreno. Soltanto nella zona di Srbica e Glogovac abbiamo individuato almeno tremila persone fuggite dalle loro case. Sono donne, vecchi e bambini nascosti nelle foreste, senza cibo, acqua né medicinali. Sulla strada abbiamo incontrato colonne di trattori, vecchi camion, autocarri carichi di gente disperata. Andavano in direzione di Vucitrn e Kosovska Mitrovica. Speriamo che almeno loro trovino un rifugio sicuro presso familiari» ha detto Vargas, aggiungendo che sono passati attraverso villaggi in fiamme, dalle case distrutte, mentre tutto intorno si sentiva sparare. Anche l'ambasciatore americano in Macedonia Christopher Hill ha lanciato l'allarme per la grave crisi umanitaria e l'esodo in massa dei civili albanesi. Braccio destro del supermediatore Holbrooke per il Kosovo Hill ha chiesto ancora una volta al presidente jugoslavo Milosevic di cessare l'offensiva nella regione. «Non esiste una soluzione militare della crisi. Le due parti devono iniziare con i negoziati al più presto» ha detto il diplomatico americano. Ma i combattimenti diventano più violenti di giorno in giorno. Le truppe di Belgrado continuano a bombardare Junik, la roccaforte dell'esercito di liberazione del Kosovo a pochi chilometri dal confine con l'Albania. Fonti serbe affermano che i guerriglieri separatisti albanesi si sono già ritirati da Junik, ma che nel villaggio sono rimasti asserragliati una dozzina di uomini protetti da un cordone di mine che faranno esplodere all'avvicinarsi dei soldati jugoslavi. Questi ultimi sarebbero in¬ tanto riusciti ad entrare nel villaggio di Smolica, a Nord-Ovest di Djakovica, dove hanno ucciso dieci combattenti dell'UCK. Fonti albanesi non hanno confermato, aggiungendo tuttavia che le forze di polizia dell'esercito jugoslavo stanno saccheggiando e incendiando i villaggi di Duhli e Blaca vicino a Suva Reka. Il segretario generale della Nato Solana ha invitato ieri serbi e albanesi al cessate il fuoco. «La Nato è pronta a far osservare la tregua» ha detto Solana, sottolineando la crescente preoccupazione degli alleati per l'aggravarsi della crisi nel Kosovo. Il leader del Kosovo Ibrahim Rugova ha nuovamente accusato le autorità di Belgrado di praticare operazioni di «pulizia etnica» in Kosovo. «Le forze serbe uccidono e mettono in fuga la popolazione civile, distruggono le loro case. In questo modo, Belgrado opera una pulizia etnica in Kosovo ai danni della popolazione albanese», ha detto Rugova al termine di un incontro con Christopher Hill, il mediatore Usa. Rugova ha invocato «un intervento urgente» della comunità internazionale, definendo «drammatica» la situazione in Kosovo, particolarmente nell'ovest della provincia serba a maggioranza etnica albanese. Ingrid Badurina
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