«L'inchiesta, un mostro giuridico»
«L'inchiesta, un mostro giuridico» «L'inchiesta, un mostro giuridico» Stravolti tutti i principi di garanzia IL GIURISTA SCOTT TUROW A vent'anni partecipo ai processi del Gran giurì, come difensore o accusatore. Ma l'inchiesta del procuratore Kenneth Starr sul Presidente Clinton è un'altra cosa. Quello cui stiamo assistendo è un processo esclusivamente politico, in cui un giornalismo iperattivo e l'instancabile tessitura dei partecipanti hanno ampiamente trasformato le ordinate verità della legge in risibili finzioni. Le decisioni della corte sono state tutte ispirate a principi noti: «Nessuno è al di sopra della legge», e «Le corti hanno diritto a chiamare chiunque a testimoniare». Sulla base di questi principi, gli sforzi del Presidente per invocare il privilegio dell'esecutivo (consente ai membri dell'amministrazione di non testimoniare su questioni di politica governativa, ndr), il segreto d'ufficio ed un nuovo privilegio protettivo per il Servizio segreto, sono tutti falliti. Per la legge, un Presidente chiamato in tribunale è un tizio qualsiasi che non ha diritto ad alcuna grazia particolare. Non importa però quanto giusto sia il principio dal punto di vista ideale: in pratica non ha funzionato. Il diritto del Gran giurì a mettere sotto accusa è sancito dalla Costituzione. Per salvare l'innocente da accuse senza fondamento, il Gran giurì dovrebbe operare in una segretezza quasi inviolabile. Con l'eccezione dei testimoni, a tutti i partecipanti - accusatori, giurati, agenti di polizia, e persino cancellieri - è fatto assoluto divieto, pena l'accusa di vilipendio, di rivelare alcunché circa «fatti avvenuti innanzi al Gran giurì». Ciò che ha cambiato il gioco è la stampa. L'accampamento di giornalisti davanti alla Corte federale a Washington, l'incessante caccia alle informazioni e la tattica senza scrupoli delle indiscrezioni, praticata soprattutto dall'accusa, hanno distrutto la regola della segretezza. Il risultato è che il processo somiglia ben poco a quel che dovrebbe essere. La regola della segretezza vieta ad esempio di rivelare l'identità dei testimoni. Eppure i testimoni vengono fotografati e spesso fanno dichiarazioni pubbliche. Francamente so meglio ciò che accade al Gran giurì del caso Lewinsky di quanto non sapessi in molti casi preliminari che ho difeso negli ultiumi dieci anni. La settimana scorsa abbiamo avuto uno spettacolo senza precedenti: gli avvocati della signora Lewinsky che riferivano alla stampa che alla loro cliente e a sua madre era stata garantita l'immunità. La mattina dopo il racconto di quella che doveva essere la testimonianza segreta della Lewinsky era sulla prima pagina di questo come di altri giornali. Uno o due giorni dopo abbiamo persino appreso delle pretese prove fisiche che la Lewinsky ha consegnato al Gran giurì: un vestito, forse con una macchia rivelatrice, ed una registrazione con la voce del Presidente. La decisione di testimoniare da Clinton, dopo che Starr gli aveva servito un mandato di comparizione davanti al Gran giurì, è un'altra cosa che non sarebbe mai accaduta se fossero in vigore le vere regole. Nelle inchieste del Gran giurì, gli imputati non testimoniano quasi mai, perché si avvalgono della facoltà di non rispondere. Innocente o colpevole, l'imputato raramente guadagna qualcosa concedendo all'accusa un'anteprima della sua difesa, soprattutto se lo fa con le sue labbra. Rifiutarsi di testimoniare diventa quasi un obbligo nei casi di spergiuro in cui, per definizione, l'imputato ha già testimoniato. Una qualsiasi contraddizione tra la nuova deposizione e la vecchia, di fatto consegna la vittoria all'accusa, senza che la legge imponga la necessità di provare quale versione era falsa. Per gli imputati dal Gran giurì è così normale rifiutarsi di testimoniare, che essi vengono raramente chiamati a comparire. Il dipartimento della Giustizia scoraggia la pratica del mandato di comparizione a imputati dal Gran giurì, proprio perché essi quasi sempre affermeranno il proprio diritto a non auto-accusarsi. Forzarli a farlo, del resto, può influenzare i giurati, che dovrebbero imparzialmente valutare le prove. Ovviamente il Presidente non può avvalersi del diritto di non rispondere, perché se lo facesse e si venisse a sapere, il risultato sarebbe politicamente devastante. L'opinione pubblica la prenderebbe come una confessione, ed assocerebbe per sempre Clinton a quei mafiosi che, tanti anni fa, invocavano i loro diritti leggendo a stento gli appunti scritti dai loro avvocati. La stampa, naturalmente, non si considera colpevole. I giornalisti fanno le domande, non organizzano le indiscrezioni. Essi si considerano governati unicamente dal duitto della gente ad essere informata. Questo è un valore importante in una democrazia. Ma la regola della segretezza nei Gran giurì non cancella questo valore. Semplicemente lo bilancia con i diritti degli accusati. Se il Gran giurì decide che le accuse non hanno fondamento, esse devono sparire senza che se ne sappia nulla. Se c'è materia per sostenere le accuse invece, il procuratore presenta le sue prove in pubblico, il difensore ha il diritto di contestare le accuse e il procuratore deve provarle al di là di ogni ragionevole dubbio. Nulla del genere sta accadendo in questo caso. I valori politici - il diritto dell'opinione pubblica a sapere ed a giudicare i partecipanti - hanno eclissato i principi giuridici. Starr sta muovendo un'accusa che a nessun procuratore che conosco piacerebbe perseguire: mentire su un rapporto sessuale consensuale in un processo privato, in cui il giudice ha già giudicato la questione irrilevante, ed in cui le presunte bugie non hanno avuto alcun effetto sul risultato. Nella mia esperienza, le giurie raramente condannano per questi reati quando nessuno ne trae danno. Ma secondo i giornalisti, Starr molto tempo fa arrivò alla conclusione che la Costituzione gli proibisce di mettere sotto accusa e processare un Presidente in carica. Egli intende invece usare un cavillo per trasmettere le sue prove al Congresso. E lì il Comitato giuridico della Camera può, volendo, decidere l'impeachment del Presidente giusto in tempo per le elezioni d'autunno. Ma questa è politica, non legge. Lo scopo centrale dell'inchiesta del Gran giurì non è più determinare se il Presidente ha commesso un reato, ispirandosi agli stessi criteri applicati a chiunque altro. Le questioni che vengono affrontate - il carattere del Presidente e la sua idoneità all'ufficio - sono morali e non politiche. Ed è completamente sbagliato che i poteri del Gran giurì siano stati usati per questi scopi. Scott Turow Copyright «The New York Times» e per l'Italia «La Stampa» «Si cerca di provocare l'impeachment in tempo per le elezioni. Questa è politica, non legge» Giurista e scrittore, Turow è autore di «Presunto innocente», diventato anche un film Hillary Clinton (a destra) insieme a Kim Basinger al party di sabato in onore della coppia presidenziale
Luoghi citati: Italia, Washington
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