L'élite fantasma sulla Linea Gotica di Giuseppe Mayda

L'élite fantasma sulla Linea Gotica la memoria. Nobili, colti, giovanissimi: scoperti da uno storico 250 nostri ufficiali nell'VIII Armata L'élite fantasma sulla Linea Gotica Un reparto italiano combatté con gli inglesi rj |A «Linea Gotica», un complesso di fortificazioni lungo 320 km che attraversava I I l'Italia dall'Adriatico al Tirili reno tagliando in due la Penisola, era stata disegnata da Hitler in persona, nel febbraio del 1944, con uno dei suoi rari schizzi a carattere militare: costituita da torrette di «panzer» con cannoni da 88 interrate nel cemento, campi minati, caverne scavate nella roccia, rifugi in acciaio, nidi di armi leggere e pesanti, trincee e fossati anticarro, aveva anche una «zona nera» con centinaia di ostacoli passivi come i «denti di Rommel» in Normandia - su una profondità di quindici-venti chilometri. Contro questo gigantesco sbarramento si scagliò fin dall'agosto '44 l'Ottava Armata britannica, prima comandata da Montgomery e da Alexander, poi da Leese e infine da McCreery. All'offensiva avrebbe dovuto prendere parte - con polacchi, indiani e canadesi - il «Corpo italiano di Liberazione» (Cil), ma non fu così sebbene lo meritasse: sorto da pochi mesi, fra enormi difficoltà politiche e logistiche, attorno all'originaria formazione dei cinquemila uomini del «1° Raggruppamento Motorizzato» del generale Utili, il «Cil» si era battuto, e bene, nel marzo-aprile di quell'anno, a Monte Marrone, desolata vetta di 1250 metri a venti chilometri da Cassino; gli alpini esploratori del «Piemonte» avevano infatti scalato di notte la cima armati di bombe a mano e di mitra e dell'impresa ne aveva accennato persino Radio Londra annunciando: «Truppe italiane, nel settore della V Armata, hanno respinto attacchi tedeschi infliggendo perdite al nemico». Però la politica alleata di guerra era contraria a un intervento diretto degli italiani nelle offensive sulla «Linea Gotica» e il rifiuto venne giustificato col fatto che i soldati di Utili mancavano ancora dell'addestramento specializzato alle armi e ai mezzi pesanti indispensabili su quel fronte accidentato (a Montecieco si scatenò fra i «Queen's Bays» e la 90a Pz. Gr. tedesca la più sanguinosa battaglia di carri armati mai combattuta in Italia: gli storici britannici la chiameranno «la seconda Balaklava» nel ricordo di quella carica dei Seicento celebrata nella ballata di Tennyson); soltanto nell'autunno avanzato del 1944 gli inglesi costituiranno sei gruppi di combattimento italiani, con una forza complessiva di 60 mila uomini il cui impiego, tuttavia, slitterà di mese in mese finché, praticamente, solo tre, il «Folgore», il «Legnano» e il «Friuli» riusciranno a partecipare a brevi cicli operativi e il «Cremona» entrerà in linea a metà gennaio '45. Oggi però si scopre quello che nessun libro di storia ha mai raccontato e cioè che, in realtà, gli italiani parteciparono - sia pure con una rappresentanza molto esigua e singolare - alle offensive inglesi sulla «Linea Gotica», ebbero anche caduti e feriti e quindici decorati di medaglie d'argento e di bronzo ma che, attorno all'operazione, per oltre mezzo secolo è stato steso un velo di riserbo. Complessivamente si trattò di un nucleo di 240-250 ufficiali del Regio esercito, in parte già sotto le armi al momento della resa dell'8 settembre 1943, in parte arruolati all'arrivo degli anglo-americani nel Meridione. Indossando la divisa inglese, pur potendo conservare stellette, fregi e mostrine italiane, divennero «Italian Intelligence Liaison Oflicers», in altre parole furono inquadrati come ufficiali di collegamento dell'Ottava Armata. In maggioranza volontari, con molti giovani fra i 18 e i 20 anni, erano stati scelti dagli inglesi in base a sconcertanti criteri, forse con lo scopo di formarne 1'«élite» di un futuro esercito: appartenenti a famiglie benestanti, con nobili ascendenze (fra loro c'erano dei Colonna, Theodoli, Sanjust, Sambuy, Caracciolo, Cicogna, Balbo di Vinadio, Ruffo della Scaletta, Dal Pozzo, Bonmartini, Borea d'Olmo, ufficiale d'ordinanza di Umberto di Savoia e il conte Alvise di Robilant, ucciso misteriosamente due anni fa a Firenze); dovevano conoscere l'inglese e altre lingue, possedere un'ottima preparazione culturale (quattro di questi ufficiali, Cortese De Bosis, Guerrini Maraldi, Orsini Baroni e Gerardo Zampaglione nel dopoguerra entreranno in diplomazia e diverranno ambasciatori); essere tanto antifascisti quanto anticomunisti e cementati da una assoluta fedeltà alla monarchia, avere infine uno spiccato spirito di intraprendenza militare. Le loro vicende di guerra le rivela ora, attraverso la raccolta di trentaquattro testimonianze di notevole valore documentario, lo storico Luciano Garibaldi, biografo di Biggini, in un saggio intitolato La guerra (non è) perduta con prefazione di Edgardo Sogno e dotta postfazione del professor Massimo De Leonardis (Edizioni Ares, Milano). Narra Garibaldi che questi ufficiali furono impiegati quasi tutti quali «liaison officer» con le unità dell'Ottava Armata che operavano nei diversi settori della «Linea Gotica». Tra loro c'era anche una donna, l'unica «Italian Intelligence Liaison Officer», Giuliana Cavazza Geddes da Filicaia, classe 1923: ventunenne, ebbe il grado di sottotenente, fu paracadutata su Firenze in mano ai tedeschi e diventò anche staffetta del Cln toscano. Il tenente Griccioli della Grigia fu assegnato alla 21a brigata indiana di fanteria e Cortese De Bosis alla 19a, il sottotenente Bellardi Ricci al 12° reggimento Royal Tanks, Macchi di Cellere venne dislocato al battaglione Gurka Rifles - che poi prese parte alla liberazione del Comune bolognese di Medicina -, il sottotenente Montagna fu ufficiale di collegamento al 751° battaglione Royal Engineers e il suo amico Jack Bertollo alla 167a London Infantry Brigade. Un altro ufficiale di collegamento, Giuseppe Tecchio, classe 1923, poi destinato al 1° battaglione del King's Royal Rifles Corps, era stato nuzialmente selezionato, con un collega triestino, dopo un rapido corso di addestramento al sabotaggio, per essere paracadutato nel Nord tra i partigiani comunisti di Moscatelli, in Valsesia, ma per un contrattempo non potè partire: i britannici, scettici sulle reali possibilità di impiego del «Cil» quale forza organica sulla «Linea Gotica» al punto che in una riunione dei capi di Stato Maggiore del 26 marzo 1944 avevano dichiarato di «non ritenere elevato il valore degli italiani come truppe combattenti» - arruolavano invece molti volontari italiani nella Special Force per inviarli al di là delle linee tedesche a contattare la Resistenza, pur col divieto di prendere qualsiasi posizione politica. Così i 250 ufficiali italiani - comandati dal colonnello Esclapon de Villeneuve, già capitano del «Nizza Cavalleria» - si trovarono a ricoprire un ruolo unico nella storia del nostro Paese. Come testimonia Orlando Di Collalto, loro decano, il «Nucleo I» fu un reparto in un certo senso fantasma, anomalo, estemporaneo, amministrativamente italiano ma operativamente britannico, che agì in azioni isolate che furono tante quanti i suoi componenti e che, finita la guerra, sparì quale entità militare, si dissolse e di lui non rimase nulla, né un registro, né un vessillo, che del resto non ebbe mai, forse perché, come dice Sogno, la sua fu davvero una «guerra senza bandiera». Giuseppe Mayda Un mistero svelato dopo mezzo secolo da 34 testimoni: erano antifascisti e anticomunisti, fedeli alla monarchia Nell'immagine grande, combattimenti lungo la Linea Gotica. Da sinistra, il generale Montgomery, (che con Alexander comandò l'Ottava Armata) e Hitler