Sapore di sale al capolinea del Bronx
Sapore di sale al capolinea del Bronx Un lido artificiale dove i bambini giocano con la sabbia sul cemento Sapore di sale al capolinea del Bronx La spiaggia di New York, tra poliziotti e rifiuti NEW YORK EDI, cosa succede ai salmoni. Dice: favolosi, gli Hamptons, bella gente, lustrini e falpalà, il presidente che balla con Kim Basinger, il fantasma del Grande Gatsby a bordo piscina, immemore e perplesso, Steven Spielberg stanco di guerra e, la mattina, tutti a cavallo, o al golf. Quindi, alla larga: controcorrente, come i salmoni, appunto. E, da Manhattan, via, a Nord, verso la spiaggia, sì, ma quella del Bronx, Orchard Beach, che se chiedi a qualcuno a New York dove è, si mettono a parlare della Florida, o del Maine, invece è lì, alla fine della cartina, quando non resta più altro da scriverci, nessun altro luogo dove poggiare i piedi: Orchard Beach, capolinea del Bronx, si scende, e neanche poco. Per arrivarci prendo la Terza Strada e avanti, finché le case si abbassano, ed è Harlem, oltre il ponte sul fiume, ed è Bronx. Se uno la smette di ereaere alle leggende e al cinema e guarda con i propri occhi, è un posto come altri, dove non c'è nulla da temere e così, immagino, sarà anche per la spiaggia, laggiù in fondo. Un posto dove camminare serenamente, parlando con un amico, che passo a prendere, all'incrocio tra la Terza e la Centoquarantanovesima e che, solo per combinazione, fa il pugile, oltreché il bagnino a Orchard Beach. Siccome non è puntuale, bisogna entrare in palestra a cercarlo, Israel. Alla Jerome Gym, cinque dollari a sessione, portatevi gli arnesi da casa. Un buco nel tunnel per i portoricani della zona, tenuto aperto da Gladys, moglie dell'uomo che lo scavò, madre di un pugile morto per droga. Ci sono specchi scheggiati, davanti ai quali i ragazzi si esercitano. C'è una donna manovale, che di sera e nei giorni di festa viene qui a scaricare rabbia e colpi, anziché sacchi di cemento. C'è il coach dominicano, Jorge Cosine, che sogna di portare un giorno uno dei suoi ragazzi lontano, ma così lontano che non riesce neppure a immaginare dove. E ci sono, dappertutto, i ritratti dell'idolo: Manos de Piedras, all'anagrafe Roberto Duran, sbarcato da Panama 27 anni fa per salire sul ring del Madison e atterrare Benny Huertas in settanta secondi. Ventisette anni dopo è ancora lì che cerca di combattere per pagarsi i debiti con l'ufficio delle tasse e creditori vari e che racconta di quando," alla fiera di Guarare, aveva finito i soldi per comprare il whisky alla famiglia e uno gli disse: «Una bottiglia e cinquanta dollari se metti ko quel cavallo là». E suo zio Socrates Garcia, conoscitore del mondo e delle parti sensibili, gli suggerì: «Colpiscilo dietro le orecchie». E ko fu. Israel è uno di quelli che, probabilmente, ci entreranno tutta la vita da spettatori, al Madison. Dalla Jerome Gym esce in fretta, perché il suo turno sulla spiaggia comincia tra venti minuti, e allora via, sempre sulla Terza, attraversando strade sempre più vuote, finché il paesaggio urbano cede al verde di Pelham Bay e c'è l'indicazione del campo da golf e allora potevamo stare agli Hamptons, invece di venire fin qui a vedere la laguna e, là, alla fine di ogni cosa, la spiaggia che si sono inventati. Prima di arrivarci c'è ancora il parcheggio, che è enorme e pattugliato. Gli agenti camminano tra le file di vetture con un blocchetto in mano, annotano qualche numero e chiamano la centrale, così, per verificare. Ogni weekend recuperano una decina di auto rubate. C'è una coppia in blu a ogni angolo: una sotto gli alberi in fondo all'area di picnic cosparsa di famiglie felici, una di fianco al chiosco degli spacciatori di hot dog, una dietro le mie spalle, sospette perché non ciondolano, mentre cammino, e già mi segnalano come animale da preda, su cui sarà meglio vigilare, specie ora che Israel saluta per andare al suo posto di lavoro, «Baywatch» in edizione stracciata, per il pubblico portoricano, lasciandomi solo davanti al muro di cemento e folla oltre il quale, dicono, dovrebbe esserci l'acqua. Quello che lo dice con una certa convinzione è un tizio sdentato che si è fatto un periscopio con la scatola di spaghetti e due vetri, come ci avevano insegnato da ragazzini, e offre la vista del lido a soli dieci centesimi al minuto. Vista: una specie di anfiteatro oltre il quale sorge questa spiaggia artificiale creata negli Anni Cinquanta per mandare i ragazzi del Bronx a giocare con secchiello e paletta, anziché coltello e Beretta. Ci sono foto dell'epoca in cui sembra di vedere l'ingresso delle terme di Chianciano, allagate però da un disastro che ha colpito le tubature. Bei tempi, quei tempi. Ho recuperato un ritaglio con un simpatico reportage in prima persona sul giornale di quartiere, a firma di Arlene Radansky. Titolo: «Orchard Beach, il nostro posto al sole». Alala. Svolgimento: «Erano le sette e mia madre mi svegliò cantando. Annunciò: si va alla spiaggia. Vivevamo all'angolo tra la Nelson e la Centosettantaduesima, l'autobus costava cinque centesimi. Prima ancora che arrivasse alla spiaggia, potemmo sentire nell'aria il meraviglioso odore del sale. Camminammo sulla sabbia, non ancora bollente, e mettemmo giù i teli sulla riva. Facemmo il bagno tenendoci a una corda per non farci trasci¬ nare dalla corrente. Prendemmo qualche pesciolino e lo conservammo nella federa del cuscino, riempita d'acqua. Negli occhi avevamo l'oceano, il cielo, la sabbia e la meraviglia di una giornata al sole». Sono le tre del pomeriggio. Un tipo che si era addormentato sul muretto, i piedi verso Hog Island (l'isola del porco), si sveglia ruttando. L'altoparlante della radio latina, che trasmette dall'alto della scalinata, spalmando nell'aria l'untuosa «salsa», annuncia: «Ben- venuti alla spiaggia». Prima che possa aggiungere altro, l'atmosfera si fa satura dell'odore di fritto proveniente dai bar a pressione insaccati nel porticato. Perfino il marciapiede scotta sotto le suole e il miracolo sono ragazzini dal sedere grigliato, che si sono portati la sabbia fin lì e edificano baracche di sabbia sul cemento. Piuttosto che fare il bagno, l'impiccagione. Un paio di pesci morti giacciono nel cestino della spazzatura. Negli occhi ci sono tatuaggi e curve, non esattamente del destino. Pericolose, però, perché a soffermarti oltre i dieci secondi, sbuca un tipo dall'aria esattoriale, dicendo: «Cosa guardi, uomo? Non sai che devi pagare il pedaggio. Dammi un dollaro, coglione». Senza insistere troppo, però, perché già l'agente stacca l'ombra blu dal muro, per venire a vedere quale è il problema, suggerendo la soluzione in un mulinar di manganello e riaprendo il varco alla passeggiata tra bagnanti in tenuta mimetica, che scrutano la trincea d'onda con il binocolo, spacciatori di hot-drug riconoscibili dal beeper agganciato al costumino attillato, attiviste che distribuiscono volantini per «la fine del colonialismo a Portorico, nel centesimo anniversario dell'invasione americana». Ale ale. In acqua, non ci va nessuno. Due giorni fa hanno trovato batteri provenienti dagli scarichi e proibito balneazione e accesso per 24 ore, poi riaperto. Frank Sabatino, poliziotto in pensione, 51 anni, quaranta passati al sole di Orchard Beach, ha una visione filosofica della faccenda: «Non occorrono controlli degli esperti: questa è spiaggia di merda, se l'acqua è scura e galleggiano preservativi e carta igienica, non bisogna tuffarsi». Era appena mezzogiorno quando la mamma, prudente, riportò a casa Arlene, prima che il sole gliela sbucciasse. E' ormai il tramonto, quando Israel smonta e possiamo tornare, facendo lo slalom tra bucce e merengue, verso il parcheggio dove sono rimaste solo le refurtive non reclamate, l'area del picnic dove i babbi bravi chiudono il tavolo pieghevole e un'altra giornata che se ne va lasciandoci finalmente ritrovare un posto nell'ombra. Se qualcuno venisse a insidiarcelo sappiamo, da zio Socrates, come difenderci: colpendo dietro le orecchie. Gabriele Romagnoli Nel cestino un paio di pesci morti, nell'aria odore di fritto Un enorme parcheggio, presidiato da decine di agenti armati Ad ogni week-end si recuperano molte auto rubate Ragazze con tatuaggi uomini in tuta mimetica, spacciatori attiviste che lottano contro il colonialismo «Piuttosto che fare il bagno in quelle acque è meglio essere impiccati» L'area del pic-nic disseminata di bucce di banana e con i ritmi del merengue Due immagini di Orchard Beach, la spiaggia artificiale del Bronx, realizzata negli Anni 50 (FOTO DI PAOLO VERZONE)
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