E Tonino riparte da Padre Pio

E Tonino riparte da Padre Pio IL PALAZZO E Tonino riparte da Padre Pio A che succe. de, che può succedere se nella vita pubblica - la vita pubblica sempre un po' eccitata di oggi - il marketing politico va a incrociarsi con la devozione popolare? Mistero. Una ragione in più, appunto, per soffermarsi un attimo sull'indiscrezione, pubblicata la scorsa settimana dal Mondo, secondo cui a settembre Antonio Di Pietro andrebbe a San Giovanni Rotondo, e qui firmerebbe uno dei primi mattoni per l'edificazione della grande chiesa legata al ricordo di Padre Pio. I verbi sono al condizionale perché il pellegrinaggio non è (ancora) confermato. E tuttavia, se lo fosse, per forza di simboli e di eventi questa visita andrebbe comunque al di là dei sentimenti religiosi di un personaggio come Di Pietro. E non solo perché Padre Pio ha milioni di fedeli, tra cui naturalmente diversi politici di ieri e di oggi - anche Andreotti e la Pivetti, per dire, sono stati ampiamente intervistati e fotografati da Gente a San Giovanni Rotondo. Di Pietro, infatti, non è un politico al tramonto, né lo si può, a questo punto, considerare un bluff. L'impressione, anzi, è che senza dare nell'occhio stia puntando a coagulare attorno a sé un consenso semplice, antico, popolare e generalizzato. Per questo va dove gli altri non vanno (o non vanno più). E senza troppi impacci, anche fregandosene di chi sta lì a rimproverargli errori di grammatica o di sintassi, fa quello che gli altri non fanno (o da anni hanno smesso di fare). E' addirittura una condizione, la sua, di felice ambivalenza. Dal punto di vista delle suggestioni imposte da una politica sempre più semplificata e personalizzata, Padre Pio (ma anche Guareschi, che non è un santo, ma un popolarissimo scrittore «riscoperto» da Di Pietro il mese scorso) sta benissimo insieme al referendum «contro i partitini». Così come il recente viaggio in Palestina per ragioni umanitarie procede di pari passo con l'incontro semi-diplomatico che ha poi visto il senatore del Mugello a colloquio con Yasser Arafat. Se poi, per caso, si volesse approfondire questa efficace ambiguità dal punto di vista del mercato politico (ed elettorale) si potrebbe pure notare l'esistenza di un doppio registro. Da un lato, cioè, Di Pietro lavora caratterizzandosi ormai come outsider all'interno del Palazzo e più in particolare dell'Ulivo: vedi il «suo» referendum, oltre al no all'assoluzione di Previti, al finanziamento pubblico, all'amnistia e alla riforma dell'articolo 513. Dall'altro lato va scoprendo temi - anche concreti - che il resto della classe politica ritiene marginali; e sempre più spesso si trova a utilizzare simboli o a compiere gesti che contribuiscono ad esaltarne la diversità. Qui Padre Pio può entrarci di meno. Ma più di chiunque altro Di Pietro si pone come il difensore dei mutilati, dei piccoli azionisti vessati, delle mamme che hanno paura delle stragi del sabato sera, delle casalinghe, dei titolari di un mutuo sempre troppo alto, di chi vorrebbe scaricare dalle tasse la colf o la baby-sitter, di chi legge solo i settimanali popolari o ascolta solo le radio private locali... E non si capisce bene se lui se ne occupa solo perché si tratta di aree sociali (o culturali) trascurate; o se, viceversa, fanno notizia solo perché ora se ne occupa lui. Quel che in entrambi i casi si capisce è che Di Pietro sta cercando di mettere a profitto la fondamentale distinzione tra pubblicità e marketing. La prima si occupa del prodotto, il secondo dei clienti. Che nel suo caso sono anche elettori. Filippo Cec carelli emj

Luoghi citati: Palestina, San Giovanni Rotondo