C'è anche la sensibilità fra le qualità del medico

C'è anche la sensibilità fra le qualità del medico LETTERE AL GIORNALE: IL LUNEDI' DI O.d.l C'è anche la sensibilità fra le qualità del medico Vita terrena Egregio Signor Del Buono, si è ormai conclusa la vita terrena di mio padre, malato di cancro ai polmoni. E con la sua morte, ha avuto fine l'odissea della nostra famiglia, alle prese con un problema che andava ben oltre le nostre povere forze. Un'esperienza del resto simile a quella di altri, l'incredulità e lo stordimento iniziale, la ricerca affannosa delio specialista «in gamba», le terapie in ospedale e poi, in ultimo e per nostra fortuna, l'approdo al poliambulatorio specialistico privato in cui abbiamo trovato un'equipe di persone valide, ma, soprattutto, disponibili ben oltre il dovuto. E, supportati dall'operato dei medici e del personale infermieristico, abbiamo lottato contro il male. Invano, certamente il cancro ha avuto la meglio su mio padre, rna noi, ora, possiamo ben dire di aver fatto di tutto per ostacolarne l'avanzata e per alleviare il dolore e la fatica del nostro caro. Prima, però, quando mio padre era ancora in forza e poteva rendersi conto di ciò che succedeva intorno a lui, c'è stata l'avvilente esperienza delle strutture sanitarie pubbliche, le attese logoranti, le code interminabili, l'umiliazione di sentirsi solo un numero e per giunta anziano, non degno quindi di particolari attenzioni («capirà, signora, ha settantatré anni.,.». Non voglio entrare nel merito dell'operato dei medici né esprimere giudizi di tipo valutativo che certo non mi competono. Mi rendo conto che si trattava di una lotta impari e so bene che nella sanità, come in tutti gli altri settori pubblici, la non sempre soddisfacente qualità del servizio è ascrivibile non già alla cattiva volontà del singolo, bensì alla struttura del sistema, spesso deficitario. Eppure, nelle corsie di un ospedale, per chi soffre il sorriso e l'attenzione di un camice bianco hanno un'incredibile funzioni terapeutica! Ci siamo imbattuti, e questo ad onor del vero, in medici ed infermieri disponibili e premurosi, ma per molti altri non posso dire la stessa cosa. E, pertanto, vorrei esporre alcune mie riflessioni all'oncologo rampante di bell'aspetto, quello del camice but¬ tato con noncuranza su una spalla (proprio come nei telefilm americani!), quello che, pochi mesi orsono, ha avuto modo di ostentare la propria sicumera davanti alle telecamere di Uno Mattina. Costui, a mia madre che gli chiedeva di tenere mio padre all'oscuro di tutto, ha avuto il coraggio e la sfrontatezza di dire: «Ma cosa pretende? Quando gli cadranno i capelli si renderà ben conto di fare la chetino e di avere un cancro!». E questo a pochi metri di distanza da mio padre. Ebbene, a questo signore vorrei far presente solo questo: in tutte le professioni operanti nel settore del servizio e dell'assistenza alle persone, ma in particolare per quanto concerne la casta dei medici, la dignità professionale è data non solo dalla padronanza di conoscenze specifiche (indubbie senz'altro nel caso dell'oncologo in questione) ma, soprattutto, dal possesso di quelle qualità come umiltà, capacità di ascoltare, di comprendere e di entrare in rapporto con chi tira avanti, senza le quali non si può essere definiti un «bravo medico», tutt'al più un semplice, qualsiasi me¬ stierante. E, quindi, secondo il modesto parere di chi scrive, l'altisonante concetto (trito e ritrito) di «rispetto per la vita umana», cosi abusato nei discorsi di chi è dedicato alla ricerca scientifica e così nobilitante (!) la categoria dei medici, dovrebbe forse tradursi in un ben più terreno ma concreto «rispetto delle persone». Scusi questo mio sfogo. Per noi, ormai, è acqua passata, per altri, invece, è acqua che continua a scorrere. Tiziana Foppiani, Coazze (To) Lei ha ragione, gentile Signora Foppiani. Troppe volte si incontra gente che non sa fare il proprio mestiere. O che lo fa così male, così svogliatamente da non poterla perdonare. Dovrebbero essere delle eccezioni. Purtroppo, paiono la normalità [o. d. b.) Anonima di massa Gent. Sig. Odb, siamo un gruppo di studenti della Facoltà di Scienze del- l'Educazione dell'Università degli Studi di Torino. Nel mese di febbraio abbiamo iniziato un corso il cui esame è obbligatorio nel I biennio. Premettiamo che tale corso non è stato liberamente scelto, ma impostoci di seguire perché vincolati dall'iniziale del nostro cognome. Alla prima lezione, circa .'00 studenti si sono accalcati in un'aula che dovrebbe al massimo contenere 56 persone... Qui su due piedi e senza spiegazioni l'insegnante gentile ci faceva firmare un modulo in cui dovevamo o meno accettare la frequenza del corso (alfa Facoltà di Scienze dell'Educazione non è richiesto l'obbligo di frequenza). Un numero molto alto di studenti ha deciso di frequentare il corso. Per problemi tecnici in un'aula più grande, il nostro gruppo è stato diviso in due sottogruppi. Successivamente, con ordine e disciplina, ad ogni «partecipante» è stato affibbiato un numero, secondo l'ordine alfabetico, e un posto fisso. In quest'aula nessuno poteva entrare e nessuno poteva uscire dall'inizio alla fine della lezione (che tra l'altro dovrebbe essere un servizio pubblico). Nei tre mesi successivi, ad ogni lezione, la presenza era rigorosamente e puntualmente controllata attraverso distribuzione di fotocopie previo pagamento e dichiarazione firmata di avvenuto ritiro o, alternativamente, attraverso la compilazione di lavori scritti, atti a «documentare di aver seguito con profitto le lezioni». Al termine del corso, il quale ha impegnato gli studenti non solo fisicamente ma anche psicologicamente, impedendo loro di riuscire a preparare altri esami, è avvenuta la registrazione su libretto di un voto relativo ai lavori scritti. Precisiamo inoltre che l'elenco degli esaminandi è stato affisso un giorno prima dell'effettivo esame. In sede d'esame, a un'indebita attribuzione di un voto perché non certificata dalla presenza dei compiti scritti e alla richiesta di poter vedere i nostri elaborati per capire dove si aveva sbagliato, per poter imparare dai propri errori, ci è stato risposto che tale pretesa era inaccettabile, essendo il «diritto» di ben 250 persone ognuna delle quali avrebbe potuto richiedere visione del proprio compito. E questa sarebbe la trasparenza dei pubblici servizi italiani. Un gruppo di studenti, Torino E' la prima volta che ricevo una lettera anonima di massa. Sembra tutta una barzelletta. Lo spero sinceramente. Ma se corrisponde al vero tenetevi questa esperienza preziosa. E' la celebrazione della parola democrazia. Vi capiterà di ritrovarla nella vita. Megbo esser preparati. [o. d. b.]

Persone citate: Del Buono, Tiziana Foppiani

Luoghi citati: Coazze, Torino