II grande bluff dell' intervento Nato

II grande bluff dell' intervento Nato ANALISI II grande bluff dell' intervento Nato QESTA settimana il ministro degli Esteri tedesco Klaus Kinkel ha dichiarato che la Nato potrebbe presto intraprendere una missione «preventiva» di peace-keeping (mantenimento della pace) in Kosovo. Appena una settimana prima si sentiva dire che, secondo la Germania, un contingente Nato forte di centomila uomini sarebbe stato inviato nella regione per por termine ai combattimenti, e che questo contingente sarebbe stato sotto comando tedesco. Queste proposte fanno capire quanto il pensare ed il riferire sul peace-keeping sia divenuto un f^lÉiÉf esercizio di buoni desideri, in cui il desiderio è padre del pensiero. Nell'ultimo mese ho avuto conversazioni con alcuni comandanti Nato profondamente coinvolti nella pianificazione militare e nelle riflessioni sulla Balcani. Il loro punto di vista, per quanto possa valere, è che non sia possibile inviare in Kosovo una grande forza internazionale di mantenimento della pace finché continuano i combattimenti, e finché non vi è alcun serio negoziato tra le parti in conflitto. «Perché noi ci si muova, le cose devono cambiare parecchio - ha detto uno di loro -. Io credo che alla fine ci impegneremo, ma solo quando una qualche forma di cessate il fuoco sarà stata stabilita». Appare ora chiaro che le dichiarazioni di quest'estate, quando si diceva che «la Nato si prepara ad agire» e che i sei Paesi del Gruppo di contatto «stanno considerando un intervento diretto», sono state un bluff. «Tutto è nelle mani della diplomazia», ha detto un comandante, «noi non ci stiamo entrando». Il fatto è che gli alleati della Nato hanno cambiato Il presidente sersicurezza nei idea sul Kosovo. I guerri- bo Milosevic glieri dell'Uck non sono più «i buoni». La Nato, e gli americani in particolare, non vogliono essere visti come chi «fornisce la copertura aerea ai ribelli dell'Uck». E soprattutto gli alleati, Russia compresa, non vogliono che l'Uck ottenga alcun grado di quella vera indipendenza per cui hanno alzato la bandiera della ribellione. LTn'entità albanese indipendente in Kosovo porterebbe infatti la consi stente minoranza albanese della Macedonia a chiedere lo stesso, e condannerebbe quel Paese ad una sanguinosa guerra etnica. Un Kosovo separatista minaccerebbe anche il§|p; l'attuale pre- •\ì can;> paci' in iÈpM||'. Bosnia, poiché por Republika Srpska, l'entità serba rappresenterebbe una luce verde per separarsi dalla Bosnia ed unificarsi con la Jugoslavia. Ma il problema più importante, in questo gioco diplomatico fatto di fumi e di specchi, è che "non si può iniziare un'operazione di peace-keeping in una nuvola di buone intenzioni Questa è stata la conclusione tratta in una conferenza organizzata dal British Council e dal ministero degli Esteri italiano a Taormina, nel marzo scorso, dal titolo «Gestire l'instabilità nei Balcani». Il peace-keeping dovrebbe essere praticato solo in caso di flagranti atrocità, serie minacce di instabilità ed in presenza di una chiara proposta, cosa che non si applica al conte sto del Kosovo in questo momento. «Non credo che le priorità siano ancora state stabilite», ha detto un importante generale britannico in procinto di assumere un comando della Nato. La scommessa è che la Nato invierà un qualche contingente in Kosovo, ma solo quando i ribelli kosovari e Slobodan Milosevic lo vorranno. Robert Fox f^lÉiÉf il§|p; •\ì iÈpM||'. Il presidente serbo Milosevic

Persone citate: Klaus Kinkel, Milosevic, Robert Fox, Slobodan Milosevic